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nella seconda la tv si afferma come la principale raccontastorie del
tempo; nella terza la tv è ansiosa di mettere in scena la verità o la realtà.
Con queste definizioni inizia il primo capitolo di questa tesi, per poi
proseguire con la definizione di Tv notizia, talk show e reality show.
La tv notizia costituisce il modello più tradizionale di attualità
giornalistica. L’informazione è valorizzata come fonte di notizie e di
conoscenze su quegli ambiti della vita sociale che si collocano oltre
l’esperienza diretta dei singoli individui.
Il talk show è una forma d’intrattenimento parlato, fondato sulla
conversazione tra un conduttore e i suoi ospiti in studio o collegati con
eventuali inserti filmati e la possibile presenza di un pubblico. In Italia
arriva giusto al termine dell’esperienza del monopolio, con la triade
Bontà loro, Acquario, Grand’Italia, tutti di Maurizio Costanzo.
Mentre il reality show è la principale evoluzione della tv verità. Il
reality show prende atto che nel flusso televisivo il pubblico deve
rispecchiarsi emotivamente anche con storie e vicende che potrebbero
capitare ad uno di loro.
Nel secondo capitolo si parla di devianza, di quello che è o potrebbe
essere un comportamento deviante (quindi quello dei barboni), della
teoria di Durkheim e della conseguente teoria di Merton.
I sociologi parlano di comportamento deviante, in linea di massima,
quando intendono descrivere un comportamento che si discosta dalle
aspettative di normalità collaudate da una data società. La definizione
scientifica della devianza assume connotazioni diverse con riferimento
all’impostazione teorica generale adottata da chi la studia.
La più antica spiegazione sociologica della devianza, forse, è la teoria
dell’anomia di Emile Durkheim secondo cui le regole sociali svolgono un
ruolo importante nel governare la vita delle persone.
Al concetto durkheimiano di anomia si ispira Merton secondo cui la
struttura sociale esercita su alcuni individui una pressione a deviare,
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innescando un meccanismo dove le mete culturalmente condivise e i
mezzi socialmente accettati per raggiungerle sono sfasati.
Il capitolo poi prosegue con le prospettive teoriche più recenti ed
alcuni dati, generici, riguardanti i clochard.
Quindi l’età media, il livello culturale medio, il numero di persone
senza tetto in Italia, le città che maggiormente “ospitano” questi senza
tetto e tutto ciò che li caratterizza.
Nel terzo capitolo viene fatta la vera e propria analisi di Invisibili.
C’è dapprima una presentazione totale e generale del programma, poi
la descrizione dettagliata dello studio dove viene fatta la diretta, poi
vengono presentati il conduttore ed i protagonisti/ospiti ed infine riprese e
suoni.
Il quarto capitolo è dedicato alle opinioni della gente inerenti il
programma, la risposta di Marco Berry ad accuse, attacchi e semplici
curiosità e lo “sfogo/intervista”, raccolto direttamente da me, ad un
barbone protagonista della serie analizzata.
Mentre il quinto capitolo è una scheda conclusiva del programma con
dati di identificazione, temi e struttura, attori e forme di interazione, modi
di confezionamento ed infine finalità del programma e ruolo del
conduttore.
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CAPITOLO PRIMO
L’evoluzione dei generi televisivi italiani
1.1.La Neotelevisione
Negli anni Settanta i monopoli televisivi pubblici furono messi in
discussione in tutta Europa.
Con l’elettronica, i costi di tutte le fasi dell’attività televisiva si
riducevano sensibilmente, telecamere e videoregistratori di ridotte
dimensioni e prezzo modesto erano ormai largamente disponibili;
l’economia era molto cresciuta ed era possibile pensare di realizzare
grandi profitti aprendo alla pubblicità spazi in televisione che il
monopolio attribuiva con il contagocce. Diffusa era l’idea che le forme di
gestione della radiotelevisione pubblica fossero troppo ristrette e dessero
poco spazio alla periferia o alla ricezione di programmi esteri. La
complessità culturale raggiunta dalla società rientrava a fatica nella
concezione del monopolio e nella sua impostazione prevalentemente
nazionale.
In Italia, dopo molti anni di discussione, una legge del 1975 affermò il
monopolio e modificò largamente la RAI; fu introdotto un terzo
telegiornale e una terza rete televisiva, dedicata alla cultura e al
decentramento regionale.
L’anno successivo una sentenza della Corte costituzionale ammetteva
l’emittenza privata, radiofonica e televisiva, purché in ambito locale.
In tutte le città e le regioni nacquero emittenti televisive private,
caratterizzate da creatività, localismo, precarietà dei mezzi, qualche
trasgressione, affermazioni di libertà e forme di commercializzazione
(vendite e aste in TV).
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Considerando che nessuno, compresa la legge, sapeva dire con
certezza in che cosa consistesse l’«ambito locale», le emittenti private
iniziarono e rafforzarsi e ad allargare sempre più l’area di ricezione
potenziando i loro impianti.
Il monopolio sostanzialmente finì quando, all’inizio degli anni
Ottanta, apparvero circuiti nazionali efficienti di televisioni private
commerciali. Nel 1984 la Fininvest (poi Mediaset) raggiunse lo stesso
numero di reti nazionali della RAI e la superò per fatturato pubblicitario.
Tutto questo modificò profondamente il linguaggio della televisione
italiana, i modi espressivi e la forma culturale della TV, che portò
Umberto Eco a coniare un nuovo termine: “Neotelevisione” e a definire
la “vecchia” televisione "Paleotelevisione" (Menduni 2002, da pag.43 a
pag.46).
Paleotelevisione è un neologismo introdotto da Umberto Eco nel 1983
per distinguere la prima "epoca" nella storia della televisione italiana. La
paleotelevisione termina alla fine degli anni Settanta, quando la
scomparsa del monopolio della Rai con l’apertura al sistema misto
pubblico-privato segna il passaggio alla neotv.
Gli schemi di programmazione della paleotelevisione prevedevano
una giornata televisiva che ritagliava i propri tempi su quelli della
giornata lavorativa o, in ogni caso, sui ritmi della vita sociale quotidiana
degli italiani. La Rai intendeva instaurare con il telespettatore un rapporto
paternalistico, didascalico, rigidamente moralistico, educativo, imperniato
sulla separazione netta fra i generi e sulla precisa intenzione di lasciare
ampi spazi della giornata liberi dalla presenza televisiva considerata come
un piacevole diversivo ma che mai doveva invadere tutta la vita
quotidiana della gente.
Le ore di trasmissione dell’unico canale esistente erano limitate, fino
al 1958, a quattro durante la giornata. La programmazione era fondata
essenzialmente su grandi appuntamenti serali, con cadenza settimanale:
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film al lunedì, sceneggiato giallo o varietà al martedì, film o telefilm al
mercoledì, quiz al giovedì, teatro al venerdì, spettacolo di varietà al
sabato, sceneggiato a puntate alla domenica; il telegiornale, poi, solo nei
giorni feriali.
Anche quando, con l’introduzione del Secondo canale, nel 1961,
l’ammontare medio delle trasmissioni giornaliere sale a 12 ore,
l’organizzazione del palinsesto televisivo resta in ogni caso legata
sostanzialmente alla ricorrenza d’appuntamenti nell’arco della settimana,
in particolar modo per la prima serata. I singoli programmi sono concepiti
come strutture molto omogenee al loro interno: a livello di ritmi e per tipo
d’inquadrature, con la telecamera molto statica nella maggior parte dei
casi (in particolare per l’informazione) e a livello di generi (Ellissi,
Manuali di Comunicazione, Glossario, pag. 290).
Anche il neologismo Neotelevisione è stato introdotto da Umberto
Eco nel 1983 per distinguere la seconda "epoca" nella storia della
televisione italiana, caratterizzata dall’avvento delle tv private, che
coincide con lo sviluppo di tutti gli elementi produttivi, linguistici,
comunicativi della cosiddetta neotelevisione. Il primo fondamentale
passaggio dalla paleotelevisione alla neotelevisione è segnato dalla
trasformazione del ruolo e delle funzioni del palinsesto da griglia di
sostegno della programmazione, in cui collocare i singoli programmi, a
fattore di produzione prioritario nell’ambito delle tv commerciali. Anche i
tempi della programmazione si allungano, sempre in virtù delle esigenze
di mercato, fino alla progressiva copertura delle 24 ore. La
programmazione assume la forma di un flusso continuo d’immagini e
suoni che s’innesta nei tempi, nei ritmi, negli spazi della quotidianità dei
telespettatori (Ellissi, Manuali di Comunicazione, Glossario, pag. 288).
In questa neotelevisione il rapporto fra intrattenimento e altre forme di
programmazione, come l’informazione e la cultura, si spostano verso
l’intrattenimento più di quanto è stato possibile per una televisione
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pubblica in regime di monopolio. L’intrattenimento tende ad inglobale gli
altri generi, diventando il vero tessuto connettivo della programmazione
(Enrico Menduni, I linguaggi della radio e della televisione, 2002, pag.
44).
La "neotelevisione" si definisce il linguaggio televisivo così come si
è imposto dagli anni ’80 e che perdura ancora oggi. Nel nuovo modo di
fare tv si mira a coinvolgere emotivamente il pubblico, non tanto ad
educarlo ma a divertirlo, non tanto a considerarlo utente ma possibile
cliente interessato ad acquistare oggetti per effetto indotto della
pubblicità. La prossimità, cioè la crescente attenzione ai fatti quotidiani;
la convivialità, ovvero la retorica dello stare insieme; l’autoreferenzialità,
ovvero il mostrare e il parlare della televisione e delle sue regole
all’interno di trasmissioni televisive; la logica del flusso, ovvero di una
programmazione che "scorre" 24 ore su 24 sugli schermi della gente; la
perdita dei confini fra i generi con la nascita di programmi contenitore
che mettono assieme cultura, attualità, informazione, spettacolo; la
trasformazione del linguaggio sempre meno attento ad evitare parole
scurrili, frasi provocanti o semplicemente errori grossolani di grammatica
e di pronuncia; la crescente liberalizzazione dei programmi e dei
contenuti con riferimenti alla sessualità sempre più espliciti e a volte
persino volgari, il massiccio intervento degli sponsor pubblicitari che
spesso determinano la sopravvivenza di un programma
indipendentemente dalla sua qualità; l’acquisto di "format" che
sostituisce la creazione di programmi nuovi tutto questo è racchiuso
dentro il concetto di "neotelevisione". Un universo in continua evoluzione
che ci porterà alla televisione interattiva, creabile e componibile cioè
secondo i nostri gusti e interessi personali, una "scatola parlante" ricca di
sogni, d’incubi, di speranze e d’illusioni di un popolo intero (
www.scienzedellacomunicazione.com).
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Nella neotelevisione i generi tradizionali ammorbidiscono
gradualmente i loro reciproci confini, dal genere si passa al
«metagenere», che sono ampie partizioni tematiche che contengono al
loro interno una trasfigurazione e composizione dei generi tradizionali.
La TV tende ad assumere un formato «generalista», cioè con programmi,
argomenti e contenuti rivolti a tutte le età e a tutte le categorie sociali.
Questa televisione è un fenomeno essenzialmente domestico e
quotidiano, destinato tipicamente alla famiglia. Grazie all'uso del
telecomando, che permette una "compilation" personalizzata dell'offerta
dei vari canali, essa consiste nel consumo costante di brevi segmenti
narrativi organizzati in un flusso, senza un vero inizio né una vera fine,
secondo una logica ciclica. Gran parte della tv è consumata come
"televisione", più che per qualche programma in particolare.
È una televisione fatta per stare in casa, dove l'apparecchio è come un
commensale, quasi seduto a tavola con gli altri, oppure un ospite della
famiglia accomodato in salotto. Tutto diventa una visione comunitaria di
cui i personaggi che appaiono sullo schermo sono parte. Essi divengono
figure note, familiari, dei nuovi amici. La loro popolarità nasce di qui.
Non sono eroi, sono persone gioviali, con qualche tratto che li avvicina a
noi, simpatiche, che ci tengono compagnia.
Diversamente che al cinema,
in tv la bontà viene meglio della cattiveria (C. Freccero, Il palinsesto
della televisione commerciale, 1986, pag. 137-146).
Com’è stato detto in precedenza con l'arrivo della televisione privata
nazionale, presto concentrata nelle tre reti Fininvest, lo spettatore ha
avuto a disposizione alternative corpose (le prime trasmissioni televisive
delle tv private, per la modestia tecnica e la gracilità espressiva, erano più
un fenomeno di costume che un'agguerrita concorrenza). Lo spettatore ha
così acquisito il diritto di scegliere il canale che più gli piace, e quindi di
determinare (come in un plebiscito) il successo di un programma e di
un’emittente.