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Questo “trend” comportamentale si è tradotto in
- una tendenza alla autolimitazione e contrazione spontanea dei
consumi alimentari
- una diminuzione nella spesa della famiglia italiana per
l’alimentazione rispetto alla spesa totale dedicata ai consumi (quelli extra
domestici sembrano peraltro rivelarsi un business di successo)
- un aumento dei pasti fuori casa consumati presso self service,
mense, locali della ristorazione classica e veloce
- una diffusione di snack sia mattutini che pomeridiani che
diventano parte rilevante dei consumi alimentari.
Riassumendo, l’evoluzione degli stili di vita ha indotto la popolazione
italiana ad alleggerire spontaneamente i consumi e a cercare di riequilibrare i
modi e i criteri di alimentarsi, generando il diffondersi di una attenzione e una
sensibilità nutrizionale di massa che promuove, non senza abbagli ed errori, il
consumo di cibi culturalmente legittimati e deprime quelli sospetti pur non
disponendo di indirizzi precisi, sicuri e consolidati. E’ noto a tutti come, specie
per le giovani generazioni, sia attivo e determinante lo scambio sociale e di
gruppo e come, per altre fasce di età, sia frequente il fruire di diete delle più
svariate provenienze (l’erborista, la televisione, l’amico), o come spesso
vengano presentate alla pubblica attenzione raccomandazioni di un qualche
particolare cibo o regime alimentare, e come queste vengano poi altrettanto
rapidamente smentite o dimenticate.
Nell’ambito di una tale situazione di vaghezza che favorisce la
discrezionalità delle scelte, la frammentazione degli stili alimentari, l’aleatorietà
dei gusti individuali e il carattere erroneo dei regimi dietetici seguiti da gran
parte della popolazione, si sono prodotti e differenziati stili alimentari
fortemente articolati e diversificati.
Un ‘indagine DEMOSCOPEA del 1996 individuava tre tendenze in via di
rafforzamento:
- verso un’alimentazione semplificata, con pasti più piccoli ma più
numerosi, piatti meno elaborati, facente maggiore ricorso a prodotti
pronti o semipronti.
- Verso un tipo di alimentazione più sana, naturale e leggera, con
una preferenza rivolta a quei prodotti anche industriali a basso
contenuto di zuccheri e grassi
- Una tendenza ad una alimentazione multistile, variegata e
disordinata che alterna comportamenti diversi nel corso dell’anno, della
settimana o della stessa giornata. Questa pratica alimentare, sebbene
piuttosto diffusa sarebbe al tempo stesso giudicata potenzialmente
pericolosa e lontana dalle corrette regole nutrizionali.
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A fronte di tali articolazioni e diversificazioni di stili e comportamenti
alimentari è però innegabile che, negli ultimi anni, stia crescendo una
attenzione sempre più scrupolosa in tema di alimentazione, e che il
consumatore stia sviluppando la tendenza a rapportarsi con il cibo con un
atteggiamento, per così dire, “più colto”.
Si delinea quindi la figura di un consumatore più attento
all’alimentazione, che manifesta il culto della naturalità dei cibi, riscopre il
valore della tradizionalità e della tipicità, e che, quindi chiede di essere più
informato sui temi della nutrizione, della sicurezza e
dell’ integrità degli alimenti e sui prodotti da scegliere ed utilizzare.
Si comprende come l’ informazione e l’educazione alimentare
costituiscano una necessità per il consumatore, rappresentando il
fondamentale strumento strategico preventivo per favorire negli individui e nei
gruppi, l’autonomia e la capacità di autotutelarsi dai rischi derivanti
dall’ambiente di vita e dagli stessi comportamenti individuali, nonché, in
particolare, di acquisire consapevolezza e capacità di nutrirsi correttamente.
Questo desiderio di chiarezza appare nel contesto attuale maggiormente
acuito dal fatto che la trasmissione e l’apprendimento delle nozioni relative
all’alimentazione si attuano attraverso le più diversificate forme di
informazione e più svariati influenzatori, coinvolgendo istituzioni, servizi
sanitari, associazioni e sistema dei media, in modo frammentario ,disomogeneo
e purtoppo molto spesso incoerente.
Non si può inoltre negare che in questo campo la frammentazione del
sapere medico, a cui si è innegabilmente giunti in questi anni, si traduce in una
delega da parte del personale sanitario in generale ai consigli di esperti( per la
nutrizione ai dietologi e nutrizionisti, per la sicurezza ai veterinari e agli
igienisti): da ciò deriva che qualsiasi altra fonte destinata a produrre un
messaggio che tiene conto dei bisogni globali del cittadino ( la rubrica di un
settimanale o un programma televisivo) può diventare per molti la preferita, la
più credibile e sicura, mentre per le fasce di popolazione più scolarizzate
socialmente integrate la fonte del sapere è spesso l’associazione ambientalista,
naturalistica vegetariana o il centro di medicina alternativa.
Questo tipo di problema può indubbiamente trovare soluzione nella
ricerca di una massima semplificazione possibile dei messaggi di educazione
alimentare, nel creare un coinvolgimento di tutti gli operatori sanitari e non,
come emittenti di informazioni di prevenzione volti a fornire indicazioni di
base nei confronti del bisogno informativo in tutti i contesti ove questo venga
formulato, e infine nello sviluppo di politiche capaci di sostenere scelte
economiche e di marketing tali da favorire corretti comportamenti alimentari.
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Purtroppo sempre più frequentemente i giornali riportano articoli dai
titoli inquietanti come:
“ LE ALLERGIE FANNO SEMPRE PIU’ VITTIME”,
“CASI RADDOPPIATI IN 20 ANNI: OGGI NE SOFFRE UN GIOVANE SU
QUATTRO”,
”I NUOVI PERICOLI: KIWI E SEMI DI SESAMO.REAZIONI LETALI NEL 2%
DEI CASI” Essi riguardano reazioni avverse agli alimenti che evocano una
sorta di fenomeno incombente e catastrofico. Questo inadeguato tentativo di
approcciarsi all’argomento, sebbene nel giusto intento di sensibilizzare la
popolazione, unito a una mancanza di adeguata informazione in materia non fa
altro che generare un diffuso, eccessivo ed incoerente allarmismo fuori luogo.
E ancora:
“LE POSSIBILI CAUSE: PREDISPOSIZIONE GENETICA, INFLUENZA
AMBIENTALE, STILE DI VITA?”,
”FUTURO PERICOLO PROVENIENTE DAL FRONTE OGM”,
“INTOLLERANZA ALLE UOVA COME PREMESSA DI UNA FUTURA
ALLERGIA AGLI ACARI”
Semplici congetture o notizie suffragate da evidenze scientifiche?
Spesso si tratta solo di preoccupazioni esagerate da tutta una serie di
informazioni che confondono il lettore; d’ altronde sarebbe altrettanto errato
minimizzare e sottovalutare tale fenomeno.
A mio giudizio, il modo più efficace per approcciarsi ad una problematica
così complessa sta nel mantenere un equilibrato grado di criticità e nell’
affrontarla in modo “scientificamente corretto”.
Un’ informazione capace di orientare la domanda e la scelta consapevole
nei cittadini deve essere perseguita mediante un processo di costruzione di
opinioni basato su evidenze scientifiche, nella consapevolezza che le
conoscenze, la cultura, gli atteggiamenti, ma anche l ‘organizzazione sanitaria
sono determinanti nel condizionare le scelte riguardanti l’alimentazione, la
richiesta e l’accesso ai servizi sanitari e perciò, il benessere psico -fisico della
popolazione.
A questo proposito mi propongo di illustrare in modo semplice e chiaro,
quale modesto contributo alle suddette problematiche, un argomento attuale
fortemente dibattuto relativo alle intolleranze alimentari con l’ intento di
fornirne un quadro dettagliato e affidabile.
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2. REAZIONI AVVERSE AL CIBO
Con questo tema ci si addentra in una delle aree della medicina ritenuta
da sempre tra le più controverse.
In generale una reazione patogena coinvolge sempre l’attivazione da parte
di un agente scatenante di mediatori dell’ ospite o di sistemi biologici
amplificatori; è proprio l’ azione di queste cellule attivate, e/o di fattori non
cellulari che portano ad una funzione alterata o infiammazione.
Se l’antigene, rappresentato da un alimento o da un costituente di esso
interagisce specificamente con anticorpi o linfociti genera un meccanismo
scatenante (triggering) di tipo “immune” le cui reazioni sintomatologiche
risultano essere relativamente immediate e facilmente riconoscibili.
Tuttavia sarebbe ingenuo e riduttivo pensare che tutte le reazioni
immunitarie ad alimenti causino dei sintomi percettibili; basti pensare che la
maggior parte dei nostri organi e tessuti è incapace di manifestare sintomi di un
malessere o una disfunzione: la pareti dei vasi sanguigni, il tessuto cerebrale,
epatico e renale sono altrettanti esempi di tessuti che non dolgono e non
manifestano prontamente le disfunzioni evidenti.
Insulti immuni cronici possono dunque persistere quotidianamente senza
dare alcun sintomo da allergia alimentare riconoscibile. In questo tipo di
reazioni “occulte” l’agente scatenante attiva direttamente dei mediatori
attraverso una reazione chimica seguendo una via “non immunologica” in
grado di produrre sintomi vaghi, cronici in cui è molto più difficile provare con
certezza la correlazione tra assunzione di un alimento e malattie croniche, come
possono essere l’asma, l’eczema o le sindromi psichiatriche.
La diagnosi di queste reazioni cosiddette “ritardate “in passato era ancora
più difficoltosa rispetto ad ora poiché esse comparivano così tanto tempo dopo
l’ingestione dell’alimento responsabile che né il paziente, né tantomeno il
medico potevano riconoscervi una relazione di causa-effetto.
Diversamente dalle reazioni immediate (successivamente scoperte essere
IgE mediate) agli alimenti che mostravano una associazione causa-effetto molto
chiara e disponevano di test diagnostici soddisfacenti , il tipo ritardato
presentava una cronistoria ingestione-sintomo molto vaga, nessun test
diagnostico soddisfacente ed una sovrabbondanza di sostenitori pronti a trarre
vantaggi personali dall’ignoranza relativa sulla questione.
Da allora fortunatamente l’allergologia ha fatto molti progressi nel campo
alimentare, ma tuttavia alcuni aspetti della disciplina rimangono ancora incerti
fornendo tutt’oggi l’opportunità a medici e promotori vari privi di scrupoli di
approfittarsi della salute dei pazienti.
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Tenuto conto della difficoltà di inquadramento delle reazioni avverse al
cibo per evitare equivoci nella terminologia mi riferirò al glossario proposto
negli USA dall’ American academy of allergy and immunology ed il national
istitute of allergy and infectious diseases.
Una REAZIONE AVVERSA indica una qualsiasi risposta clinicamente
anormale attribuibile all’esposizione o all’ingestione di un alimento.
Questo termine generale va adottato solo previa dimostrazione controllata
(mediante test di scatenamento con cecità del paziente) della reale dipendenza
dall’assunzione di un determinato cibo.
Questa condizione è considerata ormai imperativa poiché mette al riparo
dalla possibilità di attribuire falsamente ad un alimento reazioni psicologiche o
coincidentali.
Reazione contrarie possono venire convenientemente suddivise in due
gruppi sulla base dei meccanismi che le scatenano:
Da un lato l’ALLERGIA ALIMENTARE propriamente detta (food allergy)
nella quale si ha un coinvolgimento di tutti i meccanismi patogenetici
immunologici conosciuti verso proteine alimentari (classiche risposte IgE
mediate ed altre risposte immunitarie umorali e cellulari) e generalmente dose-
indipendente.
Nell’ambito di questo gruppo un’ ulteriore suddivisione può essere fatta
distinguendo appunto reazioni IgE mediate (tipo I) da quelle con meccanismo
di reazione diverso (tipo II, III, IV)
La seconda categoria principale è quella delle reazioni “NON
ALLERGICHE” dette anche pseudo-allergiche o da intolleranza in quanto
presentano strette analogie con la sintomatologia di altre sindromi a dimostrata
eziopatogenesi allergica, ma che se ne differenziano per il diverso meccanismo
patogenetico, sempre extra-immunologico.
Le reazioni da intolleranza comprendono a loro volta reazioni con diverse
caratteristiche:
tossiche, idiosincratiche, anafilattoidi, farmacologiche e metaboliche.
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2.1 Allergia alimentare
Nel suo significato originario, proposto da Von Pirquet agli inizi del
secolo, l’allergia andava intesa nel senso letterale di “reazione anomala” dell’
organismo nei confronti di un determinato stimolo, in qualunque modo essa si
estrinsecasse, nel senso dell’ipersensibilità ovvero dell’ iposensibilità, dell’
iperrecettività ovvero dell’ immunità.
Sotto l’ unico termine di allergia venivano così riunite da un lato le
condizioni di raggiunta immunità verso le malattie infettive e dall’ altro, alcune
reazioni di ipersensibilità, come le reazioni da siero. Attualmente il termine di
allergia deve essere inteso esclusivamente nel senso di abnorme iperreattività
immunitaria specifica verso sostanze eterologhe , innocue per i soggetti
normali, che si manifesta con una serie di eventi mediati da meccanismi
immunologici.
2.1.1 Meccanismi patogenetici
Secondo la classificazione di Gell e Coombs i meccanismi delle reazioni
immuno allergiche possono essere schematizzati in quattro tipologie
fondamentali:
Reazioni IgE-mediate (di tipo 1), dovute ad anticorpi IgE, che si fissano ai
recettori specifici di vari elementi cellulari, soprattutto dei mastociti e dei
basofili. L’ incontro tra le IgE specifiche ed il relativo allergene provoca
attivazione mastocitaria, degranulazione e liberazione di mediatori chimici, cioè
di sostanze attive responsabili delle varie modificazioni fisiopatologiche come
vasodilatazione, aumento della permeabilità capillare, contrazione della
muscolatura liscia, tutte reazioni di tipo anafilattico sistemico caratteristiche
delle sindromi allergiche.
L’esame gastroscopico di pazienti con allergia alimentare dopo ingestione
di antigene nocivo ha dimostrato la presenza di iperemia, edema ed
ispessimento delle pieghe con diminuzione della peristalsi. Nel siero mediante
ELISA si possono spesso trovare le IgE specifiche per l’ alimento.
Reazioni non IgE mediate, che possono essere:
a) Reazioni di tipo simil-reaginico, soprattutto da anticorpi IgG-STS (short-
term sensitizing), con meccanismo analogo a quello delle reazioni IgE-mediate.