Introduzione
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Oggi si ritiene che il punto di arrivo di un processo continuo di sviluppo di
competenze sia l’acquisizione di un apprendimento autoregolato. Lo studente
autoregolato è uno studente autonomo, consapevole e flessibile; sa identificare
i propri obiettivi di apprendimento e individuare i mezzi strategici con cui
raggiungerli. Si potrebbe dire che lo studente autoregolato sa come, dove,
quando e quanto studiare.
Il modello teorico dell’apprendimento autoregolato è stato il prodotto di un
lungo percorso compiuto dalla psicologia in questo ambito, un percorso spesso
tortuoso e discontinuo. Per lungo tempo infatti i diversi fattori che vanno a
determinare l’attività di studio sono stati esaminati in modo isolato, in filoni di
ricerca indipendenti, impedendo così di coglierne le numerose interazioni e, di
conseguenza, la complessità generale dell’intero processo.
In questa tesi si è cercato di ripercorrere, anche da un punto di vista
cronologico, le principali tappe teoriche che hanno caratterizzato questo campo
di studi. Il primo capitolo descrive l’approccio metacognitivo. Per
metacognizione si intende la conoscenza del soggetto sui propri processi
mentali e sui processi mentali in generale. Questo approccio ritiene quindi che
uno studente efficace deve possedere un ampio bagaglio di strategie cognitive,
che vanno continuamente monitorate e regolate durante la loro applicazione.
Il secondo capitolo descrive i possibili orientamenti motivazionali di uno
studente; oggi si preferisce utilizzare il temine orientamento motivazionale
piuttosto che motivazione, per sottolineare il fatto che ogni comportamento
motivato non è la semplice conseguenza di bisogni interni, ma è il prodotto di
fattori cognitivi e affettivi, che attivano e influenzano il comportamento in
direzione di uno specifico obiettivo (De Beni, Moè 2000).
Il terzo capitolo descrive le attribuzioni e le percezioni di abilità coinvolte
nel processo di apprendimento. Le attribuzioni sono quei processi per cui gli
individui attribuiscono cause ai fenomeni che li circondano o in cui sono
coinvolti, mentre le percezioni di abilità, quale per esempio l’autoefficacia,
riguardano il come i soggetti percepiscono sé stessi nei confronti dei compiti di
apprendimento. Questi processi contribuiscono così a determinare sia
Introduzione
5
l’atteggiamento degli studenti nei confronti dei compiti di apprendimento sia
l’interpretazione degli esiti di tali compiti.
Nel quarto capitolo vengono descritti i modelli complessi cui è giunta oggi la
ricerca psicologica nel campo dell’attività di studio. Per lungo tempo i filoni di
ricerca si sono sviluppati in modo indipendente: per esempio c’era chi si
occupava degli aspetti strategici e chi degli aspetti motivazionali
dell’apprendimento. Se questa mancanza di convergenze da un lato ha
permesso di approfondire le conoscenze all’interno delle rispettive teorie di
riferimento, dall’altro ha impedito di evidenziare le possibili relazioni tra i vari
fattori che determinano l’apprendimento. Solo a partire dagli anni Ottanta si è
cominciato a pensare alla possibilità che questi fattori dell’apprendimento
potessero essere collegati. Si sono così sviluppati modelli in cui vengono fatti
interagire fattori strategici, motivazionali, metacognitivi ed emotivi. Questi
modelli, proprio in virtù della loro complessità, possono essere considerati validi
nel descrivere un processo articolato come quello di apprendimento.
Nel quinto capitolo viene affrontato il tema della valutazione dello studio,
con l’analisi degli strumenti oggi disponibili, nella letteratura internazionale e in
quella italiana, per questo specifico scopo: ne emerge un quadro in parte
paradossale, in quanto a fronte di una ricchissima ricerca non si è
parallelamente sviluppata un altrettanto ricca messa a punto di strumenti di
valutazione efficaci e validati, il cui numero è, a tutt’oggi, piuttosto esiguo.
Nella seconda parte del volume viene presentata l’attività sperimentale
condotta; l’idea da cui questa ricerca deriva, è nata da uno spunto di riflessione
di Wolters (1998) sulla letteratura esistente in questo specifico ambito della
psicologia. Dopo che la ricerca è giunta ad individuare modelli sufficientemente
complessi per descrivere efficacemente i processi di apprendimento, gli sforzi
dei ricercatori si sono concentrati principalmente sull’individuazione e
concettualizzazione di quegli aspetti dell’apprendimento che sono autoregolati
dagli studenti. Anche la motivazione è stata inclusa nei modelli dei ricercatori
come componente fondamentale di un apprendimento autoregolato, ma la
Introduzione
6
relazione tra motivazione e autoregolazione è stata quasi esclusivamente
descritta nei termini di un rapporto unidirezionale causa/effetto: cioè i costrutti
motivazionali sono chiamati in causa per spiegare gli sforzi degli studenti
nell’attivare e autoregolare le proprie risorse strategiche. La motivazione non è
stata quasi mai considerata come un fattore che, al pari degli altri, deve essere
regolato e adattato dagli studenti in risposta ai sempre mutevoli compiti di
apprendimento.
Attraverso la somministrazione di un questionario analogo a quello
presentato da Wolters (ibidem), abbiamo allora tentato di indagare se e come
la motivazione viene modulata dagli studenti universitari al variare delle
difficoltà e dei compiti che si trovano di fronte. È stato scelto di somministrare
questo questionario a due campioni, studenti universitari del primo anno e
studenti universitari del quinto anno: ciò potrà fornire dati interessanti
sull’eventuale ruolo dell’esperienza, accumulata nel corso del percorso
accademico, nel determinare la risposta degli studenti alle difficoltà.
L’approccio metacognitivo
7
Capitolo primo
L’APPROCCIO METACOGNITIVO
Da un punto di vista storico il punto di partenza della teoria metacognitiva è
rappresentato dagli studi di Flavell (1971) sulla metamemoria nei bambini, nei
primi anni settanta. La metamemoria viene definita da Flavell come conoscenza
potenzialmente verbalizzabile che una persona possiede su vari aspetti di
immagazzinamento e recupero dell’informazione. Flavell avanza l’ipotesi che le
scarse prestazioni di memoria siano imputabili ad una carente produzione
strategica, cioè all’incapacità di usare spontaneamente le strategie di memoria,
e suppone che tale carenza sia rimediabile con l’addestramento. Se in
precedenza le differenze individuali nel ricordo erano imputate a diverse
strutture di memoria, con Flavell si attribuiscono a differenti modalità d’uso
delle strategie a disposizione (Passolunghi De Beni 2001). Dagli inizi degli anni
settanta vi è stata, quindi, una crescente attenzione alla consapevolezza dei
propri e degli altrui processi cognitivi e allo sviluppo di tale consapevolezza.
1. LA METACOGNIZIONE
La metacognizione oggi è definita come quell’insieme di attività psichiche
che presiedono al funzionamento cognitivo (Cornoldi 1995). Il costrutto
metacognizione comprende due aspetti fondamentali: 1) la conoscenza
metacognitiva che un individuo possiede in relazione al proprio funzionamento
mentale e al funzionamento mentale in generale (l’insieme di credenze,
opinioni, convinzioni su come lavora la mente); 2) i processi di controllo e
autoregolazione messi in atto durante lo svolgimento di un compito, per
esempio interrogarsi su come sta procedendo l’esecuzione di un compito e di
conseguenza decidere se è il caso di cambiare il proprio modo di agire
(Passolunghi, De Beni 2001).
L’approccio metacognitivo
8
L’elemento di specificità della teoria metacognitiva è rappresentato quindi
dall’intreccio tra idee sul funzionamento mentale e processi di controllo, che
assumono importanza perché influenzano determinati comportamenti cognitivi
(ibidem). La metacognizione si presenta quindi come un costrutto
multidimensionale, perché fa riferimento a più processi tra loro collegati. Proprio
per questa sua caratteristica di multidimensionalità, in letteratura ne esistono
diverse descrizioni, simili a quella esposta all’inizio del paragrafo, ma ognuna
con proprie specificità.
Pintrich, Wolters e Baxter (vedi in Borkowski 1996) distinguono tre aspetti
interrelati tra loro della metacognizione: Knowledge, Judgements e Monitoring,
Self Regulation. Per Knowledge, o conoscenza metacognitiva si intende una
conoscenza dei processi cognitivi, simile per struttura e funzione agli altri tipi di
conoscenza della memoria a lungo termine. Metacognitive Judgements e
Monitoring, si riferisce ad attività o processi messi in atto dall’individuo mentre
affronta uno specifico compito; tra questi si possono inserire giudizi
sull’apprendimento, sensazioni su quanto si conosce, monitoraggio della propria
comprensione del compito, giudizi sulla propria confidenza con il compito.
Queste attività sono predittive di una buona performance per un’ampia gamma
di compiti di apprendimento e memoria. Infine la componente di Self Regulation
rappresenta il più alto livello di attività metacognitiva: essa consiste
nell’adattare le proprie capacità cognitive e strategiche in risposte a nuovi e
mutevoli compiti.
Schraw (1998) distingue la metacognizione in Knowledge of cognition e
Regulation of cognition. La knowledge of cognition, o conoscenza
metacognitiva, si riferisce a quanto un individuo conosce dei propri processi
cognitivi e dei processi cognitivi in generale. Tale conoscenza metacognitiva
include tre differenti tipi di consapevolezza: dichiarativa, procedurale e
condizionale. La conoscenza dichiarativa (Declarative Knowledge) include le
conoscenze che un individuo possiede sulle proprie modalità d’apprendimento e
sui fattori che influenzano le proprie performance. La conoscenza procedurale
L’approccio metacognitivo
9
(Procedural Knowledge) fa riferimento alla conoscenza su come si affrontano
determinati compiti: essa è rappresentata in gran parte da euristiche e da
strategie; un tipico esempio riguarda come suddividere e categorizzare nuove
informazioni. La conoscenza condizionale (Conditional Knowledge) riguarda il
quando e il perché usare le conoscenze dichiarative e procedurali; essa
permette un adattamento alle richieste specifiche di ogni compito. L’aspetto di
Regulation of cognition riguarda un set di attività che aiutano l’individuo nel
controllare il proprio apprendimento; essa permette un miglioramento delle
performance, attraverso un uso efficace delle risorse attenzionali e delle
strategie esistenti e una maggiore consapevolezza degli errori di comprensione
del compito.
Sintetizzando i modelli teorici analizzati, si può, quindi, concludere che il
nucleo comune della metacognizione è l’unione di una componente di
conoscenza e una componente di controllo: entrambi questi aspetti verranno
analizzati nei prossimi paragrafi.
2. LA CONOSCENZA METACOGNITIVA
Le conoscenze metacognitive riguardano quanto il soggetto sa o crede circa
una pluralità di processi cognitivi, quali la memoria, la comprensione, lo studio
ecc.. Possono esservi incluse le idee circa il funzionamento cognitivo in
generale, le convinzioni sulle proprie capacità, la consapevolezza dell’esistenza
di problemi cognitivi e delle proprie capacità di farvi fronte, la conoscenza
dell’efficacia e dell’uso delle strategie e dei personali punti di forza e di
debolezza. Tutti questi elementi possono derivare da esperienze personali o
dall’osservazione del comportamento altrui (De Beni, Moè 2000).
Nel considerare il costrutto metacognizione esiste il pericolo di considerare
metaconoscenza tutta la conoscenza che guida il nostro comportamento; è
necessario, di conseguenza, non dimenticare che il requisito fondamentale è
che l’oggetto della conoscenza sia la nostra attività mentale, non il
comportamento o il mondo esterno (Cornoldi 1995).
L’approccio metacognitivo
10
In letteratura s’incontra spesso l’interrogativo dell’esistenza, all’interno della
conoscenza metacognitiva, di un “nocciolo duro” di particolare importanza
funzionale (ibidem): tale interrogativo nasce dalla constatazione che non tutte
le metaconoscenze sono ugualmente in grado di favorire l’apprendimento di
nuove conoscenze e costituire la molla per l’avvio di azioni ad esse conseguenti.
Esisterebbero quindi elementi di conoscenza metacognitiva capaci di produrre
nuove e particolari abilità metacognitive: la presenza o meno di tali elementi
potrebbe per esempio spiegare perchè in condizioni apparentemente simili due
individui sono portati a sviluppare in modo differente riflessioni adeguate sul
proprio funzionamento mentale o perchè due soggetti che ugualmente
conoscono una medesima strategia la applicano poi con modalità e in misura
differenti (ibidem). Questa componente metacognitiva basilare è stata
concettualizzata in diversi contributi, sistematizzati nella tabella 1.2.
Flavell (1976), considerando il caso di bambini piccoli e lo sviluppo in essi
del riconoscimento delle caratteristiche peculiari delle richieste di un compito,
chiama tale componente Sensativity; la definizione di sensativity si riferisce
quindi alla nascita della consapevolezza legata all’uso di processi controllati
volontari. Borkowsky, Milstead e Hale (1988) distinguono questa componente
essenziale in conoscenza delle relazioni tra strategie e conoscenza generale
strategica, un cui nucleo fondamentale è costituito dal ruolo positivo assegnato
alle strategie. Analogamente Cornoldi (1995) distingue tra conoscenza e
atteggiamento metacognitivo, preferendo questo secondo termine per
sottolineare come questo nucleo basilare di conoscenza metacognitiva è più di
un semplice normale insieme di conoscenze. In esso infatti l’aspetto conoscitivo
è connesso in modo molto stretto con quello emotivo e ha conseguenze forti sul
comportamento di un individuo.
L’approccio metacognitivo
11
Tab.1.2 Forme di concettualizzazioni di una conoscenza metacognitiva
sovraordinata (tratta da Cornoldi 1995, 46)
SENSITIVITY (Flavell 1976)
“il bambino sviluppa presumibilmente una sensibilità o un senso relativo a quando la
situazione richiede da parte sua sforzi volontari, intenzionali di ricordare. Solo gli adulti
o i bambini grandi hanno appreso che è appropriato e adattativo in certe situazioni,
ma non in altre, dare avvio deliberatamente a certe attività cognitive specializzate che
noi chiamiamo strategie di memoria...C’è ragione di pensare che questo tipo di
sensibilità deve essere appreso, i bambini devono imparare cosa significa compiere
uno sforzo attivo, continuativo, ispirato da obiettivi e diretto verso di essi vuoi per
recuperare qualcosa adesso, vuoi per memorizzare ora al fine di ricordare in futuro”.
ATTEGGIAMENTO STRATEGICO (Cornoldi 1987)
Gli specifici aspetti di un atteggiamento strategico sono:
a) il fatto di comportarsi in modo specifico nei compiti intenzionali
b) l’abilità di usare strategie, seguendo istruzioni allo scopo
c) la comprensione del rapporto tra uso di strategie e il successo in compiti di
memoria
d) la conoscenza delle strategie
e) la propensione a usare spontaneamente le strategie
f) la propensione a ispezionare le caratteristiche dei compiti proposti al fine di
individuare le strategie appropriate per affrontarli
CONOSCENZA DELLE RELAZIONI TRA STRATEGIA E CONOSCENZA GENERALE STRATEGICA
(Borkowsky, Milstead e Hale 1988)
La conoscenza delle relazioni tra strategie permette di classificare le varie strategie
riconoscendone i rapporti e gli usi appropriati in riferimento a compiti diversi.
La conoscenza generale strategica si riferisce alla comprensione che è necessario in un
certo sforzo cognitivo per ottenere dei buoni risultati in compiti cognitivi e che in
particolare si ha successo quando lo sforzo è associato all’uso di categorie appropriate.
ATTEGGIAMENTO STRATEGICO (Cornoldi e Caponi 1991)
L’atteggiamento metacognitivo “riguarda la generale propensione del soggetto a
riflettere sulla natura della propria attività cognitiva e riconoscere la possibilità di
utilizzarla ed estenderla: essa può aiutare il bambino, anche quando egli non possiede
conoscenze metacognitive specifiche utili per il caso proposto. Ad esempio, di fronte a
un compito nuovo o proposto in maniera nuova, il bambino ne riconosce le
caratteristiche di richiesta di memoria e lo collega a situazioni e soluzioni note,
adottando i tipi di risposta già posseduti nel proprio repertorio al caso specifico. Un
elemento particolarmente significativo dell’atteggiamento strategico è costituito dal
riconoscimento del contributo che il proprio impegno dà al successo di un’azione
cognitiva”.
L’approccio metacognitivo
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3. I PROCESSI METACOGNITIVI DI CONTROLLO
I processi metacognitivi di controllo sono attività che aiutano l’individuo a
regolare il proprio apprendimento o l’esecuzione di un compito (Schraw 1998).
L’interesse della psicologia per i processi di controllo può essere fatto risalire già
alla fine degli anni quaranta: gli studi di Wiener sulla cibernetica introducono il
concetto di retroazione o feedback, che sarà uno dei cardini della Teoria
Generale dei Sistemi di von Bertalanffy (vedi in Watzlawick, Beavin, Jackson
1967).
La nozione di feedback e di controllo costituirà poi l’unità elementare del
comportamento ipotizzata da Miller, Galanter e Pribram (1960) che, primi tra gli
psicologi, hanno tentato di descrivere il comportamento in termini di
pianificazione e controllo. Il comportamento è visto come il risultato di un
processo di continua verifica retroattiva del “piano” di comportamento secondo
l’unità TOTE (test - operate - test - exit): l’atto finale (exit) non consegue
direttamente a un input sensoriale o a un comando motorio, ma è il risultato di
precedenti operazioni di verifica (test) delle condizioni ambientali, di esecuzioni
(operate) intermedie e di nuove verifiche (test).
Nell’approccio metacognitivo l’esigenza di distinguere tra conoscenza e
processi di controllo nasce quando una rassegna di Cavanaugh e Perlmutter
(1982) sottolinea l’impossibilità di confrontare i risultati di ricerche sulla
metaconoscenza. Gli autori vi affermavano che “sfortunatamente il definire
come metamemoria sia ciò che una persona conosce, sia come usa tale
conoscenza, comporta la mancata distinzione tra le conoscenze sulla memoria e
i processi che orchestrano questa conoscenza. Questa confusione concettuale
comporta l’impossibilità di spiegare la prestazione...non si capisce se l’errore
nella prestazione è dovuto all’uso inefficiente di una conoscenza ben articolata o
all’uso corretto di una conoscenza male articolata” (ibidem).
Oggi si trovano in letteratura lunghe descrizioni dei processi metacognitivi
di controllo; tuttavia ritengo non necessario passare in rassegna tutti i processi
possibili, quanto piuttosto evidenziarne gli aspetti fondamentali e darne una
classificazione.
L’approccio metacognitivo
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Cornoldi (1995) individua quattro funzioni basilari che devono svolgere i
processi di controllo: 1) rendersi conto dell’esistenza di un problema; 2) essere
in grado di predire la propria prestazione; 3) pianificare l’attività cognitiva
conoscendo l’efficacia delle azioni programmate; 4) registrare e guidare l’attività
cognitiva in relazione all’obiettivo posto. Una classificazione dei processi
metacognitivi di controllo può avvenire in base a quando tali processi sono
messi in atto (Schraw 1998); si possono così distinguere:
- prima dell’attività cognitiva: i processi di pianificazione;
- durante l’attività cognitiva: i processi di monitoring;
- dopo l’attività cognitiva: i processi di valutazione.
I processi di pianificazione, o planning, riguardano la selezione di
appropriate strategie e lo “stanziamento” delle risorse ritenute necessarie per la
performance successiva (ibidem). A proposito di questi processi di
pianificazione, si sono riscontrate in letteratura varie obiezioni sulla loro reale
esistenza (Cornoldi 1995). L’obiezione principale è che se i processi di
pianificazione entrano in gioco nel determinare le modalità d’avvio dell’azione
volta alla soluzione del compito, tali processi dovrebbero di conseguenza
rallentare l’avvio dell’azione e determinare forme di esperienze consapevoli nel
soggetto. Questo non sembra invece accadere. Per esempio se consideriamo
uno studente universitario posto in laboratorio per un compito di memoria, può
sembrare che non vi sia in lui nessuna attività di pianificazione: infatti, non dirà
di essersi posto consapevolmente il problema di definire il compito, la difficoltà
del materiale, il livello di prestazione che vuole conseguire. Questo può
facilmente essere spiegato dal fatto che i processi di pianificazione, come tutte
le attività ripetute, possono giungere a un notevole livello di automatizzazione
ed essere eseguiti senza l’intervento della coscienza (ibidem).
I processi di monitoring avvengono durante l’apprendimento o l’esecuzione
del compito. Il monitoring è generalmente un’attività costante, ma non produce
adattamenti, decisioni e variazioni continui; infatti, esso avviene spesso “in
negativo”, cioè prevede l’intervento solo quando certi valori critici, delle variabili
L’approccio metacognitivo
14
implicitamente sottoposte a monitoraggio, sono raggiunti. Solo quando arriva
un feedback di “stato di crisi” allora solitamente si interviene (ibidem). Esistono
anche casi di feedback attivo, cioè casi in cui è il soggetto stesso ad operarsi
attivamente per ricevere segnali sull’andamento della sua performance: per
esempio l’autoesame, attraverso cui il soggetto esamina se ha imparato nel
modo e nella misura che si era proposti. I processi di monitoring sembrano
inoltre essere in grado di: 1) distinguere gli studenti abili da quelli meno abili 2)
predire performance future (Everson, Tobias 1998) (per un’analisi dei processi
di monitoring vedi Schraw, Nietfeld 1998).
I processi di valutazione si riferiscono alla stima dei risultati e dell’efficienza
dell’apprendimento o della performance (Schraw 1998). Per esempio, nella
revisione di un proprio testo scritto, il processo di valutazione consiste
nell’adottare il punto di vista di un possibile lettore, diagnosticare i problemi del
testo e correggerli. La valutazione permette, infine, di ridefinire gli obiettivi
personali che si erano stabiliti prima dell’apprendimento o della performance
(ibidem).
L’approccio metacognitivo
15
4. LE STIME METACOGNITIVE
Un interessante settore dell’approccio metacognitivo, che intreccia
conoscenza metacognitiva e processi di controllo, è quello delle stime
metacognitive. Le stime metacognitive, dette anche processi di previsione, sono
giudizi soggettivi relativi alle personali capacità di riuscita in una particolare
attività (De Beni, Moè 2000). Nell’accostarsi ad un compito, infatti,
spontaneamente si fanno previsioni su come sarà la propria performance, e
accade anche di modificare la previsione sui risultati dell’azione nel corso del
suo svolgimento (Cornoldi 1995).
Le previsioni si differenziano, oltre che per la richiesta, per il momento in
cui sono espresse, cioè prima, durante o dopo l’esecuzione del compito; nel
caso di un compito di memoria la predizione cambia a seconda che avvenga
durante la fase di acquisizione, di mantenimento o di recupero dell’informazione
(De Beni, Moè 2000), come esemplificato in figura 1.4.
ACQUISIZIONE MANTENIMENTO RECUPERO
EOL JOL PTR PTR FOK Post – dizione
Figura 1.4 Esemplificazione di processi metacognitivi di controllo di previsione o
revisione riferiti alle diverse fasi di un compito di memoria. (Mazzoni e Cornoldi
1991).
Prima della fase di acquisizione vera e propria si può chiedere ai soggetti di
prevedere la facilità di apprendimento del materiale presentato (Ease of
Learning, EOL); si può chiedere di giudicare il grado di apprendimento o di
conoscenza, cioè la probabilità di ricordare durante o alla fine del processo di
memorizzazione (Judgment of Learning, JOL) (vedi in Kelemen 2000).
L’approccio metacognitivo
16
Si può infine richiedere di giudicare il livello di conoscenza del materiale
che, dopo che è stato appreso, non è stato ancora recuperato oppure, per
quanto ci si sforzi, appare non recuperabile dalla memoria; in questo caso si
chiede, quindi, la “sensazione di conoscenza” di un’informazione non ricordata
(Feeling of Knowing, FOK).
Può essere chiesto una previsione di natura globale, che riguarda la
quantità di ricordo finale, che viene fornita dopo la fase di acquisizione o subito
prima della fase di recupero (Prediction of Total Recall, PTR), o addirittura dopo
la prova di memoria (Post dizione) (per una rassegna sui processi di previsione
vedi Mazzoni e Cornoldi 1991; Cornoldi 1995; De Beni Moè 2000).
Secondo Cornoldi (1995) la capacità di predire l’apprendimento del
materiale e la prestazione è un aspetto interessante della memoria e dei
processi cognitivi in generale, principalmente per due ragioni.
1) Costituisce innanzi tutto un aspetto osservabile del processo di controllo
relativo alla propria attività cognitiva, permettendo, quindi, di fare luce
su tale processo e di studiare in che modo e in quale misura esso
raggiunga il livello di consapevolezza.
2) Permette di definire meglio la funzione del processo di controllo,
cercando di chiarire se la previsione rappresenti semplicemente una
sorta di epifenomeno rispetto al funzionamento cognitivo, o se non sia
piuttosto un fattore che influenza l’andamento dei processi cognitivi
stessi, ipotesi con la quale Cornoldi sembra concordare.