ma aprendo un dialogo - possibilmente fecondo - con la filosofia, ed in
particolare con la filosofia contemporanea, nelle vesti della decostruzione
derridiana.
Il metodo che si intenderà qui seguire sarà un ripercorrimento delle opere
di René Girard, a partire dall’esordio avvenuto nel 1961 con Mensonge romantique
et verité romanesque
3
, fino alla raccolta di saggi pubblicata in Italia sotto il nome di
Il sacrificio
4
, nel 2004. Non si tratterà soltanto di “riassumere” le opere in
questione, ma di mostrarne i profondi cambiamenti, le intense modificazioni che
negli anni si sono succedute e le innovazioni che - all’interno dello stesso
impianto teorico e teoretico - l’autore ha introdotto nel cuore della sua stessa
teoria.
Nel ricostruire il pensiero girardiano si terrà pertanto conto di alcune
“fasi”. È importante fin da ora sottolineare come non si tratti mai di fasi a se
stanti, ma sempre di riflessioni che si contaminano vicendevolmente. Del resto,
non si tratta neppure semplicemente di fasi cronologiche al termine di una delle
quali si apra la successiva. Si tratta, piuttosto, di un pensiero complesso che ha
trovato la sua applicazione in tre (o, se si vuole, quattro) modalità differenti,
tutte facenti capo a dei comuni denominatori: il desiderio mimetico, il
meccanismo del capro espiatorio e il sacrificio.
Possiamo rintracciare nell’opera di René Girard delle “fasi” che ne segnano
il percorso. Almeno tre.
1 - Fase letteraria. In un primo momento, coincidente con la pubblicazione
di Menzogne romantique et veritè romanesque, (1961), Girard si dedica allo studio
delle grandi opere letterarie: da Cervantes a Dovtoeskij, a Shakespeare. Gran
parte della critica, ha recepito questo testo semplicemente come un’opera di
3
R. GIRARD, Mensonge romantique et vérité romanesque, Grasset, Parigi 1961; tr. it., Menzogna
romantica e verità romanzesca, Bompiani, Milano 1981.
4
R. GIRARD, Il sacrificio, Raffaello Cortina, Milano 2004.
5
critica letteraria, mentre ad una lettura più attenta si può trovare qui il testo che
apre la riflessione girardiana alla questione del mimetismo, che diverrà uno dei
nodi tematici della sua intera teoria. Ma ci arriveremo.
2 - Fase mitica/mitologica. Dopo una gestazione di ben undici anni, Girard
pubblica quello che è destinato ad essere riconosciuto dal pubblico come il suo
testo più importante: La Violence et le sacré
5
(1972). Qui, facendosi forte della
teoria mimetica elaborata in Menzogne romantique et veritè romanesque, Girard
passa a mostrare come il desiderio mimetico - che aveva precedentemente visto
agire nelle opere letterarie - sia all’opera anche nei miti.
3 - Fase biblica. È però nella terza fase che la teoria girardiana sembra porsi
davvero ad un punto di svolta. Dopo il ricorso ai testi letterari ed ai testi mitici,
in una serie di saggi scritti tra il 1973 ed il 1975, Girard passa ad applicare il suo
“paradigma” ai testi sacri; in Italia questi saggi sono stati raccolti da Alberto
Signorini e pubblicati sotto il titolo La pietra scartata
6
(1975). Per varie ragioni,
l’analisi girardiana dei testi sacri si è limitata alla Bibbia, ma ci sono buone
ragioni per credere che in un futuro molto prossimo, Girard possa approfondire
la sua analisi rispetto ai testi sacri di altre religioni, come lascia intuire il suo
ultimo testo, Il Sacrificio, dove mostra come gli stessi schemi persecutori
rintracciati nei Vangeli, siano all’opera nei Brahmana, i testi sacri dell’India
vedica.
A tale ricostruzione del pensiero e dell’opera girardiana, sarà dedicata la
prima parte di questo lavoro; ad essa farà poi seguito una seconda parte, dal
carattere più filosofico, in cui il pensiero girardiano verrà messo in connessione
5
R. GIRARD, La violence et le sacré, Grasset, Parigi 1972; tr. it. La violenza e il sacro, Adelphi,
Milano 1980.
6
R. GIRARD, La pietra scartata, (raccolta di saggi a cura di A. Signorini), Qiqajon, Magnano
2000.
6
con grandi autori, il cui pensiero sembra aver influenzato, talvolta più
esplicitamente, talvolta meno, la riflessione del nostro autore.
Nel far questo, però, un posto particolare sarà dedicato all’apertura, alla
critica e al confronto che Girard ha mantenuto sempre aperto con altre discipline
e altri autori; alcuni di questi parallelismi sono facilmente rintracciabili nella sua
produzione, mi riferisco in particolar modo a Totem e Tabù
7
di Freud e Tristes
Tropiques
8
di Claude Lèvi-Strauss; altri, invece, sono interlocutori meno evidenti,
meno citati, più sotterranei, ma proprio per questo - forse - più interessanti: il
caso più interessante è forse rintracciabile nel rapporto con Jacques Derrida.
Tra Girard e Derrida non c’è stato un dialogo esplicito, nonostante si
conoscessero: nell’ottobre del 1966, organizzando un simposio internazionale su
“The Languages of Criticism and the Science of Men” alla John Hopkins
Univerity, Girard invitò - tra gli altri - anche Jacques Derrida; inoltre, nel corso di
un seminario intitolato “Vengeange: a colloquium in literature, philosophy and
antropology”, svoltosi nel 1988 all’università di Stanford, Girard dedica un testo
a Derrida. Nelle sue opere maggiori, i riferimenti sono frequenti: si vedano ad
esempio Des choses cachées depuis la fondation du monde
9
e La Violence et le sacré.
Da parte sua, Derrida sembra aver citato soltanto una volta Girard nel
corso della sua produzione letteraria, in un seminario sulla pena di morte
10
.
Ma il dialogo è molto più proficuo di quanto a prima vista possa sembrare.
Tutta la produzione girardiana, infatti, sembra debitrice della teoria elaborata da
7
S. FREUD, in Gesammelte Werke, London-Frankfurt, 1912-1913 Totem e tabù, in Opere, Vol. VII,
Boringhieri, Torino 1985.
8
C. LÈVI-STRAUSS, Tristes tropiques, Plon, Paris 1955; tr. it. a cura di B. Garufi, Tristi Tropici, Il
Saggiatore, Milano 1960.
9
R. GIRARD, Des choses cachées depuis la fondation du monde, Grasset, Parigi 1978; tr. it. Delle cose
nascoste sin dalla fondazione del mondo, Adelphi, Milano 1983.
10
Il seminario, intitolato Tempo e pena di morte. Un seminario triestino, è stato organizzato da
Gianni Vattimo presso l’Università di Trieste dal 3 al 5 Novembre 200. Il testo, non ancora
pubblicato, è disponibile alla pagina internet:
http://www2.units.it/~etica/2001_1/derrida.html.
7
Derrida in Le farmacie de Platon
11
, quella che va sotto il nome di teoria del
pharmakos.
Altro autore con cui si proverà ad instaurare un dialogo, mostrandone le
profonde filiazioni, sarà Jacques Lacan. Del resto, la teoria mimetica girardiana
sembra trarre il suo nutrimento proprio dalla riflessione lacaniana.
Nella prima parte del testo, si procederà dunque ad un’analisi dei testi
girardiani, dai primi dedicati al desiderio mimetico, dove i referenti essenziali
erano i grandi romanzieri, da Stendhal a Dostoevskij, a Cervantes, a
Shakespeare, fino ai testi della maturità, dove referenti fondamentali divengono i
Vangeli, Freud e Lèvi-Strauss.
È proprio nella seconda parte del testo, che entrerà in scena Jacques
Derrida, ed è qui che potremmo aprire un dialogo tra questi due autori, dialogo
facilitato sia dalle varie citazioni che i due autori si sono vicendevolmente
scambiati, sia dalla traduzione del testo dedicato da Girard a Derrida, che sarà
tradotto e riportato in appendice.
È mio intento aprire una serie di domande sulla questione del sacrificio,
interrogativi che provengono dai miei studi su Girard, ma soprattutto su
Derrida.
La prima questione concerne il nesso sacrificio e economia: Proviamo ad
interrogarci su questa e, su questo nesso, su questa congiunzione. Cosa lega il
sacrificio e l’ economia, il sacrificio all’economia?
Seconda questione: e se questa e diventasse una è? Se aggiungessimo un
semplice accento, modificando il suono di questa vocale, quale risultato
potremmo ottenere? Sacrificio è oikonomia. Ma anche - ed ancora - oikonomia è
11
J. DERRIDA, Le farmacie de Platon, in Tel Quel 32, 33 (1968); tr. it. La farmacia di Platone, in La
Disseminazione, Jaca Book, Milano 1999.
8
sacrificio. Ogni sacrificio è economico, ma anche ogni oikonomia è economia
sacrificale?
Uno dei tentativi che si dovrebbe allora provare a compiere sarà quello di
decostruire il sacrificio, decostruendone la logica, la simbolica, la retorica,
l’economia e da qui il nesso che lega il sacrificio all’oikonomia, il sacrificio e
l’oikonomia.
Sarebbe quindi possibile dissociare la nozione di sacrificio da quella di
economia? È possibile - o quantomeno pensabile - un’economia che superi la
logica sacrificale?
Una questione immensa che ci impegnerà per una parte del testo sarà: chi è
colui che viene sacrificato? Chi si sacrifica? E chi sacrifica chi?
12
Entreremo così in uno degli ultimi testi delle produzione derridiana
L’animal que donc je suis
13
, che ci permetterà di vedere nell’animale l’eterno
sacrificato. Del resto, l’animale è molto spesso stato sostituito all’uomo nel dover
morire: è quel che accade al capro quando Dio, nel racconto biblico dedicato al
sacrificio di Isacco, ferma la mano di Abramo.
È vero che Teofrasto, ne La Pietà, parla di “un delirio dei sacrifici umani”
14
e Pausania riporta una notizia secondo la quale a Potnie, una piccola cittadina
presso Tebe, un tempo un ragazzo veniva sacrificato a Dioniso, ma è pur vero
che dopo questi due episodi, da Delfi sopraggiunse l’autorizzazione a sostituire,
nei sacrifici, l’uomo con una capra.
Ma l’animale viene sacrificato anche da altri punti di vista - e sarà
soprattutto in questo senso che incroceremo la riflessione derridiana. Ne
12
Una splendida analisi di questioni affini a queste è stata trattata in E. FERRARIO, Abramo e la
filosofia, in Il sacrificio, a c. di R. AGO, Biblink editori, Roma 2004, pp. 199-251.
13
J. DERRIDA, L’animal que donc je suis, Galilée, Paris 2006 ; tr. it. a cura di G. Dalmasso,
L’animale che dunque sono, Jaka Book, Milano 2006.
14
TEOFRASTO, Della pietà, Isonomia, Este (PD) 2005.
9
L’animal que donc je suis, Derrida riflette sulla questione dei confini e si chiede
se sia possibile tracciare una rigida linea di demarcazione tra l’uomo e ciò che
definiamo l’animale. Il gesto derridiano, da alcuni frainteso, non mira
semplicemente a restituire all’animale ciò che duemila anni di filosofia gli
hanno tolto, ma piuttosto vuole mettere in questione l’atto con cui una certa
tradizione filosofica ha tracciato il confine interno tra l’uomo e l’animale -
confine che, del resto, è l’uomo stesso ad aver posto.
L’animale appare quindi, in questi termini, come il grande sacrificato. Del
resto, nel momento stesso in cui è l’uomo a dare il nome all’animale, è l’uomo a
detenere il logos (inteso tanto come discorso/linguaggio, tanto come ragione),
l’uomo sembra detenere un primato sull’animale, e nota Derrida nota come:
“Quest’ultima superiorità, superiorità infinita e per antonomasia, ha
come propria caratteristica quella di essere allo stesso tempo
incondizionata e sacrificale”
15
.
15
J. DERRIDA, L’animale…, op. cit., p. 58.
10
PARTE PRIMA
RENÉ GIRARD.
RICOSTRUIRE UN PENSIERO
11
L’uomo si differenzia dagli altri animali in quanto
è il più adatto all’imitazione.
ARISTOTELE, Poetica, 1448b
1. La fase letteraria
L’assunto cruciale da cui muovere è che “la natura umana è - per sua stessa
costituzione - mimetica”. Questa tesi risale già al 1961, con Mensonge romantique
et verité romanesque, dove Girard definisce la natura umana come mimetica
poiché gli uomini intraprendono una determinata azione soltanto in quanto
hanno visto precedentemente farla da un modello. L’uomo è l’individuo
desiderante per eccellenza, ogni suo movimento si basa sull’omologarsi ai
costumi, alle mode, ai pensieri e alle azioni di chi gli sta accanto.
In questo testo, la questione prende corpo partendo da opere letterarie, in
particolare in Stendhal, Cervantes e Flaubert, perché “soltanto i romanzieri
denunciano la natura imitativa del desiderio”
16
.
Qui, per la prima volta, compare la nozione di “desiderio triangolare”: il
desiderio è un triangolo, ogni linea retta che congiunge l’uomo ai propri oggetti
è una menzogna che occulta la presenza del mediatore che dà significato e valore
a ciò verso cui gli uomini si rivolgono per desiderare. Il desiderio è sempre un
desiderio secondo l’altro, perché il soggetto, muovendosi verso l’oggetto é
guidato da un mediatore.
Il concetto di desiderio è però profondamente diverso da quello di appetito:
si vuole qualcosa perché la vuole anche l’altro, è il principio mimetico che
muove l’individuo nella sua socialità. L’animale agisce secondo appetiti dettati
16
R. GIRARD, Menzogna romantica…, op. cit., p. 17.
12
dall’istinto, l’uomo invece osserva e successivamente imita. Tutti i
comportamenti, quelli individuali, quelli sociali e quelli dell’intera cultura
umana, possono essere ricondotti al triangolo del desiderio. Il rapporto tra
soggetto e oggetto non è quindi un rapporto diretto e lineare, ma è sempre
triangolare: soggetto, modello, oggetto desiderato. In base alla distanza tra il
soggetto e il modello, possiamo raggruppare i testi letterari in due grandi
gruppi: quelli basati sulla mediazione esterna e quelli basati sulla mediazione
interna. Nel primo caso, la distanza è grande a tal punto da apparire incolmabile,
mentre nel secondo, tra le due sfere si può pensare una compenetrazione.
Tale distanza, però, non concerne uno spazio fisico - il luogo occupato dal
soggetto e dal modello - quanto piuttosto uno spazio che possiamo definire
“spirituale”.
Le grandi testimonianze «romanzesche», da Cervantes a Dostoevskij -
sottolinea Girard - mettono in luce l’unità profonda intorno ad un fulcro
comune: la rivelazione del carattere mimetico del desiderio, della presenza
sistematica di un mediatore attraverso cui ci è possibile accedere all’oggetto.
L’oggetto, infatti, non è altro che il mezzo per raggiungere il mediatore: è
all’essere del mediatore - o meglio all’essere come il mediatore - che il soggetto
desiderante aspira. Il desiderio secondo l’altro è sempre un desiderio di essere
come l’altro, di essere un altro.
Ma questo essere come non potrà che rivelarsi fallimentare, perché anche il
mediatore è, dal canto suo, un soggetto desiderante ed in quanto tale avrà a sua
volta un mediatore verso cui tende: con la teoria girardiana del desiderio
mimetico o triangolare, viene meno la certezza dell’autonomia del soggetto.
Dopo la nietzchiana morte di Dio, l’uomo smette di imitare l’esempio di
Gesù Cristo ed inizia ad imitare il suo simile: l’uomo prende il posto di Dio - e
questo spiega il titolo del secondo capitolo di Menzogne romantique et veritè
13
romanesque, intitolato Gli uomini saranno dèi gli uni per gli altri. Se l’invito dei
Vangeli era quello di seguire l’esempio di Gesù, quello delle dottrine metafisiche
è imitare l’altro: negando Dio, non si è negata la trascendenza, ma la si è
semplicemente spostata dall’aldilà all’aldiquà e quindi l’odio che domina il
nostro mondo è l’immagine capovolta dell’amore divino.
Attraverso il desiderio Girard evidenzia un principio di critica letteraria
che consente di delineare una storia della letteratura, leggendo le grandi tappe
della letteratura moderna e della metafisica che vi sta dietro e rivela che le
assolutizzazioni dei desideri degli uomini sono diventate dèi.
Il desiderio è quindi, sempre, desiderio mimetico. Un esempio bellissimo
del desiderio come mimesis è rintracciato da Girard nel Canto V dell’Inferno
17
dantesco, nell’episodio di Paolo e Francesca. Francesca è la sposa del fratello di
Paolo; i due cognati, inizialmente, non sembrano amarsi, e passano il loro tempo
a leggere il romanzo cavalleresco Lancillotto del Lago.
Quando la regina Ginevra e il cavaliere Lancillotto - protagonisti del
romanzo - si baciano, anche Paolo e Francesca si baciano. Il loro amore è - come
dire - copiato, mimetico. Paolo e Francesca, per essere spontanei, necessitavano
di un modello: nel massimo della non - spontaneità (la copia di un modello)
nasceva la loro spontaneità.
È nella prima fase - quella letteraria - che fa la sua comparsa anche
Shakespeare: les feux de l’envie
18
, del 1990. Qui, Girard riprende la questione del
desiderio triangolare, applicandola ai testi shakespeariani, dai più noti ai meno
conosciuti. Il desiderio mimetico compare già in Due gentiluomini di Verona, che
narra la storia di Valentino e Proteo, due amici di vecchia data. Volendo
proseguire gli studi, Valentino partì per Milano, mentre Proteo rimase a Verona
17
Inferno, in DANTE, Divina Commedia, qualsiasi edizione.
18
R. GIRARD, Shakespeare: les feux de l’envie, Grasset, Parigi 1990; tr. it. Shakespeare. Il teatro
dell’invidia, Adelphi, Milano 1998.
14
dato che lì viveva la donna che egli amava: Giulia. Sentendo la mancanza del suo
amico, Proteo decise ben presto di raggiungerlo a Milano, dove Valentino gli fa
una confessione: si è innamorato di una giovane del paese: Silvia.
Subito dopo la serata, però anche Proteo ebbe un segreto da rivelare a
Valentino: anche lui si era innamorato di Silvia. Eppure Silvia non era né più
bella, né più desiderabile della bella Giulia. Allora, cosa ha provocato questo
amore a prima vista?
La risposta di Girard non può che vertere sul desiderio mimetico: Proteo si
è innamorato di Silvia perché anche il suo amico lo era.
Il desiderio triangolare si mostra qui in tutta la sua evidenza: come
accadeva già in Menzogne romantique et veritè romanesque, anche qui troviamo due
soggetti che concorrono tra loro, due rivali che gareggiano per uno stesso
oggetto: Valentino è il modello o mediatore, Proteo è il soggetto mediato - il cui
desiderio è quindi mimetico o mediato - e Silvia è il loro oggetto in comune.
Del resto, nota Girard, la loro imitazione reciproca era talmente intensa già
nel periodo della loro frequentazione veronese, da risultare inconscia
19
: nel corso
della loro vita, i due giovani si sono sempre imitati vicendevolmente,
scambiandosi e condividendo ogni cosa, ma ora la condivisione è impossibile:
come si può condividere la stessa donna?
Da parte sua, Valentino sembra immune dal/al desiderio mimetico, ma
Girard mostra come così non sia: il fatto che tramite la sua adulazione, Valentino
riesce a convincere Proteo della bellezza di Silvia, indica il fatto che anche
Valentino ha bisogno di vedere la donna che ama adulata da altri, per poterla a
suo modo amare. La forza di persuasività di Valentino su Proteo è talmente forte
che Proteo tenta di stuprare Silvia per farla sua. Finalmente interviene Valentino:
infatti, nel momento stesso in cui Proteo si innamora di Silvia, Valentino diventa
19
Idem, p. 26.
15
geloso e vorrebbe la sua donna tutta per sé. Si innesca così quello che Girard
definisce un double bind
20
. È come se Valentino chiedesse a Proteo “Imitami” e
subito dopo gli imponesse di non imitarlo. Si entra così in una specie di doppio
vincolo, un double bind per l’appunto, da cui diventa impossibile uscire.
L’aporia è insolubile.
Mano a mano che la produzione letteraria di Shakespeare si intensifica, il
suo ricorso al desiderio mimetico si fa sentire sempre con maggiore forza. Lo
dimostra bene anche Lo stupro di Lucrezia cui poco fa facevamo riferimento. Qui,
infatti, l’autore pur prendendo spunto dall’originale di Tito Livio, ne modifica
l’ordine cronologico: infatti, mentre Tito Livio riporta lo stupro di Tarquinio su
Lucrezia dopo il loro incontro, Shakespeare lo inserisce nel momento che
precede il loro primo incontro. Questo sfasamento non fa che sottolineare che ciò
che conta non è la realtà, ma il desiderio mimetico. Girard lo dice molto
chiaramente: “Qui, ancora una volta, Shakespeare vuole dirci che il desiderio
mimetico è indifferente alla realtà”
21
Quel che conta, alla fine ei conti, non è
l’oggetto: è il mediatore.
L’oggetto null’altro è se non il mezzo per raggiungere il mediatore, perché
il desiderio non mira effettivamente all’oggetto, ma all’essere del mediatore. È
questa una tesi al contempo acuta e molto discussa tra i critici di Girard. In Des
choses cachées depuis la fondation du monde, Girard sottolinea come il desiderio non
abbia un oggetto
22
: il mimetismo, non sarebbe nient’altro se non il contagio nei
rapporti umani interpersonali e tale contagio non risparmierebbe nessuno.
20
Va notato che il double bind é un concetto chiave della filosofia derridiana; come noto, questo
concetto fu introdotto da Gregory Bateson, in relazione alla psicosi ed ai suoi studi sulla
schizofrenia. È proprio da questo autore che sia Girard, sia Derrida mutuano questo concetto.
Per uno studio approfondito sull’argomento mi permetto di rinviare a G. BATESON, Steps to an
Ecology of Mind, Paladin Books, London 1980; tr. it. a cura di P. Tamburini, Verso un’ecologia
della mente, Adelphi, Milano 1997.
21
R. GIRARD, Shakespeare…, op. cit., p. 79.
22
Da qui il titolo del secondo capitolo: Il desiderio senza oggetto.
16