7
modo di produzione capitalistico, ma hanno raggiunto livelli di crisi
nell’ambito dei paesi dell’Europa occidentale, nei quali il Welfare
State aveva conosciuto, nei decenni precedenti, uno sviluppo
notevole in termini economici e sociali. Nel caso italiano, in
particolare, la crisi dello Stato-provvidenza è stata aggravata dalla
fragilità strutturale del sistema monetario nazionale e dal dualismo
economico che caratterizza la nostra penisola da tempi non più
recenti.
La crisi dello Stato ha prodotto effetti deleteri sull’attività
della pubblica amministrazione italiana, rendendo ormai
improrogabile l’avvio di processi di riforma strutturale, che, invero,
erano auspicati da più parti, già da tempo, a causa della mancata
innovazione prodotta dall’entrata in vigore della Costituzione del
1948 sul sistema amministrativo nel suo complesso.
La crisi economica e finanziaria degli anni ’70 ha posto in
evidenza, come peculiarità della pubblica amministrazione italiana,
la crescita eccezionale che si era avuta, a fianco del tradizionale
sistema “per ministeri”, delle cosiddette “amministrazioni parallele”,
che, nate già nell’età giolittiana, per la realizzazione di obiettivi che,
necessitando di strutture flessibili, non potevano essere raggiunti
8
nell’ambito dell’organizzazione ministeriale, avevano occupato, nel
corso dei decenni, uno spazio sempre più ampio all’interno del
sistema amministrativo italiano, la cui ragion d’essere era stata
deviata in rispondenza a logiche clientelari, nonché a quelle, più
generali, legate al garantismo del pubblico impiego.
In tale contesto di crisi generale, la pubblica amministrazione
si trovava di fronte alla necessità di ricercare nuove fonti di
legittimazione, ponendo in atto processi di riforma che producessero
effetti significativi di riduzione della spesa pubblica, recependo,
altresì, le direttive europee che richiedevano di attuare forme di
decentramento amministrativo e di dar luogo a ristrutturazioni che,
piegandosi alle esigenze di competitività, di produttività e di
efficacia, si inserissero meglio nell’economia di mercato.
Questa ricerca ha preso in esame il processo di riforma
dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, che costituisce un
caso particolarmente interessante dell’esperienza attraversata nel
senso accennato dalle “amministrazioni parallele”, in ragione delle
sue dimensioni notevoli e della rilevanza nazionale.
Alla fine degli anni ’70, l’INPS stava attraversando un
periodo di crisi strutturale che, inquadrandosi nel più vasto contesto
9
di crisi dello Stato e della pubblica amministrazione, richiedeva di
intraprendere una riforma organica che, intervenendo direttamente
sulle strutture dell’Istituto e sull’attività amministrativa, affrontasse i
temi delle procedure, dell’organizzazione, del personale e dei
controlli.
In questa indagine si sono analizzati alcuni aspetti degli
interventi effettuati al fine di rispondere all’esigenza di innovazione,
scaturita dalla crisi dell’Istituto, e di ritrovare, pertanto, nuove fonti
di legittimazione nel processo di riforma che, dopo alcuni timidi
tentativi effettuati nel corso degli anni ’80, ha ricevuto un impulso
più deciso dall’approvazione della legge 9 marzo 1989, n. 88, di
ristrutturazione dell’INPS, che ha influito direttamente sulle
competenze degli organi e sulle funzioni della dirigenza.
Nell’analisi degli interventi diretti a modificare l’assetto
dell’Istituto, si è tenuto conto della necessità, avvertita da più parti e
richiesta anche dalle istituzioni europee, di porre in essere iniziative
che influissero, in maniera decisiva, sui parametri relativi alla
produttività, all’efficacia e alla qualità dei servizi resi.
Si è preso in esame il tema del decentramento
amministrativo, cercando di verificarne il livello di attuazione e gli
10
effetti prodotti sulle attività operative, orientando l’attenzione sulle
novità scaturite dall’introduzione della modalità di lavoro in “logica
di processo” e dall’evoluzione del ruolo svolto dalla formazione del
personale, che si è concretizzato nelle iniziative volte a diffondere la
cultura del servizio ed il senso di appartenenza aziendale, superando
i limiti della tradizionale formazione in aula, finalizzata
esclusivamente all’accrescimento delle conoscenze tecniche.
Il tema dell’innovazione è stato, quindi, posto in relazione
con le iniziative istituzionali orientate alla diffusione di una nuova
immagine dell’Istituto, funzionale alla ricomposizione del fattore di
legittimazione dell’attività amministrativa, che hanno posto in
evidenza il ruolo di primo piano svolto, in questo senso, dalla
comunicazione, nonché le potenzialità contenute in tale funzione.
L’attenzione dovuta al ruolo svolto dalla comunicazione ha
orientato l’interesse di questa ricerca verso le nuove tecniche
gestionali mutuate dal mondo dell’industria privata e del terziario
avanzato, quali la ”customer satisfaction”, il “benchmarking” e il
sistema di produzione “per flusso continuo”, anziché “per lotti”, che
si è concretizzato nell’attuazione del “Progetto Tempo Reale”,
sperimentato in alcune strutture dell’Istituto e diffuso, nei tempi più
11
recenti, su tutto il territorio nazionale.
Rilevata l’importanza del ruolo svolto dalla comunicazione
per la realizzazione e la diffusione di una nuova immagine
dell’Istituto, che ne favorisca il processo di legittimazione
dell’attività amministrativa, si sono analizzati gli strumenti utilizzati
a tal fine, costituiti, in primo luogo, dalle riviste dell’INPS, “Sistema
previdenza” in modo speciale, ma, anche, dai convegni nazionali,
dalle conferenze internazionali, dalle pubblicazioni on-line e dalle
video-conferenze.
12
1. ESIGENZA DI INNOVAZIONE NELL’AMMINISTRAZIONE
PUBBLICA: IL CASO DELL’INPS.
1.1 LA CRISI DELL’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA. IL
RAPPORTO GIANNINI.
Sul finire degli anni ’70 del secolo scorso, l’Istituto
Nazionale della Previdenza Sociale attraversava una crisi finanziaria
e funzionale di notevoli dimensioni.
Le problematiche connesse con tale crisi si inserivano nel più
vasto contesto della crisi del Welfare State, che in quegli anni, ed
oltre, fino ad oggi, era posto in discussione in tutti i Paesi
occidentali
1
, dove, nei decenni precedenti, si era ampliato per
successivi impulsi, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra
2
.
Alle critiche provenienti dai detrattori di sempre del Welfare
State, ultra-liberisti e sostenitori ideologici dello “Stato minimo”, si
aggiungevano quelle di vasta parte dell’opinione pubblica
3
, originate
dalla valutazione di elementi oggettivi, che rendevano ormai
evidente, anche agli occhi degli osservatori più ottimisti, la necessità
di apportare modifiche sostanziali alle politiche previdenziali ed a
1
G.Mammarella, Storia d’Europa dal 1945 a oggi, Bari, 2006
2
P.Villani, L’età contemporanea, XIX-XX secolo, Bologna, 1998
3
G. Melis, Storia dell’amministrazione italiana. 1861-1993, Bologna, 1996
13
quelle assistenziali.
La crisi finanziaria era resa ancor più grave dagli sprechi e
dalle inefficienze che, avendo caratterizzato da tempo immemorabile
l’attività della Pubblica Amministrazione italiana, venivano ora posti
in rilievo dalla crisi stessa, richiedendo interventi divenuti ormai
improrogabili.
La necessità di programmare interventi, di medio e lungo
periodo, risolutivi di tali problematiche, spinse il Governo e il
Parlamento della Repubblica ad esaminare, con attenzione e serietà,
l’intero quadro organizzativo dell’Amministrazione Pubblica
italiana.
Il Ministro per la funzione pubblica, Massimo Severo
Giannini, elaborava, pertanto, il noto “Rapporto sui principali
problemi della Amministrazione dello Stato”, che descriveva, con
accorato realismo, la situazione in cui versava la Pubblica
Amministrazione italiana, e lo trasmetteva alle Camere: era il 16
novembre 1979.
Con il Rapporto Giannini, rappresentando i principali
problemi relativi alle Amministrazioni dello Stato, si chiedeva al
Parlamento di procedere ad una riforma organica della Pubblica
14
Amministrazione, al fine di superare le incoerenze normative
derivanti dall’aver proceduto, fino ad allora, all’adozione di
decisioni di indirizzo occasionate dai progetti di legge che via via
erano stati presentati al Parlamento stesso, con esiti finali
disaggreganti e contrastanti
4
.
La carenza principale delle amministrazioni pubbliche
veniva individuata nella inadeguatezza delle tecniche di
amministrazione ai servizi da erogare; a tale carenza erano da
attribuire le immagini popolari delle organizzazioni pubbliche, come
composte, nei casi peggiori, di inetti e di fannulloni, e in quelli
migliori, di tardigradi e di cultori di formalismi
5
.
L’arretratezza delle tecniche di amministrazione veniva
evidenziata anche comparativamente a quelle del settore privato,
segnalando una sproporzione nei tempi di risposta in rapporto di uno
a tre con riferimento alle organizzazioni, rispettivamente, privata e
pubblica, con l’aggravante, per quest’ultima, della fornitura di
prodotti di qualità inferiore
6
.
4
M.S. Giannini, Rapporto sui principali problemi dell’amministrazione dello
Stato, Roma, 1979, p.7
5
Ivi, p.9
6
Ivi, p.10
15
Venivano poi esaminate le problematiche inerenti la
produttività e l’efficienza, laddove la carenza era evidenziata nel
merito della rilevazione di indicatori idonei a misurazione oggettiva,
ai quali si potessero collegare eventuali premi incentivanti da
erogare al personale; qui l’analisi comparativa si riferiva agli Stati
Uniti d’America, all’Inghilterra e alla Germania, sottolineando che
in tali Paesi già da tempo una fetta del salario mobile era collegata a
tali indici
7
.
In un paragrafo dedicato alle tematiche riguardanti il
personale, si prendeva atto che il fulcro della questione andava
inquadrato nella necessità di dover ricorrere a misure incentrate sulla
formazione e l’addestramento del personale, attualmente disciplinati
in modo inappagante, a causa di una rete di norme e prescrizioni che
ingabbiava la Scuola superiore della pubblica amministrazione e le
altre scuole di singole amministrazioni: occorreva procedere ad un
lavoro preliminare di delegificazione
8
.
Gli interventi legislativi riguardanti il parastato erano valutati
negativamente, in quanto la normativa introdotta con la nota legge n.
70 del 1975, conosciuta sintomaticamente come la legge per la
7
Ivi, p.10-11
8
Ivi, p.31
16
soppressione degli enti inutili, sembrava non tener conto che
l’esigenza di istituire enti pubblici nasce dalla difficoltà di svolgere
talune funzioni nell’ambito dell’amministrazione statale
9
:
storicamente, già nell’era giolittiana, si erano costituite
“amministrazioni parallele”, distinte dall’organizzazione tradizionale
“per Ministeri”, che godevano di un ampio margine di autonomia, al
fine di garantire la flessibilità necessaria allo svolgimento delle
funzioni a loro attribuite.
La valutazione negativa non riguardava soltanto la legge n.
70 del 1975, ma si estendeva anche agli altri interventi legislativi
che, a partire dagli anni ’70, avevano interessato gli enti del
parastato.
Si prendeva atto, in particolare, di aver proceduto in modo
poco ordinato
10
, sottoponendo spesso lo stesso ente a più norme,
talvolta persino contrastanti tra loro. Talune norme avevano
disposto, inoltre, regole troppo rigide
11
per divenire effettivamente
applicabili e il Parlamento, essendosene reso conto, era intervenuto
con leggine di ritocco.
9
Ivi, p.41-42
10
Ibidem
11
Ibidem
17
Tale rigidità aveva, altresì, influito negativamente sulla
produttività
12
degli enti del parastato: ciò era stato lamentato dai
Presidenti di alcuni di tali enti stessi.
Si concludeva facendo osservare che nel Rapporto ci si era
limitati a prospettare i problemi in chiave di organizzazione,
intendendosi questa come strutture, personale e tecniche di
amministrazione insieme
13
; quindi si riaffermava la necessità
impellente di affiancare a riforme di pubbliche amministrazioni la
modernizzazione delle leggi regolative dell’azione amministrativa e,
con enfasi, si sottolineava che la fiducia dei cittadini nella pubblica
amministrazione non dipende dalle leggi, e non si avrà finché non
sia cancellata da una diuturna opera illuminata di uomini l’odierna
figura dello Stato, che per i cittadini non è un amico sicuro e
autorevole, ma una creatura ambigua, irragionevole e lontana; si
denunciava la situazione attuale come gravissima e, tuttavia, non
irreversibile, confidando nella saggezza del Parlamento per dare la
spinta che occorreva per iniziare la risalita
14
.
12
Ibidem
13
Ivi, p.46
14
Ivi, p.47
18
1.2 LE DIMENSIONI DEL FENOMENO INPS AGLI INIZI DEGLI
ANNI ’80.
La situazione descritta dal Rapporto Giannini caratterizzava
l’intero panorama della pubblica amministrazione italiana; tuttavia,
l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, agli inizi degli anni
‘80, presentava alcune specificità.
L’Istituto, quale erede della Cassa di previdenza per
l’invalidità e per la vecchiaia degli operai, istituita nel 1898, gode
storicamente di un grado di autonomia superiore rispetto alla
maggior parte delle altre amministrazioni pubbliche, potendo
disporre, per tale ragione, di maggiore flessibilità gestionale e
organizzativa, rientrando, a pieno titolo, nel novero delle cosiddette
amministrazioni parallele.
Nel primo periodo
15
, che va dal 1898 al 1919, la Cassa
Nazionale gestisce esclusivamente l’assicurazione, di natura
facoltativa, degli operai dell’industria.
Nel 1919 l’assicurazione viene resa obbligatoria
16
e, nei
decenni successivi, viene via via estesa ad altre categorie di
15
INPS, Novant’anni di previdenza in Italia: culture, politiche, strutture. Atti
del convegno, Roma, 1989, p.205
16
Ivi, p.206
19
lavoratori dipendenti.
Nel 1933, sull’onda del fenomeno definito della
“entizzazione”, l’INPS assume il nome odierno; nel 1935 il R.D.L.
n. 1827, disponendone il nuovo ordinamento, gli conferisce
personalità giuridica e gestione autonoma, sul modello degli enti
creati da Beneduce
17
.
Nel periodo successivo al 1945, la tutela previdenziale viene
estesa
18
ai coltivatori diretti (1957), agli artigiani (1959) ed ai
commercianti (1966), e viene istituita la pensione sociale (1969), di
natura assistenziale.
Le disposizioni del Ministero del Tesoro conseguenti alla
emanazione della legge n. 70/1975, citata nel paragrafo precedente,
riportarono l’INPS, insieme agli altri enti del parastato, al regime di
contabilità De Stefani,
19
del 1923, con la immediata conseguenza di
ridurne l’autonomia gestionale, che, al contrario, era stata
incrementata con il riconoscimento della personalità giuridica
attribuito nel 1935.
17
S. Cassese, L’inps? E’ un ente di enti, in Sistema previdenza, Anno I, n. 3
(apr. 1982), p.9
18
INPS, Novant’anni di previdenza … cit., p.240
19
Ivi, p.285-286
20
Per completare l’esposizione, per linee generali, della
situazione giuridico-organizzativa che caratterizzava l’INPS agli
inizi degli anni ’80, è necessario, ora, tener conto di alcuni dati
relativi alle funzioni e all’organico dell’Istituto: nel 1981 l’INPS
aveva in carico 12 milioni e mezzo di pensioni in pagamento, 18
milioni di assicurati, 7 milioni di domande di prestazioni, 1 milione
200 mila aziende iscritte
20
, potendo disporre di circa 40 mila
dipendenti
21
.
Negli anni precedenti gli erano stati attribuiti nuovi
adempimenti, tra cui, in particolare, la gestione di casse e fondi
speciali di previdenza per gli appartenenti a determinate categorie di
lavoratori (marittimi, ferrotranvieri, esattoriali, dazieri, telefonici,
dipendenti aziende private del gas, ENEL, etc.), la gestione della
Cassa unica per gli assegni familiari, della Cassa integrazione
guadagni, di alcune forme di assicurazione obbligatoria contro
determinati “rischi”: disoccupazione involontaria, malattia
tubercolare, indennità economiche di malattia e di maternità prima
20
L. Fassari, [et al.], Per uscire dal tunnel, in Sistema previdenza, Anno I, n. 1
(feb. 1982), p.7
21
Ivi, p.8