Introduzione
5
possono essere anche notevoli ma non possono essere che parziali,
altrimenti sarebbe lo stesso concetto di federalismo fiscale a venir meno,
viene inevitabilmente innescato il conflitto sociale.
Questo si sostanzia, in particolare, non nel conflitto generico tra
“ricchi” e “poveri”, ma in quello specifico tra “ricchi e poveri” delle regioni
ricche e “ricchi e poveri” delle regioni povere, i quali ultimi vedrebbero
ridursi i servizi pubblici o dovrebbero pagare molto di più per ottenere gli
stessi servizi di prima.
Per la maggior parte dei cittadini il federalismo fiscale è stato finora
inteso in prevalenza come il probabile punto di avviamento dei conflitti
sociali insiti in un riassetto territoriale dei poteri pubblici.
Nonostante i molti dilemmi da chiarire, in questo processo del nostro
Paese verso il federalismo, il federalismo fiscale non dovrebbe più essere
posticipato, nella consapevolezza che dicendo questo non si indica una
soluzione immediata per tutti i mali da realizzare attraverso una veloce
attuazione dell’art. 119 Cost.. Il discorso è diverso: si tratta di iniziare a
considerare seriamente la nuova autonomia finanziaria regionale e locale
prevista con la riforma del Titolo V e altrettanto seriamente avviare un
processo che potrà e dovrà essere lungo e ponderato, fatto di passaggi
graduali e sostenibili (vedi appendice A). Si dovrà trattare però di un
percorso preciso, che consenta alle Regioni, in un quadro di solidarietà e di
responsabilizzazione, la disponibilità delle risorse necessarie a governare
quel federalismo legislativo che ormai è scritto nella Costituzione e che
disciplina non solo il rapporto tra Stato e Regioni, ma anche e soprattutto
quello tra le istituzioni, i cittadini e le imprese.
Di questa tematica si è parlato moltissimo in Italia negli ultimi anni.
In un certo senso più se ne è parlato e meno il processo veniva
effettivamente portato avanti e più la prassi concreta della politica nazionale
Introduzione
6
andava nella direzione opposta. Ne è risultata una forte distanza tra realtà e
rappresentazione, che ha finito con l’influenzare non solo il dibattito
politico-ideologico, ma perfino quello tecnico-scientifico. La confusione
generata è molta e per rigetto rischia di far tornare indietro il Paese anche
rispetto ai pochi passi fatti in direzione di un’organizzazione più moderna
dei rapporti tra livelli di governo.
Può dunque essere utile ripercorrere opportunità e limiti del
federalismo fiscale italiano, così come i suoi probabili o desiderabili
sviluppi futuri. Come minimo, si tratta di un esercizio utile per riflettere
anche su una serie di difficoltà concrete che si sono verificate
nell’attuazione di norme, ordinarie e costituzionali. Anche se una riflessione
completa e corretta del federalismo fiscale o anche solo della storia della
finanza locale degli ultimi anni in Italia richiederebbe un volume, non poco
più di un centinaio di pagine.
Inizialmente si ripercorre l’avanzamento nel tempo del processo
federalista e le annesse norme che lo hanno caratterizzato, evidenziando le
ragioni e i problemi del decentramento (giungendo al punto di parlare di
federalismo tradito), fino ad arrivare alla apposita creazione dell’Alta
Commissione di studio per la definizione dei meccanismi strutturali del
Federalismo Fiscale (ACoFF) con la legge finanziaria del 2003.
Quindi si entra nel vivo della questione trattando degli aspetti
giuridici del federalismo fiscale con l’individuazione dapprima di alcuni
principi facenti parte della Costituzione collegati al federalismo, giungendo
alla indicazione delle fondamenta del recentissimo disegno di legge
approvato dal Consiglio dei Ministri; si tratta poi, più nello specifico, delle
due importanti questioni interconnesse della regionalizzazione dell’IVA e
del meccanismo di perequazione, con i collegati interrogativi da risolvere.
Introduzione
7
Si passa in seguito ad una parte fondamentale ossia l’analisi degli
aspetti economici della devoluzione rimarcando i vantaggi e gli svantaggi
della stessa, i presupposti e gli strumenti per il suo esatto funzionamento;
vengono poi forniti alcuni dati su quanto si è effettivamente decentrato
negli ultimi 20 anni.
Nell’ultima parte, ma non per importanza, si procede alla
classificazione dei modelli di federalismo elaborati dalla teoria economica e
a un rilevamento dei sistemi di federalismo fiscale nei diversi Paesi europei
e non, analizzando i modelli più legati all’argomento in esame. Vengono
realizzati poi alcuni confronti tra le caratteristiche di decentramento dei
diversi Paesi.
Nella prima appendice si suggerisce una tecnica di decentramento
applicabile e nella seconda si approfondisce un caso specifico di
malfunzionamento del meccanismo perequativo.
Un annotazione è però necessaria. Quanto viene presentato di seguito
è soggetto a cambiamenti, anche significativi, nel breve e medio periodo,
sulla base delle future evoluzioni normative e della concreta attuazione che
non sono ancora del tutto prevedibili.
Parte prima – Evoluzione del federalismo nel tempo e problemi maturati
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PARTE PRIMA - EVOLUZIONE DEL FEDERALISMO
NEL TEMPO E PROBLEMI MATURATI.
1.1. L’evoluzione del processo di decentramento.
Lo Stato italiano è caratterizzato, per buona parte della sua storia,
come un ordinamento molto centralizzato, dove il Governo centrale ha
prevalso nettamente in termini di poteri e di risorse sui governi locali, cioè
su Comuni e Province. Si tratta di una tradizione culturale e politico
amministrativa che incide ancora in maniera negativa sulle prospettive dei
processi di decentralizzazione nel nostro Paese.
È noto che la riforma fiscale dei primi anni ’70 ha impresso una
svolta fortemente centralistica al finanziamento degli enti locali abolendo le
principali imposte dirette e indirette (tassi di famiglia, dazi interni, prelievi
sugli immobili), con cui essi si finanziavano in precedenza, sostituite con
trasferimenti da parte dello Stato, anziché con altri tributi a gettito
decentrato.
Il rapido emergere di anomalie a seguito di tale “innovazione” ha
portato a un lento ripensamento. Tra le varie anomalie si pensi
all’irrigidimento fiscale delle scelte ed alla sostanziale irresponsabilità dei
politici locali nei confronti dei contribuenti elettori, con effetti devastanti
(non a caso Tangentopoli è scattata a livello locale).
Negli anni ’80 è maturato il dibattito, ma con esiti assai scarsi;
l’insoddisfazione da parte dei tecnici nei confronti del sistema di finanza
derivata trovò scarso ascolto da parte del sistema politico.
A partire dall’inizio degli anni Novanta l’Italia ha sperimentato, sia
pure nell’alternarsi di accelerazioni e di periodi di stasi, un’intensa stagione
Parte prima – Evoluzione del federalismo nel tempo e problemi maturati
9
di riforme nella direzione di un sempre maggiore decentramento delle
responsabilità di spesa e di finanziamento. Nuove competenze di spesa, più
ampi poteri autonomi di tassazione, trasferimenti meno vincolanti hanno
profondamente trasformato il quadro della finanza regionale e locale.
La prima di queste riforme è la legge 8 giugno 1990, n. 142
1
,
“Ordinamento delle autonomie locali”, che ha innovato i fondamenti della
finanza comunale e ha regolato in modo completo l’organizzazione, i poteri
e le funzioni dei Comuni e delle Province, che erano ancora basati in parte
su una legge del 1934. E’ anche prevista la creazione di un nuovo ente di
governo delle grandi aree urbane, la Città metropolitana, disegnato però in
forme eccessivamente rigide che non ne hanno consentito il decollo
2
.
Successivamente l’introduzione dell’ICI nel 1992 ha riconosciuto ai
Comuni un potente strumento di autonomia tributaria.
La legge 25 marzo 1993, n.81, “Elezione diretta del Sindaco, del
Presidente della Provincia, del Consiglio Comunale e del Consiglio
Provinciale”, ha modificato la forma di governo dei due enti, con elezione
diretta dei sindaci e presidenti della Provincia per un periodo di quattro anni
e introdotto un sistema elettorale di tipo maggioritario
3
.
È stata poi la volta delle Regioni a Statuto ordinario. In una
prospettiva di progressivo superamento del modello della finanza derivata,
nuove entrate tributarie hanno sostituito i trasferimenti erariali: la tassa
automobilistica e i contributi sanitari nel 1992, la compartecipazione
sull’accisa sulla benzina nel 1995, e soprattutto l’IRAP e l’addizionale
sull’imponibile IRPEF nel 1998.
1
Tale legge ha subito successive modifiche che sono state incorporate nel D. Lgs. n. 267/2000
“Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”, con importanti innovazioni per quanto
concerne l’autonomia statutaria e regolamentare degli enti, le forme di cooperazione e le città
metropolitane.
2
Se non in forme sperimentali come nei casi di Bologna, Roma, Firenze, Torino, ecc..
3
La successiva legge n. 120 del 1999 ha prolungato il mandato del sindaco a cinque anni e ha
rivisto il sistema elettorale per prevenire l’inconveniente di sindaci eletti ma privi di maggioranza
in consiglio comunale.
Parte prima – Evoluzione del federalismo nel tempo e problemi maturati
10
Parallelamente le leggi Bassanini (e i collegati decreti attuativi)
hanno avviato un significativo processo di decentramento delle competenze
pubbliche dallo Stato alle Regioni e a cascata agli enti locali nell’ambito di
rilevanti settori di intervento (industria, energia, opere pubbliche, assetto
del territorio, beni culturali, formazione professionale, istruzione) con
corrispondente trasferimento di personale e risorse finanziarie. La legge 15
marzo 1997, n. 59, “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e
compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica
Amministrazione e per la semplificazione amministrativa” (cosiddetta
Bassanini uno, dal nome del ministro proponente) e la legge 15 maggio, n.
127 “Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei
procedimenti di decisione e di controllo” (cosiddetta Bassanini due).
La prima ha previsto una massiccia attribuzione di funzioni
amministrative a regioni ed enti locali sulla base di un richiamo esplicito al
principio di sussidiarietà. Funzioni e risorse (beni, personale e risorse
finanziarie) sono state attribuite a regioni ed enti locali attraverso una serie
di decreti delegati attuativi, ma il processo – sicuramente uno dei più
rilevanti nella storia amministrativa del Paese
4
- è ancora in via di
completamento.
La Bassanini due integra in parte la precedente, stabilisce importanti
innovazioni nell’ordinamento degli enti locali ampliandone l’autonomia
decisionale e organizzativa e introduce numerosi strumenti di
semplificazione dell’attività amministrativa a livello centrale e locale.
4
Ci sono stati ben 97 decreti attuati del Presidente del Consiglio dei Ministri con un trasferimento
di risorse finanziarie pari a circa 16 miliardi di euro e di personale pari a circa 22.000 unità a
regioni ed enti locali.
Parte prima – Evoluzione del federalismo nel tempo e problemi maturati
11
Le due leggi sono state ulteriormente modificate negli anni seguenti
(legge n. 191 del 1998 e legge n. 50 del 1999, cosiddette Bassanini ter e
quater)
5
.
La legge costituzionale del 22 novembre 1999, n. 1, “Disposizioni
concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e
l’autonomia statutaria delle Regioni” che ha conferito all’autonomia
statutaria regionale la scelta del sistema elettorale e di governo delle
Regioni a Statuto ordinario. Una norma transitoria ha disposto che sino
all’approvazione dei nuovi statuti i presidenti sono eletti a suffragio
universale e diretto.
Si è così adeguato il sistema politico-istituzionale regionale a quello
locale sulla base di una valutazione positiva della riforma del sistema
elettorale comunale e provinciale.
Il d. lgs. 56/2000 ha poi provveduto a sostituire gran parte degli
ancora esistenti trasferimenti erariali a favore delle Regioni (inclusi quelli
relativi alla sanità) con una serie di compartecipazioni sui tributi erariali (in
particolare sul gettito IVA), ed ha previsto la progressiva attivazione di un
nuovo sistema di trasferimenti perequativi non vincolati nella destinazione
in funzione della popolazione, della capacità fiscale
6
, dei fabbisogni
sanitari, della dimensione geografica delle singole regioni.
La tappa successiva è la riforma del Titolo V approvata nel 2001, che
ha infine dato una cornice costituzionale ad un’ulteriore fase di
trasformazione del nostro Paese in senso federale. La legge costituzionale
18 ottobre 2001, n. 3, “Modifiche al Titolo V della parte seconda della
Costituzione”, opera, dunque, una rottura con la vecchia articolazione
5
Tali provvedimenti sono anche denominati “misure di federalismo amministrativo” o “pacchetto
Bassanini”.
6
Ricordiamo che per capacità fiscale s’intende la possibilità di ottenere, con l’aliquota considerata,
un dato gettito da una certa base imponibile.
Parte prima – Evoluzione del federalismo nel tempo e problemi maturati
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istituzionale che vedeva al suo vertice lo Stato e pone come obiettivi del
nuovo assetto istituzionale l’avvicinamento dei cittadini, degli organismi
sociali e delle imprese alle sedi di elaborazione delle politiche pubbliche.
La riforma costituzionale tra le numerose importanti modifiche ha
ribaltato il precedente art. 117 della Costituzione, assegnando alle Regioni
tutte le funzioni che non fossero esplicitamente menzionate in tale articolo;
ha innovato il quadro delle relazioni finanziarie tra Stato ed enti territoriali
in tema sia di allocazione delle funzioni pubbliche tra le competenze
legislative di Stato e Regioni, ampliando significativamente i poteri
legislativi di queste ultime, sia di disegno generale del sistema di
finanziamento dei livelli di governo sub-nazionali, riconoscendo loro
maggiore autonomia fiscale, escludendo i trasferimenti erariali quale
modalità ordinaria di finanziamento regionale, prevedendo l’istituzione di
un fondo perequativo.
Sempre sul piano della riforma costituzionale il trasferimento di
funzioni e risorse previsto dal nuovo Titolo V è sostanzialmente fermo, e
questa inerzia ha certamente contribuito a inasprire la conflittualità tra Stato
e regioni sui confini delle rispettive responsabilità legislative. In particolare,
è rimasta inattuata la ricognizione dei principi fondamentali già presenti
nella normativa, così come non si è proceduto alla definizione dei livelli
delle prestazioni per l’omogenea garanzia dei diritti sociali e civili su tutto
il territorio nazionale.
A seguire, La legge “La Loggia” del 5 giugno 2003, n. 131, con il
quale si adegua l’ordinamento della Repubblica alle modifiche introdotte
dal titolo V della Costituzione dalla legge n. 3 del 2001, prevedendo le
norme necessarie per rendere operative le nuove funzioni delle Regioni e
degli enti locali.
Parte prima – Evoluzione del federalismo nel tempo e problemi maturati
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Congiuntamente al rafforzamento delle spinte verso il
decentramento, anche lo sviluppo delle istituzioni europee e il parallelo
trasferimento di poteri a loro favore hanno contribuito nel corso degli anni
Novanta a ridurre il tradizionale ruolo del governo nazionale nella decisione
sulle politiche pubbliche. La crescente mobilità di persone, merci e capitali,
insieme con l’integrazione dei mercati sono le dinamiche che stanno alla
base di (e che anzi hanno reso necessario) questo irrobustimento del livello
decisionale comunitario. Si tratta, tuttavia, di una “devoluzione verso l’alto”
ancora carica di incognite e contraddizioni. La modesta dimensione attuale
del bilancio comunitario priva di effetti concreti l’esercizio delle attuali
funzioni attribuite alle istituzioni comunitarie e rende ancor più contrastante
lo sfasamento tra risorse e competenze alla luce della Costituzione europea
adottata nell’ottobre 2004.
Si deduce che per molte materie un’analisi della distribuzione dei
poteri decisionali richiede ormai necessariamente la considerazione
congiunta di molti livelli di governo (Unione europea, Stato, Regioni,
Comuni) con i collegati rischi di sovrapposizioni e complicazioni.
Ad esempio, le politiche di stabilizzazione macroeconomica (per le
quali la letteratura tradizionale del federalismo fiscale indica la necessità di
un forte potere centrale e quindi, in questo caso, comunitario) sono oggi la
risultante di un processo decisionale, certamente non lineare, che vede
coinvolti l’Unione europea (politica monetaria, rispetto del Patto di stabilità
e crescita, coordinamento delle politiche fiscali in sede Ecofin), i Governi
degli Stati membri (programmazione finanziaria e responsabilità per i
risultati di finanza pubblica in sede comunitaria) e gli enti territoriali
(responsabilità di una parte delle entrate pubbliche e, soprattutto, di una
parte sempre più rilevante di spese).
Parte prima – Evoluzione del federalismo nel tempo e problemi maturati
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Tornando nell’ambito italiano, il testo della legge costituzionale
concernente “Modifiche alla Parte II della Costituzione”, approvata a fine
2005, interveniva in maniera radicale (e probabilmente destabilizzante) su
molti profili delle nostre istituzioni e incideva significativamente sulla
ripartizione delle competenze legislative fissata dalla Costituzione del 2001,
trasformando in competenze esclusive regionali due materie cariche di
significati perequativi e di identità nazionale come sanità e istruzione.
La nuova riforma costituzionale lasciava, invece, del tutto inalterato,
rispetto al testo attuale, il disegno del federalismo fiscale in senso stretto
(art. 119), cioè il meccanismo di finanziamento delle autonomie territoriali
(tributi propri, compartecipazioni e trasferimenti perequativi). Il testo è
stato poi bocciato dal referendum del 25 e 26 giugno 2006
7
.
Finora, in tutti questi anni, il Governo e il Parlamento non hanno
posto mano a quella legge generale di coordinamento della finanza pubblica
prevista dalla stessa Costituzione che avrebbe dovuto tracciare le linee
fondamentali dell’articolazione del sistema tributario tra livelli di governo,
del sistema perequativo e di un nuovo Patto di stabilità interno rispettoso
dell’autonomia degli enti territoriali.
Di questa situazione di paralisi sul lato dell’effettiva attuazione del
progetto federalista è sintesi esemplare la mesta chiusura dei lavori
dell’Alta Commissione sul federalismo fiscale (di cui se ne parlerà
maggiormente in seguito). Incaricata di formulare indicazioni su come dare
attuazione al nuovo modello della finanza regionale e locale, l’Alta
Commissione ha operato, in tutti i suoi due anni e mezzo di attività, senza
che il Governo si premurasse di far proprio il documento di indirizzo, a suo
tempo approvato da Regioni ed enti locali, che avrebbe dato fondamento
7
Nello specifico, il secondo referendum costituzionale della storia della Repubblica Italiana ha
avuto un’opposizione del 61,32%, con solo il 38,68% di risposte favorevoli alle modifiche.
Parte prima – Evoluzione del federalismo nel tempo e problemi maturati
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giuridico ai suoi sforzi progettuali. Il rapporto conclusivo dell’Alta
Commissione è stato presentato al Governo nel sostanziale disinteresse di
quest’ultimo, e comunque senza alcun risultato concreto in termini di
effettiva produzione legislativa.
Al di sotto del livello costituzionale, sul piano delle politiche
concrete di governo del sistema della finanza decentrata, Regioni ed enti
locali stanno da anni vivendo in uno stato di “amministrazione controllata”,
in cui gli usuali vincoli alla loro autonomia finanziaria, imposti dallo Stato
al di fuori di qualsiasi procedura concertata, sono stati ulteriormente
inaspriti.
Fino a qualche anno fa tuttavia questo insieme di riforme sembrava
aver registrato, al di là dei periodici annunci da parte della maggioranza di
governo, una decisa battuta d’arresto. Con il ritorno del governo di centro-
destra nell’aprile 2008, il tema del federalismo riprende quota, soprattutto
per l’intervento della Lega Nord, e il governo, nella riunione del Consiglio
dei Ministri dell’11 settembre scorso, ha approvato in via preliminare il
disegno di legge delega sul federalismo fiscale, che viene poi approvato
definitivamente, il 3 ottobre 2008. Sempre nel mese di ottobre dovrebbe
approdare in Parlamento ed avere il via libera insieme alla finanziaria a fine
anno.
Quindi il nuovo secolo in Italia si apre con prospettive nuove e più
avanzate rispetto alla decentralizzazione politica. Il processo di riforma
avviato all’inizio degli anni ’90 non ha probabilmente eguali nella storia
istituzionale ed amministrativa del nostro Paese quanto ad intensità e
rapidità delle trasformazioni.
Oltre a quelli appena elencati, infatti, nel medesimo periodo sono stati
introdotti numerosi altri cambiamenti legislativi che hanno inciso
sull’assetto della finanza regionale e locale.