CAPITOLO 1.0
WEB 2.0, SOCIAL ADVERTISING
1.1 Web 2.0: un nuovo modo di comunicare.
“L’espressione Web 2.0 fa riferimento a comunità e servizi basati sul Web,
o spitati in remoto e percepiti come di seconda generazione […], che mirano a facili-
tare la collaborazione e condivisione fra utenti. Anche se il termine suggerisce una
nuova versione del World Wide Web, non si riferisce ad un aggiornamento di speci-
fiche tecniche, ma a cambiamenti nel modo in cui gli sviluppatori di software e gli
utenti finali usano il Web come piattaforma. ”.
Questa definizione è tratta da G. Cosenza, Semiotica dei nuovi media, p. ri-
presa a sua volta da Wikipedia England e riporta gli elementi peculiari della nuova
era del web. Si introduce un concetto fondamentale per l’analisi della comunicazione
utilizzata nello stesso: quello di interazione tra sito e utente. L’interazione cui fa rife-
rimento questa definizione va oltre quella classica tra utente e macchina o utente e
software, laddove si instaura una sorta di dialogo tra i due poli, con un processo co-
municativo bidirezionale, costituito da messaggi di input e feedback inviati sia da
una parte sia dall’altra.
L’interazione tipica del web 2.0 è evoluta nel senso che l’utente ha la possibi-
lità di compiere azioni e utilizzare funzioni molto più complesse rispetto a quelle di-
sponibili dal web 1.0.
In questo caso sono stati introdotti ulteriori termini fondamentali per lo stu-
dio e la comprensione della comunicazione sul web 2.0: collaborazione e condivisio-
ne fra utenti. La collaborazione e la condivisione costituiscono l’anima, il motore di
qualsiasi sito progettato in una logica Web 2.0: basti pensare a YouTube e Flickr,
considerati i pionieri del nuovo modo di pensare Internet e la relazione sito-utente.
L’utente ha parte attiva nel costruire i contenuti, può decidere la bontà degli stessi
esprimendo il suo giudizio, può rendere disponibili i propri e avere un ruolo da pro-
tagonista all’interno del sito in questione.
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Tornando alla definizione riportata da G. Cosenza, viene introdotto un altro
elemento caratteristico del Web 2.0: il “web come piattaforma”, ovvero la base da
cui mandare in esecuzione uno o più programmi. Questo significa che gli utenti uti-
lizzano sempre più spesso software e dati presenti in rete e non sul proprio compu-
ter, non solo per navigare o leggere le mail, ma anche per archiviare, organizzare e
gestire i propri file.
1.2 I social media.
Proprio per le caratteristiche di cui si è accennato finora, al termine web 2.0
si affianca spesso l’espressione “social media”, che si riferisce in generale a tutti i
nuovi mezzi di comunicazione in cui l’utente-pubblico-consumatore è protagonista
nel processo comunicativo. Con questa definizione si sottolinea il ruolo “sociale” dei
media, in quanto l’utente, grazie ed attraverso di essi, può costruire relazioni e con-
dividere esperienze, situazioni, opinioni con altri, conosciuti o ignoti.
Un interessante estratto di un e-book, dal titolo “What is social media?”, di
A. Mayfield, ne elenca le caratteristiche fondamentali:
• Partecipazione : i social media incoraggiano contributi e feedback da parte
degli interessati, accorciando le distanze tra media e utenti;
• Apertura : la maggioranza dei servizi forniti dai social media sono aperti alla
partecipazione e risposta da parte degli utenti; incoraggiano le votazioni, i
commenti e la condivisione di informazioni, è raro trovare barriere per accede-
re o utilizzare i contenuti (quelli protetti da password non sono graditi);
• Conversazione : per i media tradizionali si può parlare di broadcast, ovvero
trasmissione o distribuzione di contenuti ad un pubblico, invece i social media
sono visti come una conversazione bi-direzionale;
• Community : i social media consentono il rapido formarsi di comunità e la
loro efficace comunicazione; le community condividono interessi comuni, come
la fotografia, un argomento politico o un programma televisivo preferito;
• Connettività : la maggioranza dei social media si basano sulla possibilità di
connettersi ad altri siti, risorse e persone.
Continuando a seguire le tracce dell’e-book, è possibile individuare le princi-
pali forme di social media:
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• Social network: in questi siti gli utenti possono creare le proprie pagine web
personali e poi connettersi con gli amici per condividere contenuti e comunica-
re con loro (es. Facebook, MySpace, Bebo);
• Blog : sono una sorta di diario personale sul web, i cui contributi appaiono
dal più recente al più lontano nel tempo (es. di editor Splinder, Wordpress,
Blogger);
: questi siti permettono di aggiungere contenuti o modificare le informa-
• Wiki
zioni già presenti, come in un database o documento comune (es. Wikipedia);
• Podcast : iscrivendosi ad uno di questi siti, sono a disposizione contenuti au-
dio e video, scaricabili attraverso servizi come Apple iTunes;
• Forum : sono aree dedicate alle discussioni sul web, dedicate di solito ad uno
specifico argomento o interesse; i forum sono nati prima del termine “social
media”;
• Content community : sono comunità che organizzano e condividono specifi-
che tipologie di contenuti, come foto (Flickr), link da segnalare (del.icio.us) e
video (YouTube);
• Microblogging : sono la combinazione di social network e segmenti di blog, in
cui piccole quantità di contenuti sono condivise on line, attraverso aggiorna-
menti frequenti (es. Twitter).
A questi è il caso di aggiungere i god games (giochi manageriali), giochi per
il computer in cui il giocatore ha l’illusione di controllare il mondo rappresentato
come se fosse una divinità (per esempio The Sims), e giochi “di ruolo” come Second
Life, a metà tra un gioco e una community, in cui l’utente crea il proprio avatar e in-
teragisce con gli altri abitanti di quel mondo.
1.2.1 L’enciclopedia nella rete.
Tutte le informazioni condivise sul web dagli utenti vanno a formare ciò che
Umberto Eco definisce enciclopedia, ovvero il sapere, la conoscenza, le competenze,
in comune, come presupposto alla base di ogni processo comunicativo. Il concetto,
come inteso dallo studioso, comprende tutto: dalla cultura popolare ai saperi tecni-
co-specialistici, così come banalità, volgarità e alta letteratura. In effetti, in rete cir-
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colano contenuti di qualsiasi tipologia. Il primo studioso che si è avvicinato ad osser-
vare questo fenomeno è stato Pierre Lévy nel 1994, il quale ha invece parlato di in-
telligenza collettiva, ovvero “un’intelligenza distribuita ovunque, continuamente va-
lorizzata, coordinata in tempo reale, che porta a una mobilitazione effettiva delle
competenze” (G. Cosenza, Semiotica dei nuovi media, p. 160). In quegli anni, tutta-
via, gli utenti di internet erano solo 20 milioni; a partire dal 2000, grazie all’abbassa-
mento dei costi per la navigazione e alla crescita esponenziale degli utenti, l’intelli-
genza collettiva si è realizzata pienamente.
Un primo esempio è la blogosfera, l’insieme interconnesso di tutti i blog del
mondo: il vertiginoso proliferare di blog non è dovuto soltanto alla possibilità di ve-
dere pubblicati i propri contenuti personali, ma anche al fatto di poter creare e orga-
nizzare una serie di link a pagine esistenti, selezionandole e commentandole in base
ai propri interessi e preferenze. In questo modo, aumenta la probabilità che un blog
sia apprezzato dalla rete, maggiormente cliccato, segnalato ad altri e ai primi posti
su un motore di ricerca come Google. Dati questi presupposti, ecco come un blog-
ger può contribuire allora alla formazione dell’intelligenza collettiva: producendo
contenuti che possano interessare altre persone; creando una rete di link su quei
contenuti. E la blogosfera cresce, sia in dimensioni sia in qualità. Altri esempi sono i
siti wiki, come Wikipedia, nei quali ogni utente può aggiungere contenuti e modifica-
re quelli già inseriti da altri, o siti come Amazon.com e Ibs.it, che ospitano le recen-
sioni degli utenti sui libri, cd e dvd in vendita, trovando in questo sistema il modo di
aumentare sia i visitatori del sito sia le vendite stesse.
1.3 Il processo di débrayage nel web 2.0.
Dal punto di vista semiotico, tutte le forme di social media mettono in rela-
zione gli utenti tra di loro, i quali, più precisamente, entrano in relazione gli uni con i
simulacri in rete degli altri. Anche nel caso del web 2.0, dunque, entrano in gioco le
regole della semiotica del testo, secondo la quale la comunicazione (intesa come te-
sto) si basa sempre su un processo di débrayage. L’enunciatore e l’enunciatario non
entrano direttamente in relazione, sono separati, oggettivati dai loro simulacri, che
possono essere prodotti coscientemente o no, secondo i casi. In un blog, per esem-
pio, l’enunciatore non è consapevole di creare un proprio simulacro, perché sente di
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scrivere direttamente, di essere coinvolto in quanto persona reale. In realtà non è
così, perché il blogger sceglie quali contenuti pubblicare, quale stile di scrittura uti-
lizzare, quale immagine di sé mettere a disposizione degli altri utenti, quali informa-
zioni rendere visibili e così via. Nel caso dei giochi come Second Life, invece, l’utente
sa perfettamente di costruire un personaggio, un simulacro di sé che va ad interagi-
re con altri personaggi. La differenza consiste nel fatto che in questo caso l’utente è
cosciente di poter trovare o costruire personaggi che non corrispondono a persone
reali.
In tutti i casi di comunicazione sul web, a prescindere dalla consapevolezza
del processo di débrayage, ci troviamo nella situazione illustrata da questo schema:
E [E (E D) D] D
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Come spiegato da Volli, nel suo volume Semiotica della pubblicità, “l’emitten-
te empirico Esi fa rappresentare da un emittente delegato E e lo stesso fa con il
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destinatario”. Volli chiarisce l’argomento con un esempio tratto dal mondo pubblici-
tario, che può essere facilmente applicato anche ai social media. “Ad esempio una
certa società E si presenta sotto la forma di una marca E e cerca di identificare il
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suo target D, che in generale non può coincidere con gli acquirenti reali del prodot-
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to e neppure con gli spettatori dello spot (D). Il loro rapporto può essere rappre-
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sentato da comunicatori finzionali di diverso ordine, come il classico venditore dello
spot dei due fustini al posto di uno, o i vari tipi di entità magica alla Mastro Lindo
(E) che sottopongono alle loro cure l’altrettanto classica casalinga (D).”. Lo stesso
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avviene per i siti, i blog e tutti gli strumenti di web 2.0 utilizzati dalle aziende per ri-
volgersi al loro pubblico. Cosa sono, infatti, questi strumenti, se non un modo nuo-
vo, dinamico, di intraprendere azioni di comunicazione?
Occorre proseguire il discorso facendo cenno allo schema più completo pro-
posto da Bettetini, riportato con alcune varianti sempre da Volli:
Sem
Set
So Seo Sa Ser
TESTO
Lm
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“Dove Set è il soggetto empirico trasmittente (ad esempio una certa società
o la sua agenzia pubblicitaria o un’emittente televisiva); Ser è il soggetto empirico
ricevente (ad esempio un certo telespettatore); Sem è il soggetto enunciatore mo-
dello, costruito dal destinatario nel suo impatto e nel suo lavoro con la superficie si-
gnificante del testo (ad esempio una certa «immagine» di quel che è «la marca»);
So è il soggetto enunciatore come ad esempio appare nella trasmissione (il vendito-
re finzionale, l’aiutante magico); Seo è il soggetto dell’enunciato (ciò di cui si parla,
ad esempio il prodotto); Sa è il soggetto enunciatario (ad esempio il compratore
rappresentato); Lm è il lettore modello che il testo nel suo complesso produce come
competenza e interesse necessari per la sua comprensione”.
1.4 Le relazioni nei social media.
In questi complessi processi di relazione tra simulacri, scendendo nel detta-
glio, è possibile notare le differenze tra le strutture comunicative tipiche delle intera-
zioni sul web di prima generazione e quelle sul web 2.0. Il web 1.0 è concepito
come un sistema informativo, basato quindi sulla logica del broadcasting: gli utenti
cercano in internet informazioni o servizi; dall’altra parte, le aziende e le istituzioni
dispongono delle conoscenze e competenze tecnologiche e le distribuiscono in rete.
Dal punto di vista informatico, questo modello è di tipo client/server: l’utente possie-
de una macchina (il computer) e i software client (il browser, programmi di posta
elettronica ecc.), i fornitori delle informazioni e dei servizi invece sono dotati di po-
tenti server, che contengono grandi database ed eseguono i programmi per gestire i
dati e permetterne l’accesso via web.
Per il web 2.0, è riduttivo parlare di paradigma broadcasting e di funzione in-
formativa: la nuova concezione della rete va ben oltre la ricerca e l’offerta di infor-
mazioni. Come già accennato, gli utenti compiono vere e proprie azioni, perché con-
dividono contenuti, comunicano tra di loro, “si fanno acquisti, si scaricano musiche,
immagini, documenti, si chiedono certificati, si gioca a scacchi, […] si seguono corsi
a distanza, si partecipa a videoconferenze, si ascolta la radio, e molto altro ancora”
(G. Cosenza, Semiotica dei nuovi media, p. 90). In informatica, una logica di questo
tipo è alla base dell’architettura peer to peer (p2p), laddove i computer in rete non
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hanno ruoli prestabiliti di client o server, ma possono svolgere l’uno o l’altro ruolo
per gli altri nodi. Come suggerisce la parola stessa, tutti gli utenti si trovano in rap-
porto paritario rispetto agli altri.
Il riferimento ai modelli client/server e peer to peer è da intendersi in senso
ampio, non semplicemente come rimando a strutture informatiche, ma paradigmi
comunicativi utili per spiegare le relazioni intercorrenti tra gli utenti nei due casi. In
un’interazione client/server i ruoli sono prestabiliti, asimmetrici e immutabili; nel
peer to peer i ruoli sono simmetrici e interscambiabili.
1.4.1 Le relazioni su YouTube e Flickr.
A proposito di strategie enunciative, G. Cosenza fornisce un interessante
esempio di analisi (Semiotica dei nuovi media, p. 146-147): osserva come “il rappor-
to che YouTube stabilisce con gli utenti non è affatto paritario e complice, come ci si
aspetterebbe da uno dei siti di punta del Web 2.0, ma mantiene al contrario un’a-
simmetrica distanza pedagogica” . YouTube si rivolge agli utenti dando loro del tu,
ma per impartire ordini, come suggerito dal pay off “Broadcast yourself”. Altri segni
del rapporto asimmetrico si possono rintracciare nelle sezioni “Informazioni su You-
Tube”, in cui il sito utilizza una distaccata terza persona istituzionale e in “Suggeri-
menti per la realizzazione dei video”, dove emerge fortemente la superiorità delle
proprie competenze rispetto a quelle degli utenti. Apparentemente, YouTube si posi-
ziona allo stesso livello, perché offre la possibilità di dare i voti ai video, lasciare
commenti, censurare quelli offensivi o contenenti pubblicità indesiderata, segnalare i
video ritenuti inappropriati o violanti la legge sul copyright. In realtà, YouTube sti-
mola la competizione tra gli utenti, come si nota dalla classificazione dei video nei
“Consigliati per te”, “Video in primo piano”, scelti naturalmente dalla redazione, e
poi “I più votati”, “I più commentati” e così via. “Destinante iniziale e giudice finale,
dotato di una competenza superiore mai messa in questione, YouTube è per giunta
autoritario e non trasparente, come un maestro d’altri tempi” (ibidem).
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Fig. 1 Home page www.youtube.com (agosto 2010)
Considerazioni analoghe si possono fare per Flickr, il quale, tuttavia, dimo-
stra un atteggiamento più paritario nei confronti degli utenti, usando un linguaggio
colloquiale, non mettendo in discussione la loro competenza nella fotografia ma limi-
tandosi a proporsi come aiutante nella quotidianità per condividere le foto con gli
amici. Inoltre, nella sezione “A proposito di Flickr”, l’azienda mostra i volti di alcuni
redattori, di cui riporta nome e cognome, azione che va ancora in direzione di un
dialogo alla pari.
1.5 Le aziende e le marche sul web 2.0.
Spostando il punto di vista dalla parte delle aziende e delle marche che si
trovano a utilizzare i nuovi strumenti del web 2.0, si nota come il rapporto con i
“consumatori” abbia percorso le stesse tappe evolutive della storia della rete, pas-
sando da una comunicazione sbilanciata dalla parte delle prime (che si comportava-
no come se fossero i server) ad una comunicazione egualitaria, condivisa, costruita
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insieme al pubblico. In molte ricerche si parla di branding 2.0, intendendo con que-
sto termine la nuova relazione che si instaura tra il brand e le persone, basata sulla
partecipazione e parità.
Un interessante articolo di Jacopo Pasquini, Marketing & Communication
Consultant in Doctor Brand, apparso su brandforum.it nel mese di marzo 2010, so-
stiene che il brand è un soggetto di comunicazione con un triplice ruolo: conversato-
re, conversato e conversabile. Il brand è conversatore, innanzitutto, perché ha biso-
gno di dialogare costantemente con il proprio pubblico, con gli stakeholders e con i
fan. Il dialogo tra i due attori è, naturalmente, paritario: “Le persone del brand con-
versano con le persone interessate al brand”. Questo non esclude la possibilità di
critiche o giudizi negativi, ma fa parte del gioco, come in qualsiasi relazione tra per-
sone.
Il brand è, inoltre, conversato: le persone esprimono giudizi su di esso, la-
sciano commenti, scrivono recensioni. Si diffondono diverse opinioni sulla marca e
sui suoi prodotti, vengono a crearsi diverse immagini e percezioni degli stessi, facil-
mente reperibili grazie alle nuove tecnologie. È la forma di pubblicità basilare, il pas-
saparola. Da parte delle aziende, tutto questo potrebbe apparire come una minac-
cia, invece è un’opportunità: la qualità di una marca non può che generare un pas-
saparola positivo.
Infine, il brand è anche conversabile, ovvero le persone possono conversare
con esso. A questo scopo, la marca deve mettere a disposizione piattaforme parteci-
pative ufficiali, integrate nel contesto comunicativo istituzionale. Nascono così le
brand community, supportate dai social network, in cui le persone dialogano ed in-
teragiscono. È il caso di molte marche, come Fiat, Mulino Bianco, Ducati e tante al-
tre, che creano un sito “aperto”, sul quale lasciare il proprio contributo, ma anche ri-
volgere domande e interagire con altri utenti amanti della marca. Questo sito con-
tiene poi i link ai diversi social network su cui la marca ha creato le proprie pagine,
per proseguire coerentemente il dialogo con il pubblico, attraverso i canali già esi-
stenti.
Una strategia di comunicazione può comprendere anche tutti gli strumenti di
social media, non dimenticando tuttavia di valutarne l’effettiva efficacia e necessità.
Citando un’altra metafora informatica, è come dire che la comunicazione del brand è
open source. Nasce così una nuova branchia del marketing, dedicato allo studio di
piani di azione e comunicazione sui nuovi mezzi offerti dal web 2.0: è il social media
marketing (SMM), tuttora in fase di sviluppo, così come tutto ciò che ruota intorno a
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questo nuovo fenomeno (per esempio, le nuove professioni legate ai social media,
gli studi di settore, le agenzie specializzate). Lo stesso si può dire delle aziende:
stanno esplorando la novità, si stanno interessando, le più “coraggiose” e lungimi-
ranti hanno già intrapreso azioni sul nuovo mezzo, ma non è ancora possibile preve-
dere quali saranno i risvolti, né se entreremo in una nuova era di comunicazione, né
se il web 2.0 diventerà pienamente un media oggetto dei piani di marketing, al pari
degli altri.
Per dare un quadro generale di cosa si intenda per Social Media Marketing, è
necessario specificare che riguarda soprattutto l’aspetto conversazionale del brand
con i propri clienti e non semplicemente la creazione di profili sui più noti social net-
work. Come riferisce un articolo on line di Stefano Besana, si possono individuare
tre punti fondamentali:
• La creazione di “buzz”, passaparola, eventi, elementi virali che attirino l’at-
tenzione e instaurino un dialogo tra utenti;
• La creazione di uno spazio in cui gli utenti stessi possano mettersi in luce e
sentirsi protagonisti (attraverso Twitter, MySpace, Facebook, ecc.);
• La libertà: il SMM consiste soprattutto in conversazioni spontanee delle uten-
ze e dei clienti; il vero lavoro sta nel creare i canali adeguati e nel promuoverli
correttamente, la campagna sarà virale e diffusa solo se le utenze saranno di-
sposte a sposare la causa dell’azienda. Per questo motivo l’utente deve essere
sempre posto al centro della campagna.
Per realizzare una buona campagna di SMM, dunque, è fondamentale avere
ben presente e chiaro innanzitutto il target di riferimento, in modo da scegliere in
seguito i canali più adatti a promuovere l’identità aziendale. A questo punto, l’azien-
da deve passare in rassegna gli strumenti a disposizione e selezionare i più efficaci
per l’obiettivo da raggiungere: Facebook, Twitter, blog, ma anche community, mobi-
le applications, video, immagini o games. L’offerta è variegata, per questo occorre
valutare attentamente tutte le possibilità in relazione a quanto sopra accennato. Vo-
dafone, per esempio, ha creato un’ampia ed efficace comunità virtuale, il Vodafone
Lab, che coinvolge attivamente tutti i possessori di uno o più prodotti dell’azienda,
mettendoli in comunicazione tra loro per confrontarsi e trovare suggerimenti e sup-
porti di diverso tipo. Nella conduzione di una strategia di SMM, un altro aspetto pri-
mario è il suo monitoraggio costante: è rischioso trascurare il dialogo con l’utente,
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non valorizzarlo o riconoscere il suo contributo. Se non si mantiene viva la conversa-
zione, tutta la campagna può risultare inutile e perdere i vantaggi legati ai social
media per ricadere in una strategia di pubblicità tradizionale. Declinata pure sui
mezzi sbagliati. “Semplicemente aggiungere una spruzzatina di ‘social-media’ non
servirà a nulla, se poi utilizzate lo stesso schema mentale e le metriche del vecchio
marketing pubblicitario” (ibidem).
1.6 Social advertising.
Oltre ai siti costruiti su una logica 2.0 e le pagine sui social network, le azien-
de continuano a fare uso di advertising, che si è evoluto dalla forma tradizionale per
adattarsi alle nuove forme di comunicazione centrate sull’utente e costruite insieme
ad esso. Nasce così il social advertising, ovvero le campagne veicolate sui social net-
work. Le differenze fondamentali con la fan page o il gruppo legato al marchio sono
evidenti: le campagne si trovano in uno spazio dedicato, quindi sono immediata-
mente riconoscibili, e, come la pubblicità classica, non prevedono interazione con
l’utente. Torna nuovamente la comunicazione da uno a molti, con un emittente defi-
nito (l’azienda promotrice della campagna) che si rivolge al suo pubblico. Occorre
tuttavia un’ulteriore precisazione: il pubblico di riferimento, in questo caso, è sele-
zionato; il messaggio non si disperde nello spazio di internet, come accade nei me-
dia tradizionali, ma è mirato, si rivolge a determinate categorie di utenti, scelte dal-
l’azienda. Ogni utente, dunque, visualizzerà messaggi pubblicitari diversi, adatti alle
sue caratteristiche. Tutto questo è possibile grazie al processo di profilazione dell’u-
tenza, ovvero la capacità di tenere traccia di ogni profilo presente all’interno della
rete e di organizzare i contenuti promozionali a seconda della persona che impiega
la piattaforma, raccogliendo dati e informazioni sull’utenza stessa. Scendendo nel
dettaglio, si distinguono due livelli di profilazione:
• Profiling implicito: la raccolta dei dati avviene all’insaputa dell’utente, perché
sono registrate informazioni relative ai cookies, all’indirizzo IP di colui che na-
viga in quel momento, all’ISP, ovvero tutti i dati connessi alla semplice naviga-
zione internet;
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• Profiling esplicito: questo tipo di raccolta è molto più profonda, in quanto si
basa sulla richiesta di informazioni da parte del sito all’utente, il quale, compi-
lando moduli, scrivendo e-mail o contattando persone, rilascia al sito web in
questione una serie di dati molto preziosa.
All’interno di un social network come Facebook, per esempio (il rimando a
Facebook non è casuale, perché è il più diffuso e noto a livello mondiale), la profila-
zione avviene in entrambe le modalità. È interessante, a questo punto, elencare al-
cune tipologie di informazioni raccolte e capire come vengono utilizzate:
• Scelte di navigazione effettuate sul sito in esame dagli utenti unici identifica-
ti;
• Dichiarazione esplicita di preferenze e interessi ottenuta tramite procedure di
registrazione o sondaggi (come la funzione “Mi piace/Non mi piace più” di Fa-
cebook o i sondaggi generici);
• Raccolta di dati demografici, possibile attraverso la semplice registrazione e
l’inserimento di informazioni nel social network;
• Risposta degli utenti identificati a promozioni o contenuti particolari.
Avere a disposizione questi dati permette di instaurare numerose correlazioni
tra di essi, e di conseguenza sfruttarle nello studio di una strategia di comunicazio-
ne. Ecco alcuni esempi:
• Content affinities (affinità di contenuto): è l’insieme di contenuti che tendo-
no ad essere visualizzati insieme dagli utenti del sito in oggetto;
• Content effectiveness (efficacia dei contenuti): riferito ai siti commerciali,
una correlazione tra i contenuti visti e gli acquisti realmente eseguiti, i cui dati
incrociati forniscono informazioni utili sulle sessioni concluse in maniera positi-
va;
• Product affinities (affinità di prodotto): riguarda l’elenco dei prodotti che
vengono generalmente acquistati insieme (se un utente è interessato al pro-
dotto x, è molto probabile che sia interessato anche al prodotto y).
Tutto questo ha conseguenze importanti per la pubblicità, in termini di effi-
cacia ed efficienza: l’azienda può arrivare direttamente al potenziale cliente, perché
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è possibile conoscere il pubblico a cui rivolgersi. Per esempio, su Facebook, un uten-
te che abbia aderito ad un gruppo di amanti della lettura, sulla propria pagina trove-
rà, probabilmente, la pubblicità di un sito che vende libri on line. Da tale affermazio-
ne emerge un’altra peculiarità della pubblicità sul web: il suo essere tutt’uno con il
mezzo e con la comunicazione dello stesso, la sua presenza simultanea con le infor-
mazioni offerte dall’utente. Si tratta di una condivisione di spazi che non si verifica
mai sugli altri media.
1.6.1 Forme di social advertising su Facebook.
Lo spazio dichiaratamente e palesemente dedicato all’advertising, su Face-
book, occupa la colonna di destra della pagina di ciascun utente. Qui si trovano soli-
tamente tre campagne a lui destinate, scelte in base ai parametri di profilazione.
Esistono, tuttavia, altre forme di pubblicità non così evidenti, che costellano gli spazi
del social network ed entrano in relazione con il pubblico: sono tutte le applicazioni
e i servizi forniti, come i gruppi, le fan page, o la possiblità di sviluppare un’applica-
zione personalizzata da diffondere nel social network. Eccone un elenco:
• Pagine: gratuite e realizzabili da chiunque, le pagine di un prodotto, una
marca, un’azienda ecc. sono oggetto della funzione “Mi piace”, ovvero quello
che una volta si chiamava “essere fan di…”. Spesso diventare fan di qualcosa
è un’azione automatica, ma ha implicazioni ben precise dal punto di vista del
marketing. Le pagine prevedono un’elevata personalizzazione, sono indicizzate
da Google e offrono un utile servizio di monitoraggio delle visite e iscrizioni;
dopo l’ultimo restyling di Facebook, sono molto simili alle pagine personali de-
gli utenti. Inoltre è possibile avviare campagne pubblicitarie specifiche per
queste realtà, unendovi le specificità della piattaforma dedicata all’advertising.
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Fig. 2 Fan page di Nike (agosto 2010)
• Gruppi: possono ruotare intorno ad un oggetto specifico o essere generici,
ma hanno lo scopo di promuovere la propria identità e riuniscono utenti con lo
stesso interesse, formando una sorta di comunità virtuale (non ne hanno però
la stessa forza e coesione). Come le pagine, i gruppi sono gratuiti, semplici da
creare e possono essere pubblicizzati. Grazie alle caratteristiche di viralità e fa-
cilità di raggiungimento di un elevato numero di utenti, i gruppi e le pagine
sono un interessante strumento di marketing.
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Fig. 3 Gruppo dell’Università di Torino su Facebook (agosto 2010)
• Altre applicazioni: l’applicazione per creare eventi permette di segnalare par-
ty di inaugurazione, fiere, congressi, meeting ecc., ovvero tutto ciò che può
essere direttamente o indirettamente collegato con il brand. Esistono poi ap-
plicazioni per creare sondaggi e quiz personalizzati da diffondere attraverso il
proprio profilo (es. “Make a quiz!”, “Quiz planet”). Infine, le aziende utilizzano
anche applicazioni a sfondo ludico (es. mini flash game) per promuovere un
prodotto o brand specifico. Queste ultime rimangono prerogativa di esperti,
poiché il loro sviluppo necessita di competenze specializzate, che l’utente me-
dio non possiede.
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