2
li accomunano”.
2
Nonostante questo, ci sono anche delle sostanziali
differenze tra le loro rispettive carriere. Innanzitutto per quanto riguarda il
percorso che li portò ad essere i grandissimi registi che sono stati: Kubrick
iniziò dal basso, realizzando la sua prima pellicola con un budget irrisorio a
differenza di Welles che invece iniziò dal vertice della piramide e quindi da
Hollywood, contando sulla collaborazione di grandi èquipes tecniche,
ricevendo una completa carta bianca per la realizzazione del suo primo
lungometraggio: Quarto potere. Non solo questo. Differenze si riscontrano
anche nel fatto che Welles non riuscì mai a godere della completa
indipendenza economica sui propri film, come invece risulta che fece
Kubrick, piuttosto dovette stare sempre alla mercè di case e produttori
cinematografici.
“La forza di Kubrick sta nell’aver capito che il piccolo artigiano deve essere
anche un finanziere, che se il regista non controlla tutti gli elementi del suo
film, dall’acquisto dei diritti alla stesura della sceneggiatura, fino alla
campagna pubblicitaria che lo lancerà e alla sala cinematografica che lo
proietterà, una fatica di tre o quattro anni può essere ridotta in polvere.”
3
“Una caratteristica che più di ogni altra segna lo stile kubrickiano è da
ricercare nell’eterogeneità dei procedimenti linguistici e narrativi messi in
gioco. Il suo è un cinema di ricerca e di sperimentazione: ricerca e
sperimentazione delle possibilità di comunicazione insite nel linguaggio
cinematografico, anche a costo di continui piazzamenti dello spettatore. Il
linguaggio cinematografico diventa così schizofrenico, continuamente
spostato e decentrato, fondato su irrisolti accostamenti dei contrari.”
4
Ogni suo film ha lasciato un profondo segno nell’immaginario collettivo. È
riuscito a cimentarsi con ogni genere cinematografico grazie ad un
formidabile eclettismo. Ed è proprio a causa di una simile attitudine che
2
Michel Ciment, Kubrick, Rizzoli, Milano Libri, Milano1981 pg 36
3
Ibidem
4
Giorgio Cremonini, Stanley Kubrick – L’Arancia meccanica, Lindau, Torino, 1999 pg 53
3
decise di intraprendere la strada dell’isolamento e della solitudine grazie alle
quali riuscì ad imprimere ai suoi film un carattere assoluto di unicità e
irripetibilità. Ha chiaramente avuto i suoi emuli ma non risulta che abbia fatto
una vera e propria scuola e di conseguenza non è riuscito a disporre di veri e
propri discepoli.
5
Nonostante questa ampia presentazione a carattere generale, è bene dire che
non è facile parlare di lui, anche penne e firme di un certo calibro della critica
cinematografica mondiale hanno riscontrato obiettive difficoltà nel definirlo,
nel studiarlo e nel tentare di relazionarsi con la persona che era.
Io nemmeno mi metto sul loro piano. Il mio lavoro non si avvicina
minimamente al loro contributo critico in materia… tuttavia quello che mi
piacerebbe fare è un’analisi psico-sociologica del rapporto tra gli effetti della
violenza “mediatica” nel pubblico degli spettatori, che vanno al cinema ma
che guardano anche la tv, attraverso il Kubrick pensiero e soprattutto
attraverso l’analisi di uno dei suoi più grandi lavori: Arancia meccanica, film
del 1971.
La mia tesi si compone di quattro capitoli attraverso i quali ho cercato di
argomentare nel miglior modo possibile il difficile rapporto tra i mezzi di
comunicazione di massa, nella fattispecie il cinema, e il fenomeno della
rappresentazione della violenza.
Il primo capitolo è di carattere generale e contiene una prima e sommaria
analisi sulle teorie degli effetti che la violenza può esercitare sul pubblico che
affolla le sale cinematografiche o che guarda la tv. Proprio questi due mezzi
di comunicazione di massa sono quelli più importanti e ai quali
maggiormente ci si riferisce quando si affrontano discorsi del genere,
pertanto ho fatto un confronto tra il diverso modo in cui la violenza si
rapporta alla tv e al cinema. In conclusione di questo capitolo ho fatto
5
Tito Perlini, Svuotamento del tragico e banalizzazione della morte, in Fabrizio Borin (a cura di) The Kubrick after-
Influssi e contaminazioni sul cinema contemporaneo, Il Poligrafo, Padova 1999 pgg 31-32
4
riferimento alla condizione del regista in generale per poi arrivare a parlare,
seppur ancora sommariamente, del regista Stanley Kubrick.
Il secondo capitolo è sostanzialmente storico nel senso che si occupa della
corrente storica dell’Illuminismo, secolo in cui ci sarebbe – secondo Kubrick
– la genesi del conflitto tra ragione e passione, chiave fondamentale di lettura
e interpretazione di tutta la sua cinematografia in generale e anche di Arancia
meccanica in particolare. Sono presenti ampi riferimenti al XVIII secolo,
periodo molto caro a Kubrick che menziona sotto forma esplicita o con
semplici riferimenti in quasi tutti i suoi film. Infine viene citato il filosofo-
psicanalista Sigmund Freud con la sua opera Il disagio della civiltà grazie
alla quale ho tentato di argomentare le origini della follia umana.
Il terzo capitolo rappresenta, insieme al quarto, il fulcro vitale della tesi dal
momento che prevede l’analisi dettagliata di tutto il film oggetto del mio
lavoro: Arancia meccanica. Ho tentato di scomporre il film cercando di
cogliere il più possibile i tanti significati e simboli di cui è pregno. Alla fine
ho inserito anche il testo della denuncia alla quale venne sottoposto in Italia
in quanto considerato film “osceno e decantatore della violenza”.
Il quarto e ultimo capitolo prevede una vera e propria analisi della cultura
della violenza e degli effetti che essa potrebbe produrre sul pubblico. In
questo senso mi sono avvalsa del lavoro svolto da analisti del Centro
milanese di psicanalisi i quali mediante l’uso di questionari e di ricerche sul
campo hanno dato un grande contributo agli studi in materia, contributo di
cui anche io ho usufruito. Il capitolo prevede anche paragrafi inerenti al
rapporto tra cinema e inconscio e cinema e psicanalisi per poi passare ad una
sintesi sulla crisi del cinema degli anni passati, crisi che, come verrà spiegato,
troverà concause anche all’interno della rappresentazione della violenza e si
concluderà definitivamente parlando del punto di vista di Kubrick circa
l’argomento principale della tesi – ovvero il rapporto tra violenza e media – e
circa il suo rapporto con l’industria cinematografica.
5
Dopo questa presentazione, vorrei un attimo concentrarmi sul “protagonista”
della mia tesi, Arancia meccanica.
Questo lungometraggio si è presentato alla ribalta della cinematografia
mondiale scatenando reazioni opposte e controverse. Se da un lato è stato
profondamente osannato e additato come autentica opera d’arte, dall’altro
lato non scampò a pesanti giudizi e condanne.
Documentandomi attraverso libri, articoli e riviste ho notato che proprio
questo film è uno dei pochi che quasi mai viene analizzato singolarmente; gli
vengono dedicate delle osservazioni e dei brevi saggi in riferimento al
rapporto, al suo interno, tra cinema e pittura piuttosto che cenni sulla musica
o sull’architettura.
Giorgio Cremonini, che invece dedica un intero saggio a questo film
6
, si
domanda infatti per quale motivo spesso e volentieri vengano riservate ad un
tale film soltanto dei cenni piuttosto che approfondite analisi.
“Omissioni in nome di una scomodità ereditata dallo scandalo che a suo
tempo portò il film, in Italia, a essere accusato di oscenità e incitazione alla
violenza? O si tratta della rimozione di una scomodità che è anche estetica e
culturale?”
7
Il suo pensiero è che Arancia meccanica “non è più bello di 2001 Odissea
nello spazio; non è più suggestivo di The Shining; non è più complesso di
Rapina a mano armata; non è più provocatorio de Il Dottor Stranamore; non
è più prezioso di Barry Lyndon; non è più commovente di Orizzonti di gloria;
non è più spettacolare di Spartacus; non è più ironico di Lolita; non è più
attuale di Full Metal Jacket. Ma non è neppure meno… E’ un film di Kubrick
e basta.”
8
È quindi uno dei tasselli di “un discorso culturale estremamente
coerente, compatto e continuo”,
9
pertanto và studiato, analizzato e se ne deve
parlare tanto quanto gli altri film.
6
Giorgio Cremonini, op.cit.
7
Ivi pg 7
8
Ivi pg 8
9
Ibidem
6
È un film profondamente debitore nei confronti dei fermenti culturali e storici
del tempo in cui venne alla luce, si nutre del clima di incertezze e sofferenze
che hanno caratterizzato il periodo degli anni ’60. Sente sulla sua “pelle” i
cambiamenti apportati dal capitalismo e dal consumismo i quali hanno
trasformato il mondo in una grande supermarket in cui tutto è caratterizzato
dalla produzione in serie e non più dall’esclusività e dall’unicità.
Tuttavia si pone lontano da una lettura prettamente sociologica dei fatti
proponendo “una visione della vita che tende a superarli e recuperarli nel
discorso assai più ampio sulla natura umana e sul potere.”
10
La storia di Alex e dei suoi compagni rinuncia alla propria attualità per
inscenare una vera e propria parabola sulla natura umana, come all’interno di
“un museo dell’uomo in cui vecchio e nuovo coesistono indifferenziati e
privati del loro senso originario.”
11
“Arancia meccanica è, apparentemente, un film lontano da qualunque genere,
ma che lo stesso tritura, cita, sminuzza, si diverte a restituire pezzi di genere,
citazioni del kolossal, dell’horror, del musical e li restituisce come scorie,
come visioni alla deriva di un immaginario cinematografico che ormai è
definitivamente deformato nel grottesco.”
12
Come è stato già detto è un film che ha al centro del suo nucleo narrativo il
problema della violenza. Kubrick prese spunto per la sua creazione da un
romanzo dello scrittore Anthony Burgess, Un’arancia ad orologeria del
1961.
Il romanzo in questione, nella sua trasposizione a film, venne radicalizzato in
senso deformante, caricaturale e grottesco e la violenza in esso presente,
totalmente radicata e fagocitata da ogni strato della società, viene percepita
con un senso di normalità che quasi la si avvolge in un alone di rispettabilità.
10
Ivi pg 17
11
Ivi pg 21
12
Roberto Pugliese, I generi dopo Kubrick, in Fabrizio Borin (a cura di) op. cit., pg 25
7
A questo fenomeno, considerato routine, che riesce a plasmarsi perfettamente
con il vivere nella sua più dimessa quotidianità si oppongono, con un forte
senso di contrasto, le mascalzonate dei droogs i quali nella prima parte del
film si rendono autori di efferati crimini come stupri, aggressioni e malefatte
di vario genere.
Questi ragazzi sono nati, vissuti e cresciuti nella violenza, pertanto non
conoscono altri linguaggi al di fuori di essa: “essa per loro è un tutto al quale
reagiscono restando, per altro, interamente, entro il suo cerchio, irretiti in un
incantesimo che non controllano.”
13
Kubrick pensa per loro comportamenti e scene degne di vere e proprie recite
teatrali. Vediamo quindi che si travestono, parlano un linguaggio in codice
simile ai personaggi di Shakespeare, si muovono come clowns divertendosi a
portare nasi finti dalla forma fallica, visi truccati, ciglia finte e conchiglie per
la protezione dei genitali.
Dalla violenza, che rappresenta la quotidianità della loro vita, riescono a
trarre dei benefici assoluti: essa in definitiva non è altro che un piacevole e
divertente gioco che va a scontrarsi profondamente con la violenza che lo
spettatore conoscerà nella seconda parte del film; ovvero con la violenza
dello stato, delle istituzioni e del potere. Dall’incontro-scontro tra queste due
tipologie, ne scaturisce quasi un paradosso dal quale uscirà fuori che i crimini
dei droogs, della prima parte del film, impallidiranno al confronto con la
violenza “istituzionalizzata” di cui fanno un patologico uso autorità come
prigioni, preti e ospedali.
Da qui si potrebbe tentare di fare un paragone tra la violenza contenuta in
questo film e una certa tendenza, affermatasi nell’ultimo cinema americano,
alla raffigurazione di una violenza straripante e non più resistibile e di
conseguenza tirare anche in ballo la questione di come questa ondata di
“violenza mediatica” venga assorbita dal pubblico delle sale
13
Tito Perlini, op. cit. pg 40
8
cinematografiche facendo riferimento (come si potrà vedere nel quarto
capitolo) agli ipotetici effetti suggestivi o catartici.
In realtà però questo paragone non sembra tanto adeguato dal momento che
“l’orgia di violenza che sembra venir celebrata nel cinema americano degli
ultimi tempi – si pensi a Quentin Tarantino e al suo Pulp Fiction – è in chiave
meramente spettacolare e rifiuta di venir, più che tanto, presa sul serio.”
14
Prevale sostanzialmente una nota giocosa, la violenza si associa alla
leggerezza di un gioco fine a se stesso e viene anche addirittura presentata
sotto forma di grazia.
15
È vero che anche in Arancia meccanica c’è il
tentativo di presentare la violenza sotto le mentite spoglie di un piacevole
balletto con tanto di sottofondo da musical teatrale, ma questo avviene con
l’unico scopo di alleggerire il pesante carico emotivo che può travolgere lo
spettatore alle prese con un film del genere e non per scopi di pura di
banalizzazione della realtà.
Non dobbiamo assolutamente dimenticarci infatti che “in Kubrick la gelida
raffigurazione di un male privato d’ogni residuo di grandezza e scaduto a
dozzinalità non esclude ancor oggi, seppur nel rifiuto di qualsiasi concessione
al tono predicatorio, una implacata volontà di denuncia.”
16
14
Ivi pg 45
15
Ibidem
16
Ivi pg 46