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enunciazione e ricezione. Infine, ho considerato l’analisi semiotica e narrativa, cercando
in primo luogo di evidenziare come l’applicazione degli strumenti semiotici alla
pubblicità possa aumentarne l’efficacia o quanto meno facilitarne lo studio a livello
operativo; in secondo luogo, ho preso in esame gli aspetti della teoria narratologica che
possono essere applicati allo studio di testi pubblicitari.
Nel secondo capitolo mi sono concentrata sulla pubblicità a stampa della cosiddetta
terza fase, secondo una suddivisione temporale che isola la produzione pubblicitaria
degli ultimi quindici anni evidenziandone alcune particolari caratteristiche. I caratteri
della pubblicità della terza fase, definita come fase della marca, derivano da una serie di
fattori economico-sociali, tra i quali l’espansione dei consumi immateriali e di servizi, la
fine del periodo di crescita economica degli anni ottanta, e soprattutto la modifica
sostanziale che porta il consumo stesso a essere non più un evento circoscritto, ma una
pratica continua, diffusa, implicita in gran parte delle azioni quotidiane; la fluidità dei
comportamenti di consumo, la difficoltà di individuarli e catalogarli li porta a essere più
difficilmente influenzabili. Quello che viene offerto, tramite l’annuncio pubblicitario,
non è più un semplice prodotto, ma un mondo possibile, un intero sistema di valori ai
quali il consumatore è portato ad accostarsi; di queste strutture valoriali si fa portavoce
la marca, che si fa anche garante dell’efficacia e dell’economia comunicativa del
messaggio. Dopo aver trattato delle origini della marca e fornito una definizione che ne
mettesse in luce la complessità concettuale, ho evidenziato come tale concetto si presti a
essere analizzato come oggetto semiotico, integrando dunque all’analisi del fenomeno
marca una prospettiva semiotica interpretativa.
Per creare e sostenere l’universo della marca nello spazio di un annuncio o di una
campagna pubblicitaria, le pubblicità si avvalgono di determinati modelli retorici e
pragmatici e ne sfruttano le potenzialità: riferimenti intertestuali, citazioni, ambiguità e
ironia vengono dunque impiegati per sovrapporre, a quello denotativo, un ulteriore
livello connotativo, per espandere il valore semantico di un enunciato, insomma per
conferire al testo una maggiore facoltà comunicativa. Ciò che accomuna questi
fenomeni è la presenza, e la fondamentale rilevanza, ai fini della comprensione e
dell’efficacia di un testo pubblicitario, di ciò che non viene espresso esplicitamente:
presupposizioni, competenze, conoscenze pregresse, indispensabili affinché il processo
di comprensione e persuasione possa avere luogo come previsto dagli emittenti del
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messaggio. Si considera quindi il ruolo del destinatario di un testo pubblicitario, le cui
competenze (enciclopediche, intertestuali) vengono non solo previste dal testo
pubblicitario, ma anche istituite, costruite e di volta in volta alimentate.
Nella terza e ultima parte del lavoro vengono presi in considerazione quei fenomeni
linguistici e pragmatici che basano la loro efficacia, nel contesto della comunicazione
pubblicitaria, sulla presenza di un destinatario attivo, continuamente interpellato dal
testo, chiamato a intervenire sulla decodifica di un testo che fa leva proprio sulla sua
capacità inferenziale. Si tratta di fenomeni largamente presenti nei testi pubblicitari
perché coinvolgono il destinatario, lo implicano nelle dinamiche di ricostruzione del
senso puntando sulla cooperazione interpretativa e sulla maggiore capacità di essere
ricordato di un testo che si lega e si fonda su altri testi, altri generi, altri discorsi.
Manifestazioni di questa tendenza a caricare il lettore di parte del lavoro di
comprensione sono testi pubblicitari che utilizzano a questo fine lo sfruttamento di
conoscenze pregresse del ricevente, rimandi ad altri testi (intertestualità, allusioni),
citazioni, termini polisemici, registri espressivi ironici o ambigui. I fenomeni considerati
vengono analizzati dal punto di vista teorico e da quello applicativo, in particolare su
annunci pubblicitari a stampa comparsi su riviste settimanali e mensili di vario genere
degli ultimi anni.
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1. Il discorso pubblicitario
1.1 Persuasione occulta?
Il fenomeno della comunicazione pubblicitaria, nelle sue differenti forme, è stato fin
dalle sue origini considerato oggetto di studio di diverse discipline. A seconda del
periodo storico, degli strumenti analitici utilizzati e delle finalità di questi studi sono
stati presi in considerazione di volta in volta aspetti diversi del fenomeno: la superficie
espressiva, il contenuto linguistico, la valenza socio-culturale, le motivazioni
prettamente economiche, le dinamiche di codifica e decodifica del testo, il legame con
le strutture e le figure della retorica classica.
I metodi utilizzati nell’analisi del fenomeno pubblicitario, così come le discipline che in
quest’analisi vengono chiamate in causa, sono molteplici. Uno dei principali terreni di
scontro, la discriminante fondamentale che permette di individuare una prima
distinzione nelle direzioni di studio, è costituita dalla diversa concezione del ruolo del
destinatario del testo pubblicitario e dalle diverse teorie sulla ricezione. L’opposizione
vede da un lato un testo manipolatore e subdolo, che colpisce un ricevente
completamente passivo con lo scopo occulto di persuaderlo a compiere azioni contrarie
alla sua volontà; dall’altro, un testo il cui intento persuasivo è ormai manifesto al
destinatario che viene, coerentemente agli scopi precipui di un testo pubblicitario,
coinvolto nel processo di ricostruzione del senso e considerato parte essenziale della
strategia testuale.
È soprattutto a partire dagli anni cinquanta che alcuni studiosi cominciano a occuparsi
di comunicazione pubblicitaria e a evidenziarne i caratteri manipolatori. In particolare è
Packard che nel suo celebre studio pubblicato nel 1957 affronta quello che all’epoca era
considerato “un aspetto nuovissimo, ancora misterioso e si potrebbe dire esotico della
vita americana” (Packard, [1957], 1962). Sono gli anni del boom economico, in cui si
assiste a una crescita smisurata dei prodotti disponibili al grande pubblico e la
comunicazione pubblicitaria assume agli occhi delle imprese committenti un peso
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sempre maggiore nel determinare i volumi di vendita. Le maggiori agenzie pubblicitarie
creano campagne basandosi sui concetti strategici ispirati alla cosiddetta “analisi
motivazionale”, ossia un insieme di ricerche che si propone di scoprire in base a quali
motivazioni la gente compie determinate scelte piuttosto di altre. L’analisi
motivazionale, tramite sondaggi e vari tipi di test, cerca di portare alla superficie livelli
inconsci della mente degli individui, partendo dal presupposto che le preferenze che
muovono i consumatori nascono da fattori di cui essi stessi non sono consapevoli. Gli
emittenti dei messaggi pubblicitari (imprese, agenzie di pubblicità) diventano nel libro
“i persuasori”, professionisti che si servono di metodi e conoscenze mutuate dalla
psichiatria e dalle scienze sociali per dirigere opportunamente le preferenze del
pubblico. La chiave dell’efficacia dei messaggi pubblicitari così concepiti risiede nella
segretezza di tali processi di manipolazione: di qui la definizione di “pubblicità del
profondo” per indicare il livello a cui tali messaggi operano una volta recepiti dai
destinatari. Questo tipo di pubblicità nascerebbe dalla constatazione che i consumatori
siano “un miscuglio di vaghe aspirazioni, di segrete e confuse velleità, complessi di
colpa e blocchi emotivi irrazionali. […] adoratori di immagini, dediti ad atti impulsivi e
compulsivi”(Packard, [1957], 1962: 17).
In questo approccio il destinatario è un essere capriccioso e volubile ma comunque
altamente manipolabile; la pubblicità, per essere efficace e muoverlo nella direzione
voluta, deve conoscere e far leva su ciò che egli stesso non è in grado di ammettere:
desideri nascosti, abitudini, aspirazioni represse. Il consumatore viene minuziosamente
descritto e inquadrato dai sondaggi per classe sociale, sesso, età, reddito, abitudini,
orientamento politico e fin nei più precisi dettagli; non è previsto nessun tipo di
cooperazione attiva e consapevole da parte del ricevente, al quale sarà sufficiente essere
colpito dall’annuncio adatto per avere le reazioni programmate.
Lo studio di Packard ha messo in luce aspetti del processo di creazione pubblicitaria
all’epoca sconosciuti e difficilmente immaginabili; molte delle osservazioni derivano da
colloqui tenuti con i professionisti delle maggiori agenzie di pubblicità d’America e
rimangono preziose nella misura in cui testimoniano l’effettiva prassi dell’epoca.
Emergono inoltre concetti che restano attuali e di cui si trova traccia negli studi
contemporanei sulla pubblicità: Packard intuisce innanzitutto che nella comunicazione,
e specialmente nella pubblicità, un maggior controllo e quindi una maggiore
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manipolazione si ottengono facendo leva su argomenti irrazionali, su fattori affettivo-
emozionali piuttosto che su argomenti logici; in secondo luogo che non sono solo i
prodotti che possono essere valorizzati, ma che esiste un “mercato delle idee” associato
a essi: “Non si comprano più automobili, ma prestigio”(Packard, [1957], 1962: 18).
Tuttavia, vari fattori concorrono a ridimensionare le potenzialità del ricorso alla
psicoanalisi e alla psicologia del profondo nello spiegare il funzionamento della
pubblicità e le attitudini dei consumatori: innanzitutto l’analisi dei motivi inconsci che
spingono gli individui a determinati comportamenti risulta difficile e incerta, soprattutto
nell’ambito di ricerche di mercato; inoltre, le scelte effettuate tra diversi prodotti sono
raramente riconducibili in maniera univoca e infallibile a motivazioni inconsce (Fabris,
1994).
Molte cose sono inoltre cambiate dagli anni cinquanta, non solo nell’ambito della
produzione pubblicitaria, ma anche e soprattutto nella coscienza dei riceventi, che a
fronte di un’espansione indiscriminata dei fenomeni pubblicitari hanno maturato una
conoscenza e una consapevolezza maggiori nei confronti di tale fenomeno. Il
destinatario oggi non è più inteso come un bersaglio passivo che vada colpito e
manipolato a sua insaputa, ma come un attore fondamentale nell’attivazione dei percorsi
di senso indicati dalla pubblicità, attentamente considerato nella progettazione di
qualsiasi messaggio pubblicitario.
1.2 Due modelli a confronto
Un ulteriore mutamento di prospettiva negli studi dedicati alla pubblicità riguarda la
scelta dei modelli di riferimento, delle sintesi che di volta in volta, integrando teorie
sulla comunicazione e teorie di stampo economico sulla circolazione di beni e servizi,
cercano di rappresentare in modo globale e sintetico il sistema della produzione e del
consumo. Il punto cardine che divide le rappresentazioni più datate da quelle
contemporanee è costituito dal peso sempre maggiore che vanno assumendo la
pubblicità e la comunicazione.
La teoria economica classica concepisce il mercato come un sistema bipolare, costituito
dal sistema dell’offerta e dal sistema del consumo. In questo modello sono presenti
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anche le variabili rappresentate dal sistema distributivo e dai flussi comunicativi, che
tuttavia non svolgono un ruolo fondamentale: le dinamiche di mercato derivano
essenzialmente dall’interazione dei due attori principali (Semprini, 2003). I flussi di
prodotti e informazioni viaggiano in maniera unidirezionale dai produttori ai
consumatori, ai quali viene attribuito un ruolo decisamente passivo. Il mercato è visto
come un contenitore vuoto: la “missione” dei produttori è riempirlo con i loro prodotti,
mettere quindi il più gran numero di consumatori e di prodotti in uno stato di
congiunzione. La logica sottesa a questa interpretazione del mercato emerge
chiaramente nella terminologia utilizzata dal marketing classico: laddove si parla di
penetrazione, di saturazione dei mercati, si rappresenta l’insieme dei consumatori
eventuali come un oggetto inerte, passivo nelle mani dei produttori.
Oggetto degli scambi tra i due poli sono, in questo modello, esclusivamente i prodotti:
la comunicazione ha il solo scopo di supportare la diffusione dei prodotti fra i
consumatori, ha un ruolo unicamente funzionale e non autonomo.
Un nuovo modello di concettualizzazione del mercato, efficacemente schematizzato da
Semprini, supera decisamente il bipolarismo della teoria classica, sostituendo a
produttori e consumatori, rispettivamente, sistema della produzione e sistema della
ricezione. Questa modifica, apparentemente solo terminologica, permette di prefigurare
un nuovo tipo di modello, in cui gli scambi non coinvolgono solo le merci ma anche i
discorsi che dai prodotti vengono generati e che ai prodotti attribuiscono senso. La
comunicazione assume un ruolo autonomo e modifica la struttura del sistema
economico, costituendosi come una delle sue parti fondamentali. Il modello diventa
tripolare, il sistema della produzione si divide in due componenti: l’offerta discorsiva,
che costituisce il mercato della comunicazione, si aggiunge alla classica offerta di
prodotti; la pubblicità svolge una funzione essenziale e insostituibile, al pari di quelle di
produzione e commercializzazione. La comunicazione, completamente autonoma, non
serve più solo a congiungere prodotti e consumatori ma assume un ruolo creativo,
assicurando al prodotto un’esistenza discorsiva, che si incarica di fornirgli un senso che
lo sostenga e lo distingua dagli altri prodotti e discorsi. La messa in discorso diventa
fondamentale in un mercato coinvolto da fenomeni di moltiplicazione quantitativa e
qualitativa dei prodotti: non sono più le caratteristiche intrinseche del prodotto che ne
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garantiscono il successo e la riconoscibilità, ma i discorsi a esso associati; la
sopravvivenza dei prodotti è legata al procedimento artificiale che attribuisce loro una
significazione.
In secondo luogo, il passaggio dalla definizione di consumatori a quella di sistema della
ricezione permette di attribuire un ruolo decisamente più attivo ai ricettori. Le
dinamiche di ricezione, contrariamente a quelle di consumo, presuppongono un’azione
interpretativa, una richiesta implicita di cooperazione del destinatario, che in questo
processo investe le sue conoscenze e i suoi valori. È in questa messa in evidenza del
ruolo del pubblico che risiede la vera novità rispetto alla visione dell’economia classica,
ma anche rispetto alla visione di Packard che non concede al pubblico dei consumatori
il minimo potere di critica sui messaggi pubblicitari.
L’inadeguatezza analitica del paradigma della pubblicità intesa come persuasione
occulta porta ad un ribaltamento della definizione stessa: nella pubblicità viene ora
riconosciuta una forma di “persuasione manifesta” (Marrone, 2001: 137), dal momento
che un atto persuasivo non può essere considerato occulto se il suo intento è esplicito e
conosciuto dai destinatari; la pubblicità è “franca ed enfatica, dunque non possiede nulla
di occulto” (Testa, 2007: 144). La volontà di sedurre, attirare l’attenzione e convincere è
un tratto connaturato nella comunicazione pubblicitaria, la sua ragion d’essere; il grande
pubblico, al quale la pubblicità si rivolge, forse non ne conosce appieno le modalità e i
meccanismi, ma certo non può ignorarne l’esistenza. I fenomeni pubblicitari sono oggi
così diffusi e molteplici che nessuno, almeno nelle società di tipo occidentale, può
restarne completamente impermeabile: è in questo senso che si parla di pubblicità come
discorso sociale.
1.3 Un discorso sociale
Negli ultimi quarant’anni la pubblicità ha attraversato una serie di mutamenti che
l’hanno condotta a evolversi: da linguaggio settoriale, autonomo ma circoscritto, a
forma discorsiva compiuta, vero e proprio discorso sociale (Semprini, 1996). Un
discorso sociale è un insieme di pratiche, di punti di interesse, di orientamenti sociali e
culturali; una struttura di risorse materiali e simboliche a cui le persone e i gruppi si
riferiscono per affrontare questioni sociali e per definirsi. La pubblicità si inserisce a
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pieno titolo fra i maggiori discorsi sociali (quelli della politica, della religione, dei mass
media) arrivando a condizionarli e a modellarli sulla sua forma.
A questo proposito è stato introdotto il concetto di forma-pubblicità, ovvero modalità e
stili discorsivi propri del discorso pubblicitario che influenzano gli altri discorsi sociali
predominanti e ne modificano la struttura. La pubblicità “ha cessato di essere soltanto
ospite dei media per insinuarsi all’interno dei contenuti redazionali e dei palinsesti e un
processo di reciproca contaminazione fra i generi rende sempre più labili i confini delle
rispettive specificità” (Fabris, 1994: 18). La comunicazione pubblicitaria ha oggi la
stessa autonomia espressiva, se non ancora la stessa dignità, degli altri generi
istituzionalizzati delle comunicazioni di massa; considerando la sua indipendenza, essa
viene considerata un metagenere (Fabris, 1994: 20), caratterizzato da un proprio
linguaggio e soprattutto in grado di intervenire in modo trasversale sui vari mezzi di
comunicazione di massa. La pubblicità continua a citare e a servirsi, per creare i suoi
messaggi, dei contenuti veicolati da altri mezzi (cinema, musica, Tv) ma a differenza di
quanto accadeva abitualmente in passato oggi avviene anche l’opposto: è la pubblicità
che diventa fonte di ispirazione, serbatoio di modelli e forme comunicative per altri
mezzi di comunicazione.
Il motivo dell’importanza della forma-pubblicità risiede nel fatto che “essa partecipa di
due grandi paradigmi epocali, che stanno ristrutturando la Weltanschauung e le pratiche
sociali della modernità tardiva: il consumo e la comunicazione” (Semprini, 2003: 78).
La pubblicità diventa così forma culturale, un fenomeno che riflette e al contempo
alimenta una visione della sfera sociale centrata sui due paradigmi di Economia e
Comunicazione. Al discorso pubblicitario e alle sue caratteristiche peculiari (ripetitività,
diffusione, invasione di spazi e tempi privati) vengono quindi imputati effetti sociali
rilevanti, tra cui la tendenza della pubblicità a operare selezioni sull’ambiente
socioculturale in cui agisce. Scegliendo di cosa parlare e come parlarne la pubblicità
promuove e valorizza socialmente i termini propri di quel vocabolario
linguistico che essa crea o utilizza e rende ridicoli quelli che non sono
funzionali ad esso, mette l’accento soltanto su alcuni temi, concetti e
categorie mentali e fa dimenticare gli altri, ma soprattutto rafforza i valori
sociali che promuove e svuota di significato gli atri valori che essa ignora
(Codeluppi, 2002: 113).
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Si tratta di un fenomeno che riporta alle teorie dell’agenda setting (Wolf, 1992) ovvero
la capacità di un mass medium o di un particolare discorso sociale di catalizzare
l’attenzione dell’opinione pubblica e dirigerla verso determinati argomenti, valori, ruoli
sociali. L’ipotesi dell’agenda setting, che nasce nell’ambito degli studi sulla
comunicazione di massa, non sostiene che i media persuadano il pubblico, ma che
forniscano una vera e propria lista di argomenti meritevoli di attenzione. I media sono
responsabili di una quota sempre maggiore delle conoscenze degli individui; il pubblico
si trova sempre più ad avere a che fare con informazioni di seconda mano e fortemente
tematizzate, sviluppando quindi una sorta di dipendenza cognitiva dai media e dal loro
lavoro di mediazione della realtà. La pubblicità, con le sue rappresentazioni della realtà
sociale, è in grado di svolgere questa funzione e lo fa decidendo a cosa dare visibilità e
scegliendo quali aspetti del soggetto affrontato mettere in evidenza.
1.4 Metodi
Dopo questa prima descrizione di alcuni dei principali approcci alla tematica
pubblicitaria in generale, il lavoro si propone di entrare nel merito dello studio del
linguaggio pubblicitario così come esso si manifesta negli annunci a stampa.
Le problematiche affrontate fino a questo punto sono relative alla percezione sociale
della pubblicità, al suo peso e al suo ruolo all’interno di un gruppo di discorsi sociali,
alle ricadute della diffusione della comunicazione pubblicitaria sulla società
contemporanea e sulle sue rappresentazioni. Si tratta di tematiche che vengono
sviluppate dalla sociosemiotica, la metodologia che, attingendo a diversi filoni teorici,
come la semiotica generale e la sociologia della comunicazione, pone un’attenzione
particolare alle dinamiche collettive di comunicazione e significazione, considerando il
contesto come parte integrante del testo1. Nell’analisi del ruolo e delle caratteristiche
della comunicazione pubblicitaria sono in particolare due i nodi tematici affrontati dalla
sociosemiotica che, in questo lavoro, vengono presi in considerazione:
- l’interazione tra realtà sociale e discorsi che la raccontano: in quest’ottica, “la
pubblicità è un discorso sociale fra gli altri discorsi sociali, fa parte della realtà, agisce
1
Estesie di marca. Aspetti sensoriali e somatici della brand communication, Traini, Stefano,
http://www.ocula.it/files/traini06_[158,873Kb].pdf
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su di essa e la modifica: riproducendo specularmente modelli sociali e collettivi,
contribuisce a trasformarli2”
- il sistema dei discorsi sociali: come si impongono, quali funzioni hanno, come
acquistano legittimità.
Emerge, come già accennato, la nozione di discorso che, nell’ambito di alcuni studi di
sociosemiotica, va a sostituirsi a quella di testo: agli studi tematici lessicometrici che
prendono in considerazione vocaboli o frasi di cui sono costituiti i testi, si
accompagnano le nuove prospettive che analizzano i testi in quanto discorsi, immersi in
relazioni e strategie di potere, osservandone il funzionamento globale e l’efficacia
sociale (Landowski, [1989], 2003). L’introduzione del discorso (pubblicitario, in questo
caso) come oggetto di studio privilegia, rispetto all’analisi delle scelte lessicali e
linguistiche, l’osservazione della capacità del discorso di “agire e far agire modellando
e, più spesso, modificando le relazioni fra gli agenti che esso coinvolge a titolo di
interlocutori linguistici” (Landowski, [1989], 2003: 11); i discorsi non vengono più
classificati secondo un criterio semantico di contenuto, ma secondo criteri pragmatici, a
partire dal loro carattere di “atti sociali che trasformano i rapporti
intersoggettivi”(Landowski, [1989], 2003: 12), capaci di istituire doveri, aspettative,
creare fiducia.
Accanto alla prospettiva della sociosemiotica e degli studi sulle comunicazioni di massa
negli studi sul linguaggio pubblicitario vengono prese in considerazione altre due
dimensioni analitiche: le forme linguistico-espressive e le pratiche discorsive (Semprini,
1996). Tali dimensioni costituiscono diversi livelli di analisi, diversi modi di affrontare
lo studio del linguaggio pubblicitario considerandone vari aspetti, ricordando come esse
possano essere nettamente distinte solo a fini analitici.
1.4.1 Il livello linguistico-espressivo
La dimensione linguistico-espressiva è quella a cui tradizionalmente è stata rivolta la
maggiore attenzione, un privilegio dovuto soprattutto al suo carattere di evidenza
immediata nei testi esaminati. L’interesse si concentra sulla capacità della lingua
pubblicitaria di creare neologismi o nuove espressioni, sulla possibilità che all’interno
2
Ibidem.