Introduzione
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Coordinamento Savonese Bormide, i Piani Regolatori comunali, il censimento Filse
del 1998, il Piano delle Aree Ecologicamente Attrezzate del 2001.
Utilizzando il sistema informativo territoriale della Provincia, GeoMedia, sono state
riportate tutte queste informazioni sulla cartina digitale della Val Bormida.
Successivamente le informazioni raccolte sono state controllate attraverso visite in
loco.
Utilizzando la scienza dei sistemi dinamici, teoria nata per applicazioni aziendali al
MIT, è stato costruito un modello causale, qualitativo, per individuare i principali
meccanismi che si sono innescati nella Valle e che ne hanno causato la fortuna e la
rovina. Il modello confermato dai trend storici, ha messo in luce una problematica
piuttosto grave che è necessario comprendere e monitorare se si pensa ad un rilancio
industriale della zona: la presenza di grandi aziende esterne e una classe
imprenditoriale locale molto ristretta.
Il modello causale è stato, in un secondo tempo, trasformato in un diagramma di flusso,
e implementato al computer con l’ausilio di Powersim, un software di simulazione
dinamica messo a disposizione dall’Ateneo di Palermo; i trend storici ricostruiti sulla
base dei dati statistici raccolti sono stati confrontati con le simulazioni dinamiche
ottenute implementando il modello che è stato in questo modo calibrato e storicamente
valicato.
Il diagramma di flusso è stato quindi utilizzato per stimare un comportamento futuro a
parità di condizioni sulla base delle ipotesi e delle semplificazioni fatte.
La previsione, avente come estremi temporali il 2005 e il 2030, ha simulato il
comportamento del sistema senza alcuna azione sulla leva presa in considerazione, la
percentuale di fondi destinati al marketing territoriale, e con un forte investimento in
marketing (l’80% dei fondi dell’amministrazione).
Il risultato è un lento ma continuo declino nel caso in cui le condizioni restassero le
medesime e una stabilizzazione tendente alla crescita agendo sulla leva del marketing.
Sul rilancio industriale della valle verte la parte conclusiva della tesi che, partendo dai
Progetti Integrati del PTC Provinciale, in particolare il “Progetto integrato per la
connessione logistica della Val Bormida con la piattaforma dei porti di Savona-Vado e
per la riorganizzazione del comparto energetico” e il “Progetto integrato per la
costruzione della Città delle Bormide”, e dal piano di marketing proposto dalla Camera
di Commercio, individua le storiche carenze e potenzialità della zona per proporre e
valutare una serie di progetti in fase di analisi per la rivitalizzazione della Val Bormida.
Cap.1 – I diversi livelli delle politiche territoriali
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1. I diversi livelli delle politiche territoriali
1.1 Unione europea e politiche di sviluppo territoriale
1.1.1 Sviluppo storico dell’Unione e delle politiche d’interesse territoriale
In Europa, fino al secondo conflitto mondiale, i poteri e l’organizzazione politica
erano tutti nelle mani degli Stati nazionali che con le proprie legislazioni fissavano
norme di carattere vincolante per i cittadini, i partiti e gli organi statali. Soltanto con il
crollo totale dell’Europa e il declino economico e politico del nostro continente è stato
possibile uscire dagli ormai consolidati schemi nazionalistici per ripensare e
reinventare un nuovo ordine europeo.
Di collaborazione europea si comincia a parlare già nel 1947, anche grazie agli
americani ed in particolare dell’allora ministro degli esteri George Marshall il quale
sollecitava gli Stati europei ad unire i loro sforzi nell’opera di ricostruzione
economica. Viene così creata, nel 1948, l’Organizzazione europea per la cooperazione
economica, sostenuta dagli Stati Uniti con il “piano Marshall” che getta le basi per una
rapida ricostruzione dell’Europa occidentale.
Nello stesso anno si tiene all’Aia il congresso del Movimento europeo il quale riunisce
più di mille delegati provenienti da una ventina di Paesi europei. In questa sede la
discussione su nuove forme di cooperazione europee porta all’idea di una “Assemblea
europea” che verrà istituita l’anno seguente con il nome di “Consiglio d’Europa”, con
sede a Strasburgo. Tra i documenti redatti da questa assemblea il più famoso è
certamente la “convenzione europea a tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali” firmata a Roma il 4 novembre 1950 ed entrata in vigore nel settembre
del 1953.
Ma la prima vera pietra per la costruzione di una Comunità europea viene posta
dall’allora ministro degli Estri francese, Robert Schuman, con la sua Dichiarazione del
9 maggio 1950 (oggi celebrata come “Giornata dell’Unione europea”), nella quale
presenta il piano elaborato con l’amico e collega Jean Monnet, che prevedeva
l’unificazione dell’industria carbosiderurgica franco-tedesca in un’organizzazione alla
quale potessero aderire gli altri paesi europei.
Nasce così il 18 aprile 1951, con il Trattato di Parigi, la Comunità europea del
carbone e dell’acciaio (CECA) creata dai sei paesi fondatori (Belgio, Repubblica
federale di Germania, Francia, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi) ed entrata in
vigore il 23 luglio 1952.
Il processo di formazione delle comunità europee passa attraverso la decisione dei
ministri degli Affari esteri dei sei Paesi membri della CECA che propongono
l’estensione dell’integrazione europea a tutta l’economia. Questa decisione porta, il 25
marzo 1957, alla firma dei Trattati di Roma che istituiscono la Comunità
economica europea e la Comunità europea dell’energia atomica. In questo primo
Trattato CEE nel preambolo gli Stati firmatari fanno già riferimento all’esigenza di
“rafforzare l’unità delle loro economie e di garantire lo sviluppo armonioso riducendo
il divario fra le diverse regioni e il ritardo di quelle più svantaggiate”, prefigurano
azioni nel settore agricolo (PAC, Politica agricola comune) come limitazione delle
“disparità strutturali e naturali fra le diverse regioni agricole”(art. 39) e supportano
l’attività di quelle aziende che, per particolari condizioni geografiche, si trovino in una
posizione di svantaggio nell’ambito del mercato comune. Già nel 1958, infatti,
Cap.1 – I diversi livelli delle politiche territoriali
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vengono istituiti due fondi strutturali: il Fondo Sociale Europeo (FSE) e il Fondo
Europeo Agricolo di Orientamento e di Garanzia (FEAOG). Inoltre un’istituzione
già prevista nel Trattato di Roma è la Banca europea degli investimenti (BEI), nata per
la concessione di prestiti agevolati alle istituzioni locali e regionali impegnate nella
realizzazione di grandi opere infrastrutturali.
Nel 1965 viene firmato a Bruxelles il trattato di fusione degli esecutivi delle tre
Comunità (CECA, CEE, CEEA) che istituisce un unico Consiglio e un’unica
Commissione.
Con 18 mesi di anticipo, nel 1968, vengono aboliti gli ultimi dazi doganali sul
commercio intracomunitario dei prodotti industriali e viene introdotta la tariffa
doganale comune. Il processo di integrazione europea procede sempre più veloce
seguendo l’archetipo classico del “processo valanga”.
Nel 1970 viene firmato a Lussemburgo il trattato che permette il finanziamento
progressivo delle Comunità mediante un sistema di “risorse proprie” ed estende i
poteri del Parlamento europeo. Viene inoltre fondata la “Cooperazione politica
europea” (CPE) al fine di favorire un’armonizzazione politica tra gli Stati membri e,
l’anno successivo, l’istituzione del “serpente” monetario nel quale i sei Paesi membri
si impegnano a limitare al 2,25% lo scarto massimo di fluttuazione fra le loro valute. Il
serpente monetario verrà sostituito otto anni dopo dal Sistema monetario europeo
(SME) proposto al vertice di Brema da Francia e Germania.
Nel 1973 si assiste alla prima fase di allargamento dell’Unione che porta all’ingresso
di Danimarca, Irlanda e Regno Unito (Norvegia e Groelandia oppongono un
referendum negativo). Con l’ingresso del Regno Unito prende avvio una politica
maggiormente sensibile al tema degli squilibri regionali e ambientali. Si
concretizzano, in particolare, due linee d’azione destinate ad occupare una posizione
centrale nello sviluppo della Comunità nei due decenni a venire: la politica ambientale
e la politica di sostegno finanziario alle regioni svantaggiate dalla loro posizione
geografica. La politica ambientale fonda le sue radici non soltanto in motivazioni
culturali ma anche nella presa di coscienza del ruolo che le diverse politiche
ambientali in atto negli Stati membri possono esercitare nella creazione di diverse
condizioni di competitività. Dal 1973 la politica comunitaria viene articolata attraverso
Programmi d’azione a favore dell’ambiente e la pianificazione territoriale viene per la
prima volta indicata come strumento indispensabile per il raggiungimento di obiettivi
ambientali.
Un’altra importante innovazione, che di nuovo va posta in relazione all’ingresso del
Regno Unito, riguarda il riconoscimento della dimensione regionale come scenario
attraverso cui affrontare gli squilibri economici in seno alla Comunità europea. Il
governo inglese ha infatti posto come condizioni irrinunciabili per la sua adesione il
riequilibrio della spesa tra il settore agricolo e le questioni emergenti a livello urbano e
regionale, ad esempio la ristrutturazione industriale e la lotta a la disoccupazione di
lunga durata. Frutto e conseguenza di queste questioni è il Fondo europeo di sviluppo
regionale (Fesr) creato nel 1975 proprio per sostenere i processi di riconversione
economica e la politica di riequilibrio regionale. Quello stesso anno i capi di Stato e
di governo riuniti a Parigi istituiscono il Consiglio europeo e approvano le elezioni del
Parlamento europeo a suffragio universale diretto; viene inoltre firmato un trattato che
estende i poteri del Parlamento in materia di bilancio ed istituisce la Corte dei conti
europea.
Cap.1 – I diversi livelli delle politiche territoriali
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Nel 1981 anche la Grecia entra a far parte della Comunità europea diventando così il
decimo Stato membro.
Nel 1983 il Comitato per le politiche regionali e la pianificazione regionale presenta al
Parlamento un rapporto intitolato “Report Drawn up on Behalf of the Committe on
Regional Policy and Regional Planning on a European Regional Planning Scheme”
più comunemente detto “Rapporto Gendebian”. L’importanza di questo documento
consiste nell’anticipare alcuni dei temi di politica territoriale che si ritroveranno, circa
un decennio dopo, nei documenti Europa 2000, Europa 2000+ e nello SDEC. Gli
obiettivi politici che indica il rapporto sono: la garanzia del coordinamento delle
politiche e degli strumenti della Comunità al fine di aumentare la coerenza
dell’intervento comunitario, la promozione di uno sviluppo regionale integrato ed
equilibrato e la protezione del patrimonio culturale e ambientale europeo.
Soltanto un anno dopo anche la Conferenza dei ministri responsabili per la
pianificazione territoriale (Cemat), organismo operante nell’ambito del Consiglio
istituito negli anni sessanta, presenta la “European Regional/Spatial Planning
Charter” nella quale si trova una definizione comune di pianificazione territoriale
nella quale convengono tutti i ministri responsabili in materia. La pianificazione
territoriale assume dunque un “ruolo insostituibile nel raggiungimento di uno
sviluppo regionale equilibrato a fronte delle disparità emergenti nel contesto della
Comunità europea”. Il documento, inoltre, pone l’attenzione sull’esigenza di
coordinamento delle funzioni di pianificazione tra i vari livelli istituzionali e tra le
varie politiche settoriali.
Negli anni ottanta numerosi governi locali cominciano a sfruttare le fonti di
finanziamento comunitario per supportare le politiche contro il declino economico e
gli squilibri territoriali connessi alla ristrutturazione industriale, in particolare vengono
utilizzate le risorse comunitarie per affrontare gli aspetti più specificamente
immateriali del declino economico attraverso azioni per la formazione e il supporto
alle fasce sociali più deboli. Si comincia così a delineare, attraverso l’utilizzo in
sinergia del Fesr e del Fse, una forma di quell’approccio integrato che caratterizzerà le
azioni comunitarie future.
Infatti già nel 1984, in occasione della riforma dei fondi strutturali, compare un primo
approccio integrato alla dimensione locale e una filosofia di intervento per programmi
orientati dal punto di vista territoriale. Vengono introdotte tre nuove tipologie di
strumenti: i Programmi nazionali di interesse comunitario (Pnic), le Azioni di sviluppo
integrato (Asi) e i Programmi comunitari (Pc). Le prime applicazioni dei Pnic
riguardato prevalentemente azioni di supporto alle strategie di riconversione
economica nelle aree di antica industrializzazione, promuovendo la formazione di
partnership locali e più efficienti procedure di impiego delle risorse pubbliche. Le
Azioni di sviluppo integrato sono invece più espressamente rivolte a casi di declino
concentrato.
L’obiettivo dei Programmi nazionali d’interesse comunitario è quello di accrescere il
grado di coerenza e di programmazione degli interventi statali e di sperimentare
processi di programmazione pluriennale rispetto ad alcuni temi di sviluppo regionale
definiti dalla Commissione. Un’importante condizione imposta dalla Commissione è,
infatti, la presenza di un quadro di programmazione di livello regionale, possibilmente
integrato da un piano territoriale di coordinamento.
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Il 14 giugno del 1985 cinque paesi (Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi
Bassi) firmano l’Accordo di Schengen, in base al quale i controlli alle frontiere dei
paesi firmatari sono stati soppressi. Destinatari dell’accordo sono dunque i cittadini dei
paesi firmatari che possono varcare le frontiere con gli altri paesi europei senza più
esibire il passaporto. I controlli sono tuttavia sempre possibili per motivi fiscali,
sanitari o di ordine pubblico. Il Trattato è comunque un normale trattato
internazionale, crea dunque obblighi tra gli Stati e non diritti od obblighi in capo ai
cittadini degli Stati, che non potrebbero dunque invocarlo. Secondo altre
interpretazioni, invece, il Trattato viene accostato alla cittadinanza europea e quindi
definito “diritto del cittadino europeo alla libera circolazione”. L’Italia aderisce
all’Accordo nel 1997. Attualmente gli Stati firmatari sono 15 grazie all’aggiunta di
Austria, Danimarca, Finlandia, Grecia, Islanda, Norvegia, Portogallo, Spagna e
Svezia.
Il 1° gennaio 1986 si ha un terzo allargamento con l’ingresso di Spagna e Portogallo
nella Comunità europea.
Quello stesso anno viene firmato a Lussemburgo l’Atto unico europeo che getta le
basi per una politica di coesione istituendo i Programmi Integrati Mediterranei (PIM),
per ridurre il divario economico tra i 12 Stati membri, e inserisce tra le materie di
competenza comunitaria la politica regionale e quella ambientale.
Si apre il processo di riforma dei fondi strutturali dell’88. Le innovazioni della
riforma confluiscono nella programmazione della Comunità per il quinquennio 1989-
93 in seguito al quale si consoliderà la prassi di implementare la politica regionale per
cicli pluriennali.
L’erogazione delle risorse strutturali viene articolata in base ad obiettivi di
sviluppo regionale. Le regioni europee vengono perciò classificate attraverso una
serie di parametri tra cui, i principali, sono: il prodotto interno lordo pro-capite
regionale e il tasso di disoccupazione nei vari settori produttivi. Gli obiettivi possono
essere distinti in due tipologie:
Obiettivi a carattere territoriale (o verticale), i quali si rivolgono alle regioni
individuate sulla base dei parametri sopra descritti:
ξ Obiettivo 1, riguardante lo sviluppo e adeguamento strutturale delle regioni in
ritardo di sviluppo definite sulla base di un Pil pro-capite inferiore al 75% della
media comunitaria nei tre anni precedenti al 1988. Le aree ammesse a questo
obiettivo, che possono beneficiare di tutti e tre i fondi strutturali (Fesr, Fse,
Feaog), rappresentano nel periodo 89-93 il 40,6% del territorio, pari al 21,7%.
Tra i settori ammissibili a finanziamento vi sono, di maggior impatto
territoriale: le infrastrutture essenziali allo sviluppo economico, i servizi alle
piccole e medie imprese, le infrastrutture scolastiche e sanitarie e le misure per
lo sviluppo rurale.
ξ Obiettivo 2, riguardante la riconversione delle regioni e delle parti di regioni
gravemente colpite dal declino dell’industria definite sulla base di: un tasso di
disoccupazione superiore alla media comunitaria, un’incidenza
dell’occupazione industriale sull’occupazione totale superiore alla media
comunitaria e un trend negativo nell’occupazione industriale. Le aree obiettivo
2 corrispondono nel periodo 89-93 a circa il 16,5% della popolazione
comunitaria e sono prevalentemente concentrate nel vecchio cuore industriale
europeo. Sono ammessi a finanziamento, per questo obiettivo, opere
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infrastrutturali per il riassetto e la riqualificazione ambientale e azioni volte alla
creazione di centri di ricerca e servizi per le piccole e medie imprese.
ξ Obiettivo 5b, riguardante la diversificazione economica delle zone rurali e
indirizzato alle aree in cui, nel 1988, erano presenti contemporaneamente: un
basso livello di sviluppo socio-economico sulla base del Pil pro-capite,
un’elevata incidenza degli addetti all’agricoltura sul totale della popolazione
attiva e la presenza di bassi livelli di reddito derivanti dalle attività agricole.
Per tali aree, corrispondenti a circa il 5% della popolazione totale europea,
sono privilegiati interventi nella creazione di infrastrutture, nella tutela
dell’ambiente, nella creazione di servizi per le piccole e medie imprese
operanti nel settore agricolo.
Obiettivi a carattere tematico (o orizzontale), i quali si rivolgono all’intero contesto
comunitario:
ξ Obiettivo 3, riguardante la lotta alla disoccupazione di lunga durata
ξ Obiettivo 4, riguardante il reinserimento professionale dei giovani
ξ Obiettivo 5a, riguardante l’adeguamento delle strutture agricole
L’azione strutturale viene, inoltre, orientata sulla base di quattro principi: la
concentrazione degli interventi sugli obiettivi prioritari di sviluppo, la
programmazione per definire programmi pluriennali di sviluppo e promuovere
concertazioni tra i soggetti coinvolti, il partenariato per favorire una più stretta
concertazione tra Commissione europea e autorità statali competenti e l’addizionalità
per regolare l’impegno finanziario comunitario in termini di cofinanziamento rispetto
alla spesa pubblica degli Stati membri.
Dal punto di vista delle politiche urbane e territoriali una delle maggiori innovazioni
contenute nella riforma è il varo in una nuova generazione di Iniziative comunitarie
con l’obiettivo di sperimentare approcci innovativi da trasferire nelle politiche di
coesione. Nel primo periodo di programmazione vengono attivate 12 Iniziative
comunitarie (Interreg, Envireg, Stride, Leader, Regen, Euroform, Rechar,
Telematique, Regis, Horizon, Now, Prisma) per un ammontare complessivo di 1700
milioni di euro.
Tra queste iniziative quelle di maggior impatto territoriale sono: Interreg finalizzata
alla promozione della cooperazione tra regioni frontaliere realizzata con interventi nei
settori dei trasporti, delle telecomunicazioni, del turismo, dell’ambiente e dello
sviluppo rurale; Envireg, per la tutela dell’ambiente e dello sviluppo regionale e
Leader per la promozione dello sviluppo locale integrato nelle aree rurali.
Nel 1991 viene pubblicato il rapporto “Europa 2000. Prospettive per lo sviluppo del
territorio comunitario”, il primo documento di grande diffusione che comincia ad
esplicitare in maniera organica i temi centrali sulla via di una dimensione transazionale
e comunitaria degli interventi di pianificazione.
La politica di adeguamento delle reti viene investita di un particolare significato
strategico, a causa del timore che le dinamiche economiche in atto nella Comunità
possano condurre alla costituzione di nuovi squilibri territoriali. La strategia delle Reti
trans-europee viene analizzata sia in termini di opportunità di riduzione delle
perifericità che di pericolo di incremento del divario tra il cuore europeo e le regioni
già marginali. Nella sezione finale del documento viene stilato un elenco di
raccomandazioni da sottoporre al Comitato, già incaricato di redigere il primo
“Schema di sviluppo dello spazio europeo”, tra queste: la necessità di promuovere una
distribuzione più equilibrata delle attività economiche, con il fine anche di evitare la
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dipendenza di città e regioni da un unico settore economico industriale; la necessità di
porre attenzione agli effetti delle dinamiche demografiche; la necessità di valutare le
opportunità offerte dallo sviluppo delle tecnologie dell’informazione per evitare
fenomeni di congestione; la necessità di inglobare gli obiettivi economici in un quadro
di sostenibilità ambientale.
L’assetto politico del continente subisce una radicale trasformazione con la caduta del
muro di Berlino nel 1989, la riunificazione tedesca del ’90, la democratizzazione dei
paesi dell’Europa centrale e orientale liberatisi dal controllo sovietico e l’implosione
dell’Unione Sovietica nel dicembre del 1991.
Anche le Comunità europee sono in piena evoluzione. Gli Stati membri aprono le
trattative per elaborare un nuovo trattato che il Consiglio europeo adotterà a
Maastricht nel dicembre 1991. Il “Trattato dell’unione europea” entra in vigore il
1° novembre 1993 e la CEE diventa la “Comunità europea” (Titolo II). Un
obiettivo centrale dell’Unione europea è “Promuovere un progresso economico e
sociale sostenibile, segnatamente mediante la creazione di uno spazio senza frontiere
interne, il rafforzamento della coesione economica e sociale e l’instaurazione di
un’unione economica e monetaria…” (art.2). Ciò implica che le persone non
dovrebbero trovarsi in situazioni di svantaggio ascrivibili al luogo in cui vivono o
lavorano nell’Unione, da qui l’importanza della coesione territoriale, inclusa nel
trattato, come complemento degli obiettivi di coesione economica e sociale. Un altro
ambito in cui si parla ancora di coesione è il diritto dei cittadini di avere accesso ai
servizi essenziali, all’infrastruttura di base e alla conoscenza (art.16). Tra gli obiettivi
fondamentali dell’Unione europea figurano l’Unione economica e monetaria e il
mercato unico. Nel Trattato compare per la prima volta il riferimento alla
“pianificazione urbana e territoriale”(art.130), come strumento per garantire
coerenza spaziale alle politiche di coesione. La politica dei trasporti viene fatta
confluire nella più ampia politica delle reti trans-europee (TEN, Trans-european
networks) alla quale viene affidato un ruolo altamente strategico nella realizzazione
dell’integrazione spaziale dei territori europei. Dal punto di vista istituzionale
un’importante innovazione è la costituzione del Comitato delle Regioni come organo
consultivo del Consiglio e della Commissione su temi riguardanti la politica regionale
e dei trasporti, le iniziative culturali e territoriali.
Il Trattato prevede, infine, l’unione monetaria entro il 1999, la creazione della Banca
Centrale Europea (BCE), la cittadinanza europea e nuove politiche comuni come la
politica estera e di sicurezza comune (PESC) e la sicurezza interna.
Viene creato, inoltre, il Fondo di coesione a sostegno dei progetti per l’ambiente e i
trasporti negli Stati membri più poveri e gli viene assegnato circa un terzo del
bilancio comunitario mentre i fondi strutturali vengono ulteriormente integrati da un
nuovo Strumento Finanziario di Orientamento alla Pesca (SFOP).
La Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 produce il documento “Agenda XXI” che
individua le azioni da intraprendere nel XX1° secolo per uno sviluppo sostenibile
1
rispetto ai prioritari fattori di pressione sull’ambiente individuati in industria, trasporti,
energia, agricoltura e turismo.
Ulteriori ricerche su temi e problemi di carattere territoriale confluiscono nel rapporto
“Europa 2000+” pubblicato nel 1994. In questo rapporto vengono incorporate le
1
Lo sviluppo sostenibile è definito come uno “sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza
compromettere la capacità delle generazioni futire di soddisfare i propri bisogni”
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innovazioni concettuali e operative del Trattato di Maastricht e del Libro bianco
“Crescita, competitività, occupazione” pubblicato nel 1993. Il rapporto affronta le
principali tendenze nella distribuzione territoriale della popolazione e
dell’occupazione, esaminate in relazione agli effetti degli investimenti internazionali
sullo sviluppo regionale e all’impatto della politica delle Reti trans-europee. Vi è
un’intera sezione dedicata alle aree urbane, essendo queste riconosciute come uno dei
settori chiave per il riequilibrio del territorio europeo, nella quale vengono analizzate
alcune dinamiche demografiche come la crescita, negli anni ottanta, delle grandi città e
gli effetti si sub-urbanizzazione al loro interno. Le ragioni di tali dinamiche sono da
ricercare nell’aumento delle attività terziarie, nell’internazionalizzazione
dell’economia e della competizione tra sistemi territoriali. Tutto ciò ha fatto si che
risultasse più vantaggioso localizzarsi nelle grandi città, dove l’accesso alle economie
esterne è più facile e veloce. Questo processo ha portato ad una crescita esponenziale
dei costi di localizzazioni nei centri urbani i quali, sommati all’effetto del
miglioramento delle reti di collegamento, ha dato luogo al noto effetto di sub-
urbanizzazione. Per le città medie e piccole la strada della diversificazione delle
funzioni economiche attraverso politiche di rete viene indicata come l’unica possibilità
per mantenere alta l’offerta locale.
Infine, Europa 2000+ presenta i risultati delle ricerche sulle regioni trans-nazionali. Il
territorio viene diviso in 8 macro-sistemi (il Centro delle Capitali, l’Arco alpino, la
Diagonale continentale, i cinque Lander, l’Arco latino, l’Area del Mediterraneo
centrale, l’Arco atlantico, le Regioni del Mare del Nord, le Regioni ultraperiferiche)
per ognuno dei quali viene è sviluppata un’analisi dei problemi territoriali emergenti e
una serie di proposte per rimuovere le principali contraddizioni.
Nel 1993, in seguito alle numerose domande di adesione presentate già da molti Paesi
e destinate ad aumentare ulteriormente, il Consiglio europeo di Copenaghen stabilisce
i criteri di adesione (criterio politico, cioè di stabilità istituzionale; criterio economico,
di mercato funzionante; la capacità di applicare l’acquis comunitario) sulla base dei
quali avverranno i futuri allargamenti e che porteranno ad un’accesa discussione,
tutt’ora in corso, su quale debba essere il limite dei confini europei da un punto di
vista strettamente spaziale.
Il quarto allargamento, infatti, ha luogo due anni dopo con l’ingresso di Austria,
Finlandia e Svezia. Gli Stati membri diventano così 15, numero che resterà stabile fino
all’ultimo allargamento, avvenuto il primo maggio 2004, che vede l’ingresso di 10
Stati e che pone, in conseguenza della sua notevole portata, grandi sfide all’Unione
europea.
Nel 1997 la Commissione pubblica il “Compendium of Spatial Planning Systems
and Policies”, un documento comparativo che riunisce le informazioni
riguardanti i sistemi di pianificazione e gli indirizzi per le politiche territoriali dei
15 Stati membri. I sistemi di pianificazione nazionali vengono analizzati in funzione
di tre parametri: il riferimento costituzionale, le struttura del governo e delle
competenze in materia urbanistica e il quadro legislativo vigente. Vengono, in seguito,
riportati i meccanismi di produzione e revisione dei piani e delle politiche
urbanistiche, i meccanismi amministrativi e gestionali sui quali poggia l’esercizio
della politica urbanistica e l’articolazione delle politiche nei contesti nazionali sia in
termini verticali che orizzontali. Infine vi è un tentativo di sintesi comparativa dei
sistemi europei e uno stralcio di piano per ogni paese. Al momento attuale il
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Compendium è il solo documento quadro sui sistemi di pianificazione del territorio dei
vari Paesi europei.
Un primo sviluppo ai fini della realizzazione dell’UE è rappresentato dal Trattato di
Amsterdam, siglato il 2 ottobre 1997, nella stessa città ed entrato in vigore il 1°
maggio 1999. Il Trattato mira a consolidare l’Unione e a semplificarne i processi
decisionali. Introduce, infatti, la clausola di flessibilità che consente una più stretta
collaborazione tra taluni Stati membri, a certe particolari condizioni, sempre facendo
ricorso ai meccanismi e le procedure previste dai Trattati.
Intanto la programmazione dei fondi strutturali è al suo secondo ciclo (1994-1999),
che non si differenzia particolarmente dal primo. L’Obiettivo 1 arriva a coprire il 25%
della popolazione, mentre l’Obiettivo 5b passa dal 5% all’8,2%. Viene introdotto un
nuovo obiettivo, l’Obiettivo 6 che estende benefici analoghi a quelli dell’Obiettivo 1
alle aree con densità inferiore a 8 abitanti per Kmq.
Per poter usufruire dei finanziamenti dell’Ue, ogni Stato membro deve presentare una
programma di intervento detto P.O. (Programma Operativo); se le regioni
interessate fanno parte delle aree contrassegnate dall’Obiettivo 1, la Commissione
approva il Quadro Comunitario di Sostegno (Q.C.S.) che delinea gli assi prioritari di
intervento ed i mezzi finanziari previsti. Analogamente, anche le aree rientranti negli
Obiettivi 2 e 3, possono valersi dei fondi dell’Unione, tramite la presentazione di piani
operativi.
Vengono aggiunte due priorità alle 5 (la cooperazione e le reti transfrontaliere; lo
sviluppo rurale; lo sviluppo delle regioni ultraperiferiche; l’occupazione e lo sviluppo
delle risorse umane; la gestione delle trasformazioni industriali) in base alle quali
erano state orientate le Iniziative comunitarie: lo sviluppo delle aree urbane in crisi e
la ristrutturazione del settore della pesca. In seguito a ciò viene introdotta
l’Iniziativa Urban, nata per il sostegno delle aree urbane in crisi e la ristrutturazione
del settore della pesca. Vengono inoltre confermate le iniziative nel campo
dell’economia rurale (Leader II) e della cooperazione transfrontaliera (Interreg II), che
assegnano rilevante importanza alla pianificazione territoriale.
Il Consiglio europeo di Bruxelles decide che 11 Stati membri (Austria, Belgio,
Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo e
Spagna) soddisfano le condizioni necessarie per l’adozione della moneta unica. Così il
1° gennaio 1999 l’euro diventa la moneta ufficiale e viene introdotto sui mercati
finanziari. La Banca centrale europea (BCE) è ormai responsabile della politica
monetaria dell’Unione che è definita ed attuata in euro.
Sotto la presidenza tedesca nel 1999 a Postdam viene presentata la versione finale
dello Schema di sviluppo dello spazio europeo (Ssse o Sdec). Questo documento
rappresenta il risultato di un lungo processo di elaborazione intergovernativa condotto
sin dagli inizi degli anni novanta. La sua produzione è dovuta principalmente
all’attività del Comitato per lo sviluppo spaziale (Css), l’organo composto dalla
Commissione e dai ministri responsabili della pianificazione del territorio che, a
partire dal 1991, aveva affiancato la Conferenza europea dei ministri per la
pianificazione territoriale (Cemat). Al Css viene affidato, a Liegi nel 1993, il compito
di preparare un primo documento di opzioni politiche che si ponesse in continuità con
le linee del rapporto Europa 2000+. L’anno successivo durante il Consiglio di Lipsia
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vengono fissati i tre obiettivi dell’iniziativa: un obiettivo di sviluppo (il rafforzamento
della base produttiva delle regioni più deboli), un obiettivo di equilibrio (una migliore
qualità della vita e del lavoro) e un obiettivo di tutela (una protezione ed un recupero
della diversità del paesaggio, degli habitat e delle identità culturali). Vengono inoltre
decretati i sei fondamentali principi politici che devono essere rispettati: l’obiettivo
di coesione economica e sociale, l’immutabilità delle competenze delle istituzioni
incaricate delle politiche comunitarie, lo sviluppo equilibrato e durevole, il
carattere non vincolante dello Sdec per gli Stati membri, il rispetto del principio
di sussidiarietà (
2
) e l’applicazione dello Sdec a discrezione dello Stato.
La prima bozza dello Schema è presentata a Noordwijk nel 1997 e si configura come
uno strumento per migliorare l’attuazione delle politiche comunitarie e renderle più
efficaci a livello territoriale. In quell’occasione viene anche focalizzata l’attenzione su
tre obiettivi specifici: la creazione di un sistema di città equilibrato e policentrico, la
parità di accesso alle infrastrutture e alle conoscenze e la gestione prudente e lo
sviluppo del patrimonio culturale e naturale. Il documento di Noordwijk è articolato in
quattro sezioni: la strategia territoriale a livello europeo, i problemi territoriali, gli
obiettivi e le opzioni politiche per il territorio europeo, la realizzazione dello Schema
2
Il principio di sussidiarietà (riconosciuto dal trattato dell'Unione Europea di Maastricht e ripreso nella
Costituzione europea) riguarda i rapporti tra Stato e società. Esso é un fondamentale principio di libertà
e di democrazia, cardine della nostra concezione dello Stato. Esso si articola in tre livelli:
a) Non faccia lo Stato ciò che i cittadini possono fare da soli: le varie istituzioni statali devono creare le
condizioni che permettano alla persona e alle aggregazioni sociali (famiglia, associazioni, gruppi, in una
parola i cosiddetti "corpi intermedi") di agire liberamente e non devono sostituirsi ad essi nello
svolgimento delle loro attività. Questo perché la persona e le altre componenti della società vengono
"prima" dello Stato: l'uomo é principio, soggetto e fine della società e gli ordinamenti statali devono
essere al suo servizio. Per questo motivo lo Stato deve fare in modo che i singoli e i gruppi possano
impegnare la propria creatività, iniziativa e responsabilità, impostando ogni ambito della propria vita
come meglio credono, risolvendo da soli i propri problemi. In questo modo, si uniscono insieme il
massimo di libertà, di democrazia e di responsabilità, sia personale che collettiva.
b) Lo Stato deve intervenire (sussidiarietà deriva da subsidium, che vuol dire aiuto) solo quando i
singoli e i gruppi che compongono la società non sono in grado di farcela da soli: questo intervento sarà
temporaneo e durerà solamente per il tempo necessario a consentire ai corpi sociali di tornare ad essere
indipendenti, recuperando le proprie autonome capacità originarie.
c) L'intervento sussidiario della mano pubblica deve comunque essere portato dal livello più vicino al
cittadino: quindi in caso di necessità il primo ad agire sarà il comune. Solo se il comune non fosse in
grado di risolvere il problema deve intervenire la provincia, quindi la regione, lo Stato centrale e infine
l'Unione Europea. Questa gradualità di intervento garantisce efficacia ed efficienza, libera lo Stato da un
sovraccarico di compiti e consente al cittadino di controllare nel modo più diretto possibile. Applicando
questo principio, lo Stato si mette davvero al servizio dei cittadini, aiutando la formazione di un
cittadino attivo e autonomo, che non sia un suddito passivo e sempre bisognoso di assistenza.
Il principio di sussidiarietà é uno dei fondamenti della Dottrina Sociale della Chiesa. Di esso si trovano
tracce già in autori quali, per esempio, San Tommaso d'Aquino e Dante.
In tempi più recenti, di esso parla nella Rerum Novarum (1891) Leone XIII, ma la formulazione classica
é contenuta nell'enciclica Quadragesimo Anno (1931) di papa Pio XI: "...siccome non é lecito togliere
agli individui ciò che essi possono compiere con le loro forze e l'industria propria per affidarlo alla
comunità, così é ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori
comunità si può fare." Ne deriverebbe "un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della
società" poiché "l'oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa é quello di aiutare in
maniera suppletiva (subsidium afferre) le membra del corpo sociale, non già distruggerle ed assorbirle."
Di conseguenza, "é necessario che l'autorità suprema dello Stato rimetta ad assemblee minori ed
inferiori il disbrigo degli affari e delle cure di minore importanza"" per poter "eseguire con più libertà,
con più forza ed efficacia le parti che a lei sola spettano (...) di direzione, di vigilanza, di incitamento, di
repressione, a seconda dei casi e delle necessità."
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di sviluppo dello spazio europeo. L’elaborazione della versione definitiva dello Sdec è
stata condotta attraverso due momenti: il Consiglio di Glasgow nel 1998 e quello di
Potsdam nel 1999.
Questa ultima e definitiva versione presenta alcune innovazioni rispetto alle versioni
precedenti. Il documento è suddiviso in due parti: nella prima viene delineato il
contributo delle Ssse al raggiungimento di uno sviluppo equilibrato e sostenibile del
territorio dell’Unione, nella seconda parte si propone un’analisi delle principali
dinamiche riguardanti il territorio europeo rispetto alle opportunità e sfide che si vanno
delineando a livello economico e sociale. Lo Ssse individua una serie di politiche che
consentono alla Commissione europea di intraprendere azioni aventi un impatto
sullo sviluppo spaziale del territorio: la politica di concorrenza, le reti
transeuropee, i fondi strutturali, la politica agricola comune (PAC), la politica
ambientale, la politica di ricerca, tecnologia e sviluppo, le attività di prestito della
Banca europea degli investimenti.
Richiama i tre obiettivi fissati a Lipsia e si concentra in particolare sul primo. Mette in
evidenza due tipologie di squilibrio: tra le poche aree periferiche che non riescono a
bilanciare il peso della sola grande area di integrazione economica globale (la zona
copre il 18% dell’UE15, conta il 41% della popolazione, rappresenta il 48% del Pil ed
è responsabile del 75% della spesa per R&S), e la conseguente congestione che questo
squilibrio provoca nell’area centrale a fronte dell’impoverimento ed alienazione delle
aree periferiche, e, all’interno delle regioni, tra città e aree rurali. Lo Ssse, quindi,
propone non soltanto la creazione di link infrastrutturali tra aree marginali e cuore
economico ma anche la promozione di un articolato sistema territoriale nel quale varie
tipologie di regioni metropolitane possano offrire dotazioni di livello internazionali ed
essere efficacemente collegate tra loro. Le aree rurali vengono viste come “potenziale
endogeno” della città e si parla di politiche di rete che possano meglio sfruttare questa
risorsa. Viene sottolineata inoltre l’offerta che le aree rurali possono esprimere in
termini di turismo. Le tipologie di azioni proposte per promuovere il partenariato
città-campagna sono due: lo sviluppo di forme più evolute di democrazia e di
partecipazione locale e l’attivazione di nuove sinergie con le aree urbane regionali. Lo
Ssse inoltre propone un uso della tecnologia (e-job, e-learning, e-shopping…) come
mezzo di diversificazione economica, collegamento e sviluppo delle aree rurali.
Il documento tratta, inoltre, in modo esteso il problema dell’adesione degli 11 Stati, in
quel momento in procedura di preadesione, e individua tre ambiti nei quali valuta
legittimo l’intervento dell’Unione nei confronti dei paesi candidati: la pianificazione
dei sistemi di trasporto, l’introduzione di misure per la riqualificazione ecologica,
soprattutto delle aree industriali dimesse, e l’introduzione di misure d’aggiustamento
strutturale nelle regioni rurali.
Un’altra situazione messa in evidenza nel documento è l’eccessiva polarizzazione
delle città europee attorno a un ristretto numero di attività. Le politiche di
diversificazione economica rappresentano quindi un elemento irrinunciabile per la
costruzione di un welfare materiale e sociale all’interno delle città, e la principale
strategia per limitare i processi di esclusione sociale.
L’anno successivo la Commissione si fa promotrice di un programma di ricerca dal
titolo “Study Programme on European Spatial Planning” che approfondisce alcuni
punti trattati dallo Ssse, in particolare: lo sviluppo di forme di partnership tra aree
urbane e rurali, la verifica dei criteri di sviluppo e differenziazione spaziale adottati, o
sviluppo di un approccio cartografico ai temi delle politiche spaziali europee.
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Lo “Study Programme” costituisce un test per l’organizzazione della Rete di
osservatori sulla pianificazione spaziale in Europa (ESPON, European Spatial
Planning Observatory Network), strumento proposto dalla Commissione come
supporto alle politiche di pianificazione spaziale europea per facilitare la
coordinazione tra diversi livelli di decisione regionali e come punto di contatto tra
decisori politici, amministratori e tecnici. L’iniziativa ESPON è finanziata dal
programma Interreg III.
Il 24 marzo 1999 il Consiglio europeo di Berlino adotta le prospettive finanziarie
2000-2006 nell’ambito dell’Agenda 2000. Le innovazioni contenute in questa Agenda
possono essere interpretate come una generale tendenza alla concentrazione degli
strumenti che l’Unione individua per il raggiungimento dei propri obiettivi di
coesione. Nel periodo 2000-2006 l’UE fruisce di una dotazione complessiva di 213
miliardi di euro a titolo degli strumenti strutturali. A questo importo si aggiunge un
contributo di 22 miliardi di euro previsto nell’ambito degli aiuti di preadesione (
3
),
nonché 22 miliardi di euro a carico degli interventi strutturali a favore dei nuovi Stati
membri per il periodo 2004-2006. Questa dotazione complessiva di circa 257 miliardi
di euro rappresenta approssimativamente il 37% del bilancio comunitario previsto sino
al 2006.
Gli obiettivi vengono ridotti a 3:
ξ Obiettivo 1: resta inalterato ma contiene criteri più restrittivi per
l’ammissibilità a tale regime. A questo fondo viene riservato il 69,7% delle
risorse a disposizione dei fondi strutturali. Fondi destinati all’Italia: 21935 mln
di €.
ξ Obiettivo 2: riunisce i precedenti Ob. 2 e 5b e riguarda ora tutti i contesti
comunitari dove vi sono processi di declino legati alla mancanza di
diversificazione economica. L’Ob. 2 arriva a coprire il 18% della popolazione
ed interessa aree industriali per il 10%, aree rurali per il 5% e aree urbane per il
2%. A questo fondo viene riservato l’11,5% delle risorse dei fondi strutturali.
Fondi destinati all’Italia: 2145 mln di €.
ξ Obiettivo 3: rivolto a supportare i processi di adattamento delle politiche e dei
sistemi dell’educazione, della formazione e del lavoro. L’Ob. 3 prende il
12,3% dei totale dei fondi strutturali. Fondi destinati all’Italia: 3744 mln di €.
Inoltre viene predisposto un nuovo strumento per favorire un efficace utilizzo dei
fondi strutturali: la riserva di efficacia ed efficienza. Il 4% degli aiuti concessi a
ciascuno Stato membro viene accantonato fino al 2003 per essere assegnato in seguito
ai programmi che hanno ottenuto i migliori risultati.
3
L’UE aveva previsto aiuti di preadesione per i dieci Paesi dell’Europa centrale e orientale (PECO). Il
programma Phare, varato nel 1989, aveva il duplice scopo di rafforzare le istituzioni e le
amministrazioni per garantire l’applicazione della legislazione comunitaria e sostenere gli investimenti
sui settori più carenti; Phare-CBC integrava l’azione di Interreg; il Programma speciale di adesione per
l’agricoltura e lo sviluppo rurale (Sapard), creato nel 1999, interveniva per preparare i Paesi candidati
ad adeguarsi alla politica agricola comune dell’Unione infine lo Strumento strutturale di preadesione
(ISPA), istituito nel 1999, interveniva secondo il modello del Fondo di coesione per finanziare grandi
progetti a favore della tutela dell’ambiente e delle reti transeuropee. Gli aiuti di preadesione, inoltre,
hanno preparato alla gestione dei fondi strutturali. In seguito all’adesione, infatti, gli interventi previsti
nell’ambito del programma Phare sono trasferiti al FESR e al FSE, quelli dell’ISPA al Fondo di
coesione e quelli di Sapard al FEAOG. Attualmente godono ancora degli aiuti di preadesione soltanto
Romania e Bulgaria.
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Le iniziative comunitarie vengono drasticamente ridotte nel numero, restano le
iniziative: Interreg, per la cooperazione transfrontaliera; Urban, per la rigenerazione
economica e sociale della città; Leader +, per lo sviluppo rurale integrato e Equal, per
la lotta alla discriminazione e alle disuguaglianze sul lavoro.
Il 23-24 marzo 2000 il Consiglio europeo di Lisbona elabora una nuova strategia che
definisce “un nuovo obiettivo strategico per l’Unione, allo scopo di rafforzare
l’occupazione, la riforma economica e la coesione sociale nel quadro di un’economia
fondata sulla conoscenza”. La strategia di Lisbona si fonda su due pilastri a favore di
un rinnovamento economico e sociale ai quali viene ad aggiungersi un terzo pilastro a
carattere ambientale integrato l’anno successivo dal Consiglio europeo di Goteborg
che richiama e completa anche l’obiettivo più frequentemente citato, ossia fare
dell’Unione europea “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e
dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile
con nuovi e migliori posti di lavoro ed una maggiore coesione sociale”. Al vertice
di Lisbona vengono identificate un certo numero di priorità: dare la precedenza
all’innovazione e all’impresa (condizioni favorevoli all’R&S, legami più stretti tra
istituti di ricerca e industria, etc.), assicurare la piena occupazione (creare opportunità
d’impiego, incrementare la produttività e la qualità sul luogo di lavoro, promuovere
l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita), garantire un mercato del lavoro
inclusivo, collegare l’Europa attraverso un miglioramento delle reti di trasporto,
telecomunicazioni ed energia e, infine, proteggere l’ambiente e introdurre nuove
tecnologie a basso impatto ambientale. A Goteborg si parla di sviluppo sostenibile
inteso come uno sviluppo in grado di soddisfare i bisogni attuali senza compromettere
quelli delle generazioni future. Così la politica ambientale, inserita tra quelle
comunitarie già dal 1993, va ad integrare il processo di Lisbona.
Sempre nel 2000 a Nizza il Consiglio europeo concorda sul testo di un nuovo trattato,
che verrà firmato il 26 febbraio 2001, che riforma il sistema decisionale dell’UE, nella
prospettiva dell’allargamento, introducendo, come regola generale, al posto del voto
all’unanimità, il voto a maggioranza qualificata per molti settori del processo
decisionale.
I presidenti del Parlamento, del Consiglio europeo e della Commissione proclamano la
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Nel 2002 i 15 Stati membri ratificano simultaneamente il Trattato di Kyoto,
accordo mondiale sulla riduzione dell’inquinamento atmosferico. Il Consiglio europeo
di Siviglia trova un accordo per la politica comune in materia d’asilo e immigrazione.
La Convenzione per la preparazione di una costituzione europea, convocata nel 2001
dal Consiglio europeo di Laeken, si conclude tra giugno e luglio del 2003 con
l’adozione di un progetto di trattato costituzionale e si apre la conferenza
intergovernativa (CIG), composta dai rappresentanti dei governi degli Stati membri,
per redigere un nuovo trattato comprensivo di una costituzione europea. Il 18 giugno
2004 i capi di Stato e di governo raggiungono un accordo.
Il 1° maggio 2004 entrano a far parte dell’Unione europea Cipro, l’Estonia, la
Lettonia, la Litania, Malta, la Polonia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, la Slovenia e
l’Ungheria mentre l’adesione di Romania e Bulgaria è rimandata al 2007.
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La Costituzione europea viene firmata dai capi di Stato e di governo dei 25 Stati
membri a Roma il 29 ottobre 2004.
1.1.2 Prospettive per il periodo di programmazione 2007-2013
Il 10 febbraio 2004 la Commissione ha pubblicato la relazione “Sfide e mezzi
finanziari dell’Unione allargata 2007-2013”. In questa prima comunicazione
Commissione, Consiglio e Parlamento cominciano a fissare le priorità per il nuovo
periodo di programmazione. Il documento parla di sviluppo sostenibile in termini di
crescita, occupazione e protezione delle risorse naturali, di cittadinanza europea per
quanto riguarda lo spazio di libertà, sicurezza, giustizia e l’accesso a beni e servizi
fondamentali, e delle politiche dell’UE in qualità di partner globale. Oltre a trattare il
quadro e il sistema finanziario il documento si sofferma anche sulla necessità di far
coincidere le risorse con gli obiettivi e di raggiungere gli obiettivi affermando che “il
successo delle politiche si basa sull’efficacia degli strumenti per la loro realizzazione e
su un sistema appropriato di governance economica. Questo implica una giusta
ripartizione dei compiti tra Unione e Stati membri, un’adeguata concentrazione e
coerenza degli obiettivi condivisi, il consenso ed il partenariato tra gli attori
coinvolti e il riesame degli strumenti di attuazione per assicurare la coerenza e la
semplicità”. Quindi propone una semplificazione degli strumenti di supporto allo
sviluppo rurale al settore della pesca scorporando i fondi per lo sviluppo rurale dalla
rubrica coesione e raggruppandoli in un unico strumento, all’interno della rubrica
PAC, con i seguenti obiettivi: ristrutturazione del settore, miglioramento dell’ambiente
rurale, miglioramento delle condizioni di vita e diversificazione della base economica.
L’iniziativa Leader+ potrebbe essere integrata nella programmazione principale. In
modo analogo le azioni di sostegno alla ristrutturazione del settore pesca verrebbero
raggruppate in un unico strumento.
Il 18 febbraio 2004 il Commissario europeo per la politica regionale, Michel Barnier,
ha presentato il terzo rapporto sulla coesione economica e sociale, intitolato: ”Un
nuovo partenariato per la coesione: convergenza, competitività, cooperazione”. Il
rapporto ha costituito l’avvio della fase decisiva del negoziato. La tappa seguente è
stato il Forum Europeo sulla Coesione (9-11 maggio, Bruxelles), nel quale Stati,
Regioni, Parti Sociali hanno presentato le loro valutazioni circa le proposte della
Commissione. La discussione si è articolata attorno a due tavole rotonde: “Fissare una
nuova agenda: future priorità per la politica di coesione” e “Riforma del sistema di
erogazione: semplificazione e decentralizzazione”. I vari contributi hanno confermato
un largo consenso alla politica di coesione da parte di Stati, regioni e città. Gran parte
dei partecipanti insiste sul fatto che le proposte della Commissione sul futuro di questa
politica, le quali sono contenute non solo nel 3° rapporto sulla coesione ma anche nella
relazione della Commissione adottata il 10 febbraio 2004, siano una buona base per le
negoziazioni inter-istituzionali da poco iniziate. Le due maggiori tendenze emerse dal
Forum sono: la coesione come cuore degli sforzi dell’Unione europea per aumentare la
produttività e la competitività dell’economia europea e la coesione politica più
decentrata e semplice.