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1.1 CENNI STORICI DI SPETTROSCOPIA NEL VICINO
INFRAROSSO
Era il 17 marzo del 1800, quando l’astronomo
Wilhelm Herschel (fig. 1) dimostrò l’esistenza
della radiazione infrarossa. Nel corso dei suoi
esperimenti, egli aveva osservato che la radiazione
dispersa da un prisma copriva una superficie
maggiore della sola frazione visibile: questo era
dimostrabile ponendo un termometro vicino alla
frazione rossa, al di fuori della frazione visibile
e osservando che la temperatura misurata dallo stesso aumentava.
Herschel diede lettura di questa sua scoperta presso la Royal Society di
Londra il 24 aprile 1800, in una relazione dal titolo “Experiments on the
Refrangibility of the Invisibile Rays of the Sun”( Herschel,1800).
Mentre l’interesse verso la porzione media dell’infrarosso è continuato nel
tempo, le attenzioni verso il vicino infrarosso rimasero sopite (Wheeler,
1960) fino agli anni ‘40 del secolo scorso.
Un primo ritorno d’interesse avvenne grazie alle pubblicazioni di J.W. Ellis
(1928), W. Kaye (1954), e R.F. Goddu (1960). In particolare gli articoli di
Kaye furono i primi a riguardare la teoria degli spettri e la ricerca
d’applicazioni analitiche (Barton II, 2002), attraverso un rigoroso studio
della struttura e degli spettri di molecole bi- e tri-atomiche. Questi
contributi permisero di avere una prima base teorica su cui sviluppare
utilizzi pratici. Nel 1946, infatti, si registrarono le prime applicazioni
industriali nell’ambito petrolchimico. Fu poi la contemporanea evoluzione
tecnica nella produzione di strumenti, in particolare la costruzione di
detector più efficaci, a permettere, a metà degli anni ’50 i primi esperimenti
analitici su materiali biologici densi. Una figura chiave nella spettroscopia
Figura 1-Wilhelm
Herschel
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infrarossa è Karl Norris (Williams e Norris, 2001), ricercatore del
Dipartimento dell’agricoltura statunitense, che utilizzò la tecnica NIRS in
trasmittanza per la determinazione dell’umidità e delle proteine nei cereali
e negli sfarinati e per determinare umidità e grasso in campioni di carne. In
seguito i suoi interessi si diressero verso lo studio della spettroscopia NIR
in riflettanza, aprendo il campo agli sviluppi avvenuti nei decenni
successivi. Negli anni ’70 la tecnica NIRS si propone come tecnica di
processo, offrendo la possibilità di operare, attraverso misure in
trasmittanza, analisi non distruttive su campioni ad elevata umidità, come
frutta e verdura, per determinare anche difetti della struttura interna,
invisibili all’occhio umano. A questa evoluzione corrisponde anche la
comparsa dei primi strumenti commerciali, apparati a filtri utilizzati per
determinare rapidamente il contenuto d’umidità e di proteine delle
cariossidi di cereali (Barton II, 2003). Dall’ ambito agrario, grazie ad una
serie di progetti di ricerca e all’approvazione di metodi da parte
dell’American Organization of Analytical Chemists (AOAC), la
spettroscopia NIR si espanse così in tutti i campi delle scienze applicate,
dalla farmaceutica al controllo di processo.
1.2 PRINCIPI TEORICI DI SPETTROSCOPIA
La spettroscopia è la scienza che studia l’interazione tra radiazione
elettromagnetica e materia. In particolare, essa viene utilizzata per indicare
la separazione, rivelazione e registrazione di variazioni di energia (picchi di
risonanza) che interessano nuclei, atomi o intere molecole. Queste
variazioni energetiche sono dovute all’interazione tra radiazione e materia,
specificatamente all’emissione, assorbimento o diffusione di radiazioni o
particelle elettromagnetiche. La base teorica dell’interazione è la natura
quantica del trasferimento di energia dal campo di radiazioni alla materia e
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viceversa. Infatti, sia la materia sia il campo elettromagnetico hanno una
“doppia natura”, ossia la possibilità di comportarsi sia come onda sia come
particella. Per la materia questo comportamento è stato dimostrato
dall’esperimento detto della “doppia fenditura” (fig. 2), mentre per la
radiazione è dimostrato dall’effetto fotoelettrico, descritto da Einstein nel
1921.
Il carattere ondulatorio della radiazione elettromagnetica è comunemente
descritto dalla sua lunghezza d’onda Ο, misurata in nanometri (nm = 10
-9
m), dal numero d’onda v¯ , che rappresenta il numero d’onde presenti in
un’unità di lunghezza, misurato in reciproco di centimetro (cm
-1
), dalla
velocità V con il quale avanza il fronte d’onda, e dalla frequenza Θ
misurata in Hertz, corrispondente al numero d’oscillazioni che avvengono
in un dato punto in un’unità di tempo.
La relazione tra queste grandezze è data da:
Figura 2- esperimento di Young o “della doppia fenditura”
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La velocità dell’onda elettromagnetica nel vuoto è uguale a c
(comunemente noto come “velocità della luce”) ed è pari a circa 3*10
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m/s.
In qualsiasi altro mezzo la velocità è inferiore. Lo spettro della radiazione
elettromagnetica è composto da diverse zone delimitate da lunghezze
d’onda precise. Questa suddivisione origina cinque grandi gruppi: la
frazione visibile, che occupa la parte centrale dello spettro e ha
caratteristiche intermedie, la frazione ultravioletta e i raggi ionizzanti,
caratterizzate da alte frequenze e corte lunghezze d’onda, infine la frazione
infrarossa e le onde radio, caratterizzate da bassa frequenza e alte
lunghezze d’onda. Una rappresentazione classica dello spettro, che riporta
anche le grandezze caratteristiche, è la seguente (fig. 3):
Figura 3-Spettro elettromagnetico e sua suddivisione in porzioni
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La radiazione elettromagnetica è rappresentabile come un campo elettrico e
magnetico alternato nello spazio. Le sue proprietà ondulatorie possono
essere spiegate in termini di vettori elettrici e magnetici, perpendicolari tra
loro ed entrambi perpendicolari alla direzione di propagazione dell’onda
(fig. 4).
Un movimento ondulatorio che si propaga in modo continuo non appare
suddivisibile in unità discrete dotate di esistenza indipendente e potrebbe
essere considerato come un flusso continuo d’energia; quando la radiazione
invece viene ad interferire con la materia, le sue proprietà sono quelle
appartenenti alle particelle e non alle onde. La descrizione quantitativa di
molte interazioni tra la radiazione e la materia è possibile solo se ci si
riferisce ad un modello corpuscolare dove la radiazione elettromagnetica è
rappresentabile da un flusso di particelle dette fotoni. L’energia di un
fotone è proporzionale alla frequenza della radiazione da esso
rappresentata. La quantità d’energia trasferita per fotone è data dalla
relazione di Einstein-Planck:
Figura 4-Modello rappresentativo della radiazione elettromagnetica
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dove E è l’energia del fotone in Joule, h è la costante di Planck (6.62 *10
-34
joule*s). Le altre grandezze coinvolte sono già state precedentemente
descritte.
Questa relazione spiega quindi che l’energia di un fotone di una radiazione
monocromatica (ovvero a frequenza singola) dipende solo dalla sua
lunghezza d’onda (o dalla sua frequenza). Un fascio di radiazioni potrà
avere un’intensità più o meno forte secondo la quantità di fotoni per unità
di tempo e unità di area, ma l’energia quantica (E) è sempre la stessa per
una data frequenza della radiazione.
Niels Bohr, nel 1914, iniziò a spiegare l’interazione tra radiazione
elettromagnetica e materia con questi tre postulati:
1. I sistemi atomici esistono in stati stabili, senza emettere energia
elettromagnetica.
2. L’assorbimento o l’emissione d’energia elettromagnetica avviene
quando un sistema atomico passa da uno stato di energia ad un altro.
3. Il processo di assorbimento o di emissione corrisponde ad un fotone di
energia radiante hv = E’ - E’’, dove E’ - E’’ è la differenza di energia tra
due stati di un sistema atomico.
Bohr affermò quindi che, in accordo con i principi della meccanica
quantistica, esistono solo alcuni stati energetici in cui una molecola può
trovarsi. Il suo stato energetico può essere modificato solo da quei fotoni
che abbiano un’energia quantica corrispondente ad una delle differenze tra
i suoi vari stati energetici.
Gli effetti della radiazione sulla materia variano a seconda della frequenza
della radiazione (quindi dell’energia da essa veicolata) e sono riassunti
nella tabella 1:
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Le specifiche caratteristiche di assorbimento o emissione di energia
radiante da parte di un materiale sono uno dei più importanti sistemi di
identificazione presenti in natura. Quando un fascio di radiazioni è fatto
passare attraverso un oggetto, l’intensità della radiazione incidente (I
0
) sarà
maggiore di quella della radiazione emergente (I). Una parte della
radiazione incidente, invece di essere trasmessa, è stata quindi assorbita
dalle molecole che compongono il campione, diffusa o riflessa dalla
superficie del campione, oppure può essere stata riemessa dal campione a
una lunghezza d’onda diversa.
Un esperimento di spettroscopia si compie quindi proiettando una
radiazione elettromagnetica di intensità nota su un campione, raccogliendo
una parte di radiazione (trasmessa, riflessa o riemessa) e inviando quanto
raccolto a un rivelatore. Per fare questo si utilizza lo spettroscopio,
strutturato come in figura 5:
Figura 5-Modello di spettroscopio
Tabella 1-Effetti delle onde elettromagnetiche sulla materia