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e croniche post-trasfusionali o acquisite in comunità e non
associate all’infezione da virus delle epatiti A, B, C, D o E hanno
suggerito la possibile implicazione di altri virus.
Altri due virus recentemente identificati, denominati GBV-
C/HGV (virus dell’epatite G, Flaviviridae) e TTV (Transfusion-
Transmitted Virus, Parvoviridae), sono stati associati ad epatite
virale acuta e cronica, anche se a tutt’oggi non è chiaro il loro
ruolo patogeno (6-9). L’eziologia dell’epatite non-A, non-E risulta
indefinita nell’1,7% dei casi.
Caratteristiche morfologiche, organizzazione genomica
e ciclo replicativo dell’HCV.
I virioni sono particelle di forma icosaedrica di circa 50-60
nm di diametro provviste di involucro pericapsidico; il genoma
(FIG.1) è costituito da una molecola di RNA monocatenario a
polarità positiva di circa 9600 nucleotidi e presenta un’unica Open
Reading Frame (ORF) codificante una poliproteina precursore di
circa 3010 aminoacidi la quale, in seguito a clivaggio, origina le
singole proteine virali strutturali e non strutturali. La ORF è
fiancheggiata da due regioni non codificanti all’estremo 5’ e 3’ (di
circa 340 e 230 nucleotidi, rispettivamente) implicate nel processo
di traduzione e nella replicazione dell’RNA. La regione
maggiormente conservata è la 5’ non codificante, con una
omologia di sequenza pari al 92-98% tra i diversi genotipi virali.
Mediante sistemi di espressione del cDNA virale sono state
identificate all’interno del genoma le sequenze codificanti e i
prodotti di clivaggio della poliproteina virale (10). A partire
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dall’estremo amino-terminale l’ordine delle proteine strutturali e
non strutturali (NS) è: NH2-C-E1-E2|NS1-p7-NS2-NS3-NS4a-
NS4b-NS5a-NS5b-COOH (TAB. 1). La C (proteina del core), una
proteina basica legante l’RNA, è il principale costituente del
nucleocapside (11); E1 ed E2 sono proteine transmembrana
altamente glicosilate che contribuiscono a formare l’envelope
virale (12). La funzione di p7 non è ancora nota benché sia stato
ipotizzato un suo ruolo nell’assemblaggio virale (13). Le NS 2-5b
probabilmente non sono costituenti del virione ma piuttosto sono
coinvolte nella processazione della poliproteina e nella
replicazione dell’RNA. NS2 e il dominio amino-terminale di NS3
costituiscono la proteinasi (metallo-proteasi) NS2-3, la quale
determina il clivaggio della giunzione NS2/3 molto probabilmente
in una reazione intramolecolare (14). Lo stesso dominio amino-
terminale di NS3 è una serina proteasi richiesta per il clivaggio in
tutti gli altri siti della regione NS (15); inoltre la NS3 codifica una
nucleoside trifosfatasi (NTPasi)/elicasi nei due terzi carbossi-
terminali della molecola (16). NS4a è un cofattore della NS3 e ne
modula l’attività (17); la funzione di NS4b e di NS5a non è ancora
nota. NS5b è una RNA polimerasi RNA-dipendente (18).
Il più importante sito replicativo dell’HCV è rappresentato
dagli epatociti, anche se la replicazione o un’infezione latente può
avvenire a livello delle cellule mononucleate del sangue periferico
(PBMC, Peripheral Blood Mononuclear Cells) (19). Il linfotropismo
dell’HCV può essere rilevante ai fini della cronicizzazione della
malattia e spiega la reinfezione in pazienti che hanno subito un
trapianto di fegato (20).
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Il legame del virus alla cellula avviene tramite l’interazione
tra le proteine dell’envelope e il CD81, un recettore presente in
molti differenti tipi cellulari (21); in seguito il virus penetra e l’RNA
è rilasciato nel citoplasma. Il processo di traduzione avviene nel
reticolo endoplasmatico rugoso e le proteine virali rimangono
associate alle membrane intracellulari formando probabilmente un
complesso replicativo in cui almeno la NS3 elicasi e la NS5b
polimerasi sono incorporate; all’interno di tale complesso l’Rna (+)
è copiato in molte molecole di RNA (-).
L’acquisizione dell’envelope sembra avvenire attraverso la
gemmazione all’interno di vescicole intracellulari; il rilascio dei
virioni dalla cellula si verificherebbe quindi attraverso il pathway
secretorio.
Variabilità genomica e distribuzione geografica dei
genotipi
Il genoma dell’HCV mostra una notevole variabilità
(caratteristica di tutti i virus a RNA) che viene attribuita all’alta
probabilità con cui l’RNA polimerasi RNA-dipendente compie
errori durante la replicazione e alla mancanza di un meccanismo
di correzione di tali errori (22). Una variabilità tra i diversi isolati
superiore al 20%, dovuta all’accumulo di mutazioni durante
l’evoluzione virale, ha permesso di individuare dodici gruppi
distinti di HCV indicati come genotipi e più di quaranta sottotipi.
In letteratura sono riportate varie classificazioni dei genotipi
dell’HCV; la prima, fatta da Okamoto, si basa sulla variabilità della
NS5 e permette di distinguere sei genotipi designati HCV I, II, III,
5
IV, V, VI. Più recenti sono la classificazione di Simmonds, che
considera la variabilità della E1 e della NS5, e quella di Buckh,
basata sulle varianti della E1 (23-25).
Le regioni genomiche più adatte per lo studio delle
sequenze sono il core, la E1, la NS2, la NS3, la NS4b, la NS5a e
la NS5b (26,27). Anche la 5’ non codificante può essere utilizzata
per definire i genotipi ma non consente una valida identificazione
dei sottotipi; tale regione è altamente conservata e viene utilizzata
come “bersaglio” per la ricerca dell’HCV-RNA mediante la
reazione a catena dalla polimerasi o PCR (Polimerase Chain
Reaction) (28).
Il core, la regione strutturale più conservata, presenta tra i
vari genotipi un’omologia di sequenza pari all’81-92%; questa
bassa variabilità si ritiene necessaria per l’espressione genica del
virus (29).
Il grado di conservazione delle regioni E1 ed E2|NS1 è pari
al 55-75%, mentre per le regioni NS2, NS3, NS4 e NS5 è del 57-
79% (28).
Le popolazioni virali presentano una variabilità di sequenza
minore del 10% all’interno di uno stesso genotipo e maggiore del
20% tra genotipi distinti.
Nella regione E2|NS1 del genotipo 1b sono state rilevate
due sequenze ipervariabili (HVR1 e HVR2); HVR1 contiene al suo
interno una sequenza codificante due epitopi di undici aminoacidi
che inducono la produzione di anticorpi specifici. Nel genotipo 2a
è stata evidenziata una sola regione ipervariabile e questa
differenza si riflette nel più efficiente fenomeno di escape dell’1b, il
quale è associato a una maggiore gravità della malattia ed è
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meno sensibile alla terapia (26). Anche l’età del soggetto influisce
sulla distribuzione dei genotipi, essendo il 3a più diffuso nei
soggetti giovani, l’1b negli anziani (30).
Per quanto concerne la distribuzione geografica dei
genotipi, alcuni sono ubiquitari (1a, 1b, 2a, 2b), altri (5a e 6a)
sono limitati a certe aree (31).
Per quanto riguarda l’Europa, i genotipi 1a, 1b, 2a, 2b e 3a
(con prevalenza dell’1b) sono presenti in Germania, l’1a e l’1b
sono i più diffusi in Spagna, Francia e Italia, mentre in Gran
Bretagna si riscontrano l’1a, l’1b e il 3a (32,33); i dati relativi al
nostro Paese indicano che l’1b prevale nel settentrione ed è
presente anche nelle regioni centrali con l’1a, il 2a e il 2b (34).
In Medio Oriente, nel Nord e Centro Africa è diffuso
soprattutto il 4a, presente anche in Kuwait, Iraq, Arabia Saudita e
nell’Africa equatoriale. Nel Sud Africa è diffuso soprattutto il 5a,
mentre il Nord America presenta una distribuzione simile
all’Europa Occidentale con la prevalenza dell’1a in Canada. A
Hong Kong è presente il 6a, in Giappone, Taiwan e Cina l’1b, il
2a, il 2b, in Nepal il 3, in Vietnam il 7, l’8 e il 9 (35-37).
L’HCV esiste nell’ospite come insieme di varianti
geneticamente distinte ma correlate dette “quasispecie” (38); ciò
probabilmente rappresenta un significativo vantaggio per la
sopravvivenza del virus, dal momento che la presenza simultanea
di varianti genomiche e l’alta frequenza con cui tali varianti sono
generate permettono una rapida selezione di mutanti che meglio
si adattano alle condizioni offerte dall’ambiente. La maggior parte
dei mutanti virali non è in grado di replicarsi, ma gli altri possono
trasmettere la nuova informazione genetica alla progenie; la
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selezione dei virioni avviene in base alla loro capacità replicativa e
alla risposta immunitaria dell’ospite (39).
Modelli matematici di cinetica virale dimostrano che più di
1012 virioni vengono prodotti ogni giorno in un individuo infetto
(40); la rapida replicazione e la mancata correzione di errori
durante la sintesi dell’RNA porta ad un accumulo di mutazioni con
un tasso compreso tra 0,4x10-3 e 1,2x10-3 sostituzioni di basi per
sito per anno (41).
Si distinguono due tipi di mutazioni: non sinonime e
sinonime; le prime determinano un cambiamento dell’aminoacido
codificato da una determinata tripletta, le seconde sono invece
silenti.
Le mutazioni sinonime vengono considerate una sorta di
“orologio molecolare” poiché insorgono con una frequenza
proporzionale al tasso replicativo virale in maniera indipendente
da fattori esterni; le mutazioni non sinonime, al contrario, sono
selezionate dalla risposta immunitaria dell’ospite. Assumendo che
le mutazioni non sinonime possono permettere l’escape mentre le
mutazioni sinonime non hanno un impatto immunologico diretto, il
rapporto tra mutazioni non sinonime e sinonime può riflettere la
pressione immunitaria a un dato locus (42).
La variabilità genomica dell’HCV è maggiore nelle regioni
codificanti le proteine dell’envelope, in particolare nel segmento
amino-terminale di 27 aminoacidi di E2|NS1 (HVR1).
Se esista o no una qualche correlazione tra l’evolversi della
malattia e la presenza di quasispecie è ancora un quesito sul
quale i pareri degli studiosi sono discordanti.
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Epidemiologia
L’epatite C è diffusa in tutto il mondo ma la sua distribuzione
è correlata in particolare ad alcune aree geografiche e
all’esposizione a determinati fattori di rischio (omosessualità,
pratiche trasfusionali, abuso di droghe per via endovenosa,
positività all’HIV, emodialisi, rischio professionale, etc.). Una
bassa prevalenza (0,3%) di sieropositività per gli anticorpi anti-
HCV è stata verificata nella popolazione generale a rischio non
determinato e gli indici di positività variano con i fattori di rischio
cui i diversi soggetti sono esposti (43,44).
L’HCV si trasmette per via parenterale con un’efficienza
molto elevata; invero, il 90% dei casi di TAH relativi agli ultimi anni
è stato causato da questo virus. L’introduzione di tests per la
ricerca sierologica degli anticorpi anti-HCV nel sangue dei
donatori ha consentito di ridurre l’incidenza delle TAH del 50-70%
(43,44).
E’ ipotizzabile che la via di trasmissione del virus non sia
soltanto quella parenterale, in quanto il genoma virale è stato
isolato anche in alcuni fluidi corporei quali l’urina, la saliva e lo
sperma (45,46). La saliva potrebbe sostituire il siero per la ricerca
degli anticorpi anti-HCV; infatti, saggiando campioni di saliva
prelevati da soggetti che presentavano anticorpi anti-HCV nel
siero, è stata ottenuta una positività del 90% tramite test ELISA
(Enzyme Linked Immunosorbent Assay) e del 100% con il
Western Blot (47).
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La presenza del genoma è stata rilevata anche nel latte
materno, motivo per cui viene consigliato l’allattamento artificiale
alle madri HCV-RNA positive (48).
Il contatto con secrezioni corporee, la trasmissione
sessuale, la via perinatale, l’esposizione a cure mediche di tipo
invasivo e i contatti familiari non sessuali possono rappresentare
delle possibili modalità di infezione. Tuttora è dibattuta
l’importanza della via di trasmissione tramite le secrezioni
corporee in quanto i dati in letteratura sono contrastanti; molti
ritengono che in questi casi la presenza del genoma virale sia
dovuta in realtà alla contaminazione con sangue infetto.
Il rischio di trasmissione sessuale stimato per l’HCV è del
5%, ossia ben al di sotto di quello valutato per l’HBV (30%) o l’HIV
(10-15%); un alto titolo virale e la coinfezione dell’HIV sembrano
fattori predisponenti.
La trasmissione verticale dell’HCV non è un evento
frequente (il rischio è del 5-6%); fattori di rischio sono un’alta
viremia (≥ 106 genomi/ml) e la coinfezione dell’HIV. Anche se
anticorpi anti-HCV e persino l’HCV-RNA possono essere
evidenziati poco tempo dopo il parto in bambini nati da madri
infette, raramente ciò è associato ad un’infezione cronica (49).
E’ stato osservato che bambini nati da madri che
presentano reattività verso uno o due antigeni dell’HCV vanno
incontro ad una più rapida sieroconversione. Un basso tasso di
reattività verso la proteina C-100 rilevato con il test RIBA è
statisticamente correlato con un aumento del tasso di
trasmissione. Anche il genotipo sembra correlato con la frequenza
10
della trasmissione verticale: in madri HCV/HIV positive vengono
trasmessi unicamente l’1b e il 3a (50-63).
Ulteriori studi sono necessari per chiarire quali fattori siano
implicati nella trasmissione verticale del virus e se questa
avvenga durante la gestazione, alla nascita o nel periodo post
partum.
Aspetti clinici
La gravità dell’epatite C, la cui fase acuta presenta sintomi
clinici solo nel 5% dei pazienti, risiede nei suoi effetti a lungo
termine: nell’80% circa dei soggetti evolve in malattia cronica del
fegato, con progressione in cirrosi nel 20% dei casi.
Nell’infezione acuta l’RNA virale è evidenziabile nel siero
tramite PCR entro 1-2 settimane e può raggiungere un titolo di
106-108 genomi/ml. Dopo alcune settimane il livello delle ALT
(Alanina Amino Transferasi) comincia ad aumentare (di circa 10
volte rispetto alla norma) e poco dopo si manifestano, se presenti,
i sintomi della malattia (malessere generale, nausea, febbre, più
raramente ittero), i quali si protraggono per 2-12 settimane.
L’epatite acuta può risolversi spontaneamente ma nella
maggioranza dei casi (85%) si ha persistenza dell’RNA virale e di
valori alterati delle ALT nonostante la remissione dei precedenti
sintomi. Il criterio clinico utilizzato per la diagnosi dell’epatite C
cronica è la presenza di valori alterati delle ALT (di 1,5-10 volte
rispetto alla norma) per oltre sei mesi. Le cause della
cronicizzazione non sono ancora chiare, anche se probabilmente