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Capitolo 1 – Brand e origine
1. Lo scenario economico e la glocalizzazione
Il villaggio globale, preconizzato negli anni ’60 da Marshall McLuhan, è ormai una
realtà consolidata in un mondo in cui i mezzi di comunicazione – Internet in primis –
contraggono drasticamente le distanze e le diversità culturali. I processi di globalizzazione
dell’economia generano una circolazione sempre più intensa di beni e servizi, modificando
sempre più in profondità atteggiamenti e modelli di consumo. Tale fenomeno può essere
per il brand, da un lato, un’opportunità per esplorare nuovi mercati, dall’altro, una
minaccia alla sua stessa esistenza. Per contrastare la forte spinta all’omogeneizzazione
della tendenza globalizzante, il brand spinge sempre più nella direzione della
differenziazione. Nel mio lavoro di tesi cercherò di esplorare le variabili e le direzioni
intraprese da alcuni brand allo scopo di sopravvivere alla competizione globale. Inizierò la
mia analisi da una panoramica generale dello scenario economico e del nuovo
consumatore; dopodiché, tratterò le nicchie specialistiche, in quanto risultato della
combinazione tra la globalizzazione ed i nuovi bisogni del consumatore post-moderno,
quali autenticità e legame originario. Nell’ambito delle nicchie, dedicherò particolare
attenzione ai prodotti tipici, i quali hanno subito un processo di rivalutazione e di
“svecchiamento” negli ultimi anni, elevati a simbolo di qualità, genuinità, raffinatezza e
cultura nell’arte culinaria. In questo senso, i prodotti tipici rientrano di diritto nel Fine
Food & Beverage, che racchiude tutti i prodotti ricercati, pregiati, polisensuali, che è
possibile considerare di lusso, in quanto non necessari ed indispensabili, ma simbolo di
desiderio voluttuario. È una categoria molto ampia, che va da prodotti accessibili, anche se
con un costo sempre superiore a quello di prodotti simili, come ad esempio i pistacchi di
Bronte, il culatello di Zibello, ad altri considerati decisamente per pochi privilegiati, come
il tartufo d’Alba. Centrale nel mio lavoro è il concetto di origine, quale legame naturale ed
autentico di un prodotto e/o brand al territorio. Prendendo spunto dalle teorie del marketing
mediterraneo, che trovano espressione nelle opere di Bernard Cova, e dal lavoro di Sandra
Camus, cercherò di dimostrare che il legame con l’origine territoriale, rigorosamente
autentico e non costruito artificiosamente, può dimostrarsi una strategia vincente per
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sopravvivere all’iper-competizione globale e creare una nicchia fedele da rendere partecipe
nella costruzione dell’identità di marca.
È possibile individuare due fasi della globalizzazione: una prima fase, iniziata negli
anni Ottanta, di carattere più economico, riguardante principalmente l’intensificazione e
l’internazionalizzazione delle attività di produzione e degli scambi economici; una seconda
fase che, grazie all’avvento di Internet, ha avuto un impatto maggiore anche dal punto di
vista politico, sociale e culturale. Ed è proprio in questa seconda fase che nascono anche i
primi movimenti no-global, che rivolgono le loro critiche principali alle multinazionali,
accusate di avere un potere così forte da poter condizionare le scelte dei singoli governi
verso politiche non sostenibili dal punto di vista ambientale ed energetico, imperialiste,
non rispettose delle peculiarità locali e dannose per le condizioni dei lavoratori.
La globalizzazione, quindi, si presenta come un insieme di fenomeni su scala
mondiale operante a livello economico, sociale, ideologico e culturale che mira al
superamento delle barriere geografiche per persone, merci ed informazioni.
Secondo Gardner
1
, i quattro trend della globalizzazione attuale sono:
1. il movimento del capitale ed altri strumenti di mercato, con ingenti
quantitativi di denaro che circolano virtualmente in ogni momento ogni giorno;
2. il movimento di persone attraverso i confini, con milioni di
immigrati sparsi nel mondo;
3. il movimento di ogni genere di informazione attraverso il
cyberspazio che diventa disponibile in qualsiasi momento a chiunque possieda un
accesso ad Internet; ed è proprio grazie alla diffusione rapida di informazioni che
sono sempre più frequenti organizzazioni e manifestazioni di massa a livello
globale;
4. il movimento della cultura popolare, soprattutto nella moda, nella
musica e nell’alimentare, che colpisce principalmente i teenager, ma che si sta
pian piano allargando agli adulti.
Pertanto, la globalizzazione è ormai un dato di fatto, è impensabile un ritorno al
passato, così come auspicato da alcuni movimenti; è possibile, invece, un uso più
intelligente ed etico degli strumenti e delle opportunità che offre, sia da parte delle imprese
1
Gardner H., Five Minds for the Future, Harvard Business School Press, Boston, 2006
5
globali produttrici di prodotti globali, sia da parte delle imprese locali che con essa devono
saper convivere. La globalizzazione rappresenta una sfida per le aziende: esse devono far
fronte alla generalizzazione, all’appiattimento ed alla deterritorializzazione messe in atto
dal movimento globale di merci, persone e informazioni. La via offerta è la possibilità di
trovare degli spazi appropriati, delle nicchie specialistiche per i propri prodotti, senza
dover ridurre od annullare la loro identità culturale. Per rendere possibile ciò, la
globalizzazione si fonde con il localismo, inteso come territorialità, tipicità e tradizione.
Centrale nel localismo è, dunque, il territorio quale spazio geografico ben definito con
caratterizzazioni locali, sociali, culturali, economico-produttive in grado di offrire prodotti
e servizi con caratteristiche uniche ed inimitabili. Per molto tempo il localismo è stato visto
con diffidenza, quale sinonimo di arretratezza ed ignoranza; ma, soprattutto negli ultimi
anni, con la crisi del sistema globale, è stato rivalutato, riscoprendo in esso una grande
ricchezza economica e culturale. Ogni territorio, infatti, può rappresentare un ricco
patrimonio di prodotti, cultura, tradizioni e storia, che l’aumentata sensibilità del
consumatore post-moderno sa apprezzare.
Dall’unione delle due tendenze, globalizzazione e localizzazione, è nato il concetto
di glocalizzazione
2
, che indirizza i prodotti locali verso le nicchie del mercato globale ed i
prodotti globali verso aree di mercato locali con opportuni adattamenti secondo i casi
specifici.
Le parole chiave della moderna globalizzazione, nell’ottica della fusione con il
localismo, proposte da Dussart
3
, sono: adattamento alle diversità dei mercati stranieri,
accettazione delle differenze culturali e azione, nel senso di andare avanti, non fermarsi e
aprirsi al mondo, nell’ottica del superamento delle barriere culturali e sociali.
La glocalizzazione o glocalismo è un termine introdotto dal sociologo Zygmunt
Bauman
4
per adeguare il panorama della globalizzazione alle realtà locali, così da
studiarne meglio le loro relazioni con gli ambienti internazionali. La glocalizzazione ritiene
che il fondamento della società in ogni epoca è ed è stata la comunità locale, intesa come
l’interazione degli individui, organizzati in gruppi sempre più allargati, presenti su un
territorio. L’organizzazione di questi gruppi costituisce un insieme di sistemi che diventano
dei sottosistemi se relazionati ad organizzazioni più complesse. La glocalizzazione inizia la
propria analisi dai sistemi semplici per poi arrivare a quelli complessi; all’opposto, la
2
Foglio A., Il glocal marketing, Franco Angeli, Milano, 2004
3
Dussart C., Les troi “A” de la globalisation, Décisions Marketing N° 43-44 Juillet-Décembre 2006, pag.
221
4
Bauman Z., Globalizzazione e glocalizzazione, Armando editore, 2005
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globalizzazione privilegia i sistemi complessi non tenendo conto, molto spesso, delle
implicazioni dei sottosistemi.
Al centro della concezione della glocalizzazione è posto l’individuo, la persona, il
patrimonio materiale ed immateriale individuale e collettivo che reca naturalmente con sé.
Molto importante è anche la comunicazione tra gli individui ed i gruppi, soprattutto
nell’era attuale, in cui le nuove tecnologie permettono una rapidità delle informazioni tale
da favorire un’accelerazione dei processi di trasformazione sociale e culturale.
Frequentemente si crede che la glocalizzazione pone l’accento soprattutto sul locale
e la globalizzazione sul globale; ciò non è esatto, in quanto la glocalizzazione, pur
concentrando la sua analisi sul microgruppo, è cosciente che esso cresce, si sviluppa,
interagisce con altri gruppi sempre più complessi, fino ad arrivare alle complesse realtà
globali odierne.
Da un punto di vista più strettamente economico, la glocalizzazione riesce a dare
voce e spazio nel mercato internazionale a prodotti locali e ad aziende piccole e medie che
altrimenti sarebbero tagliate fuori. Essa deve essere in grado di bilanciare il globale con il
locale, integrando strategicamente le due dimensioni. La glocalizzazione, quindi, sottolinea
l’interazione che ci deve essere tra fattori internazionali, globali e quelli nazionali,
regionali e locali; in questo modo, riesce a raggiungere tante nicchie del mercato globale e
tanti mercati locali che in caso contrario non avrebbero potuto essere raggiungibili.
La glocalizzazione è possibile su vari livelli
5
:
• livello etnico: ci sono persone che, grazie ai loro spostamenti,
conoscono ed apprezzano i localismi, ad esempio prodotti tipici e tradizioni;
• livello comunicativo: grazie ai media, soprattutto Internet, i
localismi ed i globalismi vengono conosciuti e richiesti;
• livello finanziario: i flussi finanziari locali e globali generano
transazioni finanziarie nelle borse e nei mercati finanziari;
• livello culturale: le culture locali e globali si integrano
sempre di più, dando spazio ai localismi nell’era della globalizzazione;
• livello commerciale: prodotti ed imprese locali e globali si
integrano strategicamente con globalizzazione e localizzazione;
• livello tecnologico: integrazione delle tecnologie.
5
Foglio A., op.cit., Franco Angeli, 2004
7
Numerosi sono i fattori che possono spingere le aziende alla via della
glocalizzazione; alcuni sono:
saturazione del mercato: l’impresa si trova in un mercato
ormai saturo ed ha bisogno di nuovi sbocchi; l’impresa locale si indirizzerà
verso le nicchie specialistiche esistenti nel mercato globale interessate a
prodotti particolari come possono essere quelli locali, mentre quella globale
si adatterà a nuovi mercati locali. In questo modo, entrambe riusciranno a
rivitalizzare la loro offerta procurando nuova domanda;
varietà dei mercati: non sempre un’impresa può proporre i
suoi prodotti nello stesso modo a tutti i mercati. Molte volte è bene
cambiare alcuni elementi, equilibrando aspetti locali e globali;
presenza di una domanda glocale (nicchie differenziate
nel mercato globale e mercati locali): la domanda non richiede sempre
prodotti globalizzati di massa; anzi, sempre più spesso assistiamo ad una
maggiore richiesta di prodotti più caratterizzati localmente;
costing: l’ampliamento del mercato con nuovi segmenti
permette di ripartire ed abbassare i costi;
interesse per la cultura, la tradizione, la tipicità: come
abbiamo visto, il consumatore post-moderno è più sensibile a questi temi,
che possono essere valorizzati seguendo la via glocale;
leggi e normative: alcuni paesi regolamentano
l’importazione di beni e prodotti nel rispetto del localismo; in questi casi, la
glocalizzazione diventa una via obbligata;
esigenza di differenziazione: con l’internazionalizzazione
del commercio, la competizione tra le imprese è divenuta più stringente, è
più difficile acquisire un vantaggio competitivo;
Allo stesso modo, possono essere vari gli obiettivi di un processo di glocalizzazione
da parte delle aziende, tra cui:
• opposizione all’appiattimento causato dalla globalizzazione
nel gusto, nelle tendenze e nella moda;
• difesa e tutela delle particolarità etniche, culturali e locali,
che altrimenti rischierebbero di scomparire;
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• supporto nella competizione globale e non, in quanto
strategia di differenziazione;
• acquisizione di un valore aggiunto per la competizione
globale, di una dimensione internazionale che sarebbe impossibile da
raggiungere altrimenti, di opportunità planetarie senza dover rinunciare alle
proprie radici originarie;
• nuovi sbocchi di mercato per fare fronte alla staticità del
mercato locale;
• mirati sbocchi di mercato per i prodotti locali, quali le nicchie
specialistiche del mercato globale, e per i prodotti globali adattati ai mercati
locali di destinazione;
• sfruttamento di nuove aree geografiche, soprattutto i paesi in
via di sviluppo, come ad esempio il sud-est asiatico ed alcuni mercati
sudamericani;
• riconquista e riscoperta del senso di comunità e del territorio;
• realizzazione di un’interrelazione locale/globale o
globale/locale tra chi produce un bene e chi lo domanda;
• acquisizione di vantaggi competitivi con cui impostare il
processo di internazionalizzazione d’impresa.
Naturalmente, gli obiettivi delle imprese che scelgono tale strategia aziendale sono
economici, di certo non filantropici; ma alcune hanno capito che senza una base solida ed
un’identità forte che riesca a fornire un vantaggio competitivo, è veramente molto difficile
sopravvivere alla competizione globale. Soprattutto nel mondo occidentale, in molte
categorie merceologiche il mercato è ormai saturo e super-affollato; non esistono, quindi,
potenziali nuovi clienti: l’unico modo per ampliare la propria quota di mercato è sottrarre
clienti ai competitor, con l’obiettivo della fidelizzazione. Per fare ciò, è necessario avere
una forte brand identity, che sia significativa per il consumatore e che lo renda, nello stesso
tempo, spettatore ed attore del mondo della marca.
Uno dei caratteri principali della glocalizzazione e che può contribuire a rendere più
forte e significativa l’identità di marca è l’origine, che viene considerata come un valore da
preservare e portatrice di un vantaggio competitivo naturale. In effetti l’origine, con il
patrimonio culturale, simbolico, sociale e di legame che reca con sé, può permettere ad
9
un’azienda di differenziarsi dal punto di vista dell’offerta. In base al territorio di
riferimento, l’origine può essere sinonimo di artigianalità, qualità, innovazione, tradizione,
lusso, prestigio, precisione e così via. Uno dei settori in cui negli ultimi anni l’importanza
dell’origine è cresciuta sempre più è sicuramente quello alimentare, in cui vi è stata una
grande proliferazione di certificazioni di origine, soprattutto grazie all’azione dell’Unione
Europea. Ma abbiamo assistito anche alla nascita di numerosi movimenti, enti ed
associazioni che rivendicano la centralità dei prodotti tipici nella nostra alimentazione.
L’origine territoriale va assumendo sempre più un carattere edonistico
nell’esperienza di consumo, valorizzato dal suo carattere artigianale ed autentico,
superando, quindi, la funzione strumentale ad essa assegnata precedentemente: l’origine
diventa portatrice di storie e mondi appartenenti alla marca. La storia della marca si fonde
inevitabilmente con la storia del territorio d’origine e della comunità che lo popola: il
brand, allora, si carica di valori simbolici che ha il compito di portare con sé in giro per il
mondo. Naturalmente, date le loro caratteristiche, i prodotti locali non sono adatti ad una
diffusione di massa, ma si collocano in nicchie specialistiche capaci di apprezzarne le
qualità.
Oltre alla nuova globalizzazione, le imprese devono confrontarsi con molte altre
situazioni nuove ed inconsuete, in un mercato caratterizzato sempre più dall’instabilità.
L’impresa deve fare fronte a nuove sfide competitive, modificando non solo il proprio
modello di marketing, ma, sempre più spesso, anche la struttura proprietaria ed il modello
di governance.
Una delle sfide è rappresentata dalla polarizzazione dei mercati, intesa come
“situazione di marcata suddivisione dei mercati consumer in due macro-archetipi quali-
quantitativamente differenti”
6
In altre parole, assistiamo alla compressione del mercato di
massa, per lungo tempo in costante crescita, a favore degli estremi delle fasce di mercato: i
premium markets ed i budget markets.
I prodotti dei premium markets sono caratterizzati da un costo elevato, da un alto
valore simbolico, da una notevole attenzione alla qualità ed ai particolari, una formula
commerciale selettiva ed una comunicazione incentrata sugli intangibile assets del brand.
Il modello di questi mercati è quello a valori, in cui vi è un minor volume di scambi ed è
focalizzato su segmenti di domanda. Fanno parte di questo settore di mercato i premium
market, i luxury market, gli icon market.
6
Mattiacci A., Nicchia e competitività, Carocci editore, 2008
10
I prodotti dei budget markets, invece, sono caratterizzati da un prezzo basso, una
maggiore diffusione, una minore cura dei particolari ed una comunicazione incentrata sul
valore funzionale del prodotto. Il modello di riferimento è il modello a volumi,
caratterizzato da scambi massivi ed un’offerta di tipo convenience. È questo il mercato dei
first price, tipico dei discount, che hanno avuto anche in Italia negli ultimi anni una
notevole diffusione.
Un’altra sfida è rappresentata dalla banalizzazione dei prodotti e del brand. È in
atto, infatti, una banalizzazione della percezione del valore dei prodotti e del brand, dovuta
alla proliferazione di offering e dal moltiplicarsi di quelle di primo prezzo. Soprattutto per
quanto riguarda il brand, i consumatori sono sommersi da una notevole quantità di marchi
in tutte le categorie merceologiche, dalle caratteristiche economico-funzionali simili; sono
pochi i brand che riescono a differenziarsi facendo leva su caratteristiche immateriali. La
conseguenza è la commoditizzazione del brand; quindi, il consumatore non sceglie più in
base alla marca i prodotti da consumare, ma salta da una marca all’altra in base a diversi
fattori, come ad esempio offerte particolari, la situazione d’acquisto etc. Quindi, vi è un
appiattimento ed un livellamento verso il basso delle percezioni di valore da parte dei
consumatori che porta verso un abbassamento dei prezzi.
Una sfida che riguarda soprattutto i mercati di valore è sicuramente
l’iperframmentazione, ovvero la “proliferazione di offering sempre piø fortemente denotate
dal punto di vista commerciale e tarate su target group sempre meno numerosi ma
espressivi di schede di domanda sempre piø specifiche”
7
. Le determinanti di questa
situazione sono di natura strutturale e congiunturale.
Fra quelle di natura strutturale si annoverano: la disponibilità di tecnologie per
produzioni flessibili; il ricorso a forme di collaborazione orizzontale e verticale
nell’ideazione, realizzazione e commercializzazione delle offerte di prodotto; la crescita
della richiesta di personalizzazione da parte dei consumatori.
Le cause congiunturali sono costituite da: il ricorso intensivo a condotte
commerciali di brand extension; la disponibilità di capitali di rischio che rivitalizzano il
brand o supportano nuove iniziative; alcuni progetti di cross-fertilization, che aprono
nuove aree merceologiche.
La frammentazione, quindi, si presenta sotto forma di varianti di prodotti sempre
più targettizzate. La minaccia per l’azienda è rappresentata, in questo caso, dal breve
7
Mattiacci A., ivi, 2008
11
tempo disponibile per sfruttare economicamente il vantaggio competitivo derivante
dall’innovazione proposta. Ciò accade soprattutto se l’innovazione non attiene a
caratteristiche tecnico-funzionali, ma a valori immateriali.
Inoltre, questa logica assorti mentale tende ad esaltare la leva prezzo come
strumento di selezione, a discapito delle differenze tecnico-merceologiche delle offerte,
spingendo verso la commoditizzazione dei prodotti. La frammentazione dell’offerta si
condensa maggiormente nei mercati premium, la cui promessa di redditività è maggiore ed
allettante per molte aziende. La natura dell’offerta premium, però, impone ritmi di
innovazione molto sostenuti e una capacità di mantenere alta la promessa di valore nel
tempo e nello spazio che rischia di appesantire in modo considerevole i conti economici
aziendali, soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo, il servizio e la relazione.
2. Il nuovo consumo: la ricerca di autenticità e tipicità
La glocalizzazione non sarebbe pensabile al di fuori di una tendenza più generale e
ampia che sta portando ad un cambiamento di paradigma della società attuale: la post-
modernità.
La società post-moderna segna una frattura netta con l’epoca precedente, quella
moderna, dalla quale si differenzia per le seguenti caratteristiche:
• la globalizzazione del sistema, appunto la libera circolazione
di persone, merci, informazioni, ma anche di culture e tradizioni;
• l’informazione come risorsa centrale, in quanto società della
conoscenza, in cui l’informazione è distribuita ed è, sempre più spesso,
fonte di boicottaggi nei confronti delle aziende poco “virtuose”;
• la predominanza della dimensione simbolica, a discapito di
quella funzionale;
• l’affermazione di valori “post-materialisti”;
• la capacità degli individui di ricevere, processare e
trasmettere informazioni, grazie ad Internet in particolare.
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Le dimensioni di fondo della nuova società post-moderna sono la complessità e la
turbolenza
8
, quali condizioni normali dell’esistenza.
La complessità è la sempre crescente interconnessione ed interdipendenza dei
fenomeni nella società, per cui un piccolo cambiamento in uno degli elementi che la
costituiscono può propagarsi in settori anche molto diversi e lontani. Complessità anche
nel senso di moltiplicazione delle differenze, con la nascita di segmenti e nicchie di
consumatori diversissimi tra loro. Anche l’identità del consumatore stesso non è più unica,
definita e definibile in uno stile di vita: egli sceglie la propria identità a seconda delle
situazioni, dei momenti di vita, dando vita ad un patchwork valoriale. La complessità si
manifesta anche nel mercato come iper-offerta dei beni e dei servizi. Eclettismo e
sincretismo, quindi, qualificano sia il consumatore che il mercato.
Con turbolenza, invece, si indica il fatto che il mutamento è divenuto sempre più
imprevedibile nei suoi percorsi evolutivi, caratterizzato da discontinuità e caoticità.
Il consumatore post-moderno si trova a vivere in un diffuso stato di incertezza, di
precarietà, di perdita di punti di riferimento, di percezione di una crisi generalizzata. Il
clima socio-culturale regnante è il declino delle aspettative crescenti, in cui si cerca
piuttosto di difendere lo status quo. Anche le imprese hanno percepito la fine del mito
dell’espansione infinita del mercato e dei consumi, posizionandosi su strategie più
difensive: si preferisce investire maggiormente nelle relazioni con i clienti esistenti,
piuttosto che iniziare guerre al ribasso con le altre imprese per sottrarre clienti. Ciò è
dovuto anche alla nuova sensibilità del consumatore: per molto tempo i meccanismi di
emulazione e di ostentazione sono stati considerati alla base dei comportamenti di
consumo (effetto trickling down); il nuovo consumatore, invece, segna la fine della visione
economicistica dei consumi. Egli agisce per lo più secondo una logica di contagio sociale:
l’influenza di consumo si diffonde a 360° nella società, esercitata più dalla percepita
superiore qualità dei beni con cui si entra in contatto che dallo status dei loro possessori.
Quindi, è la frequenza di contatto con beni considerati di qualità superiore a
suscitare un effetto di contagio sociale e non il prestigio. Ciò segna il passaggio dalla
logica dello status symbol a quella dello style symbol. La differenza non è più tra stili di
vita superiori od inferiori, ma tra stili postmoderni o tradizionali. Gli oggetti sono comprati
non solo per i loro contenuti performativi, ma anche per la loro capacità di veicolare
8
Fabris G., Il nuovo consumatore : verso il postmoderno, Franco Angeli, Milano 2003
13
messaggi: il valore simbolico prevale sul valore d’uso e, nella definizione di Maffesoli
9
,
diventano dei vettori di comunicazione che attingono ad un sistema di codici condiviso.
Uno dei messaggi più importanti che si desidera comunicare attraverso le scelte di
consumo è chi si è realmente, la propria identità, nella ricerca di un’autenticità sempre più
profonda. A tal proposito, un altro valore fondamentale è l’attualità culturale, vale a dire la
ricerca di beni e/o servizi che rispecchino lo Spirito del Tempo.
I bisogni sono sostituiti dai desideri, in quanto il fine ultimo del consumo è
l’edonistica autorealizzazione del sé. Il piacere subentra alla necessità. La ricerca è tesa a
prodotti che migliorano la qualità della vita, con un forte interesse per i prodotti di
eccellenza, in grado di soddisfare la richiesta di esperienze polisensuali del nuovo
consumatore.
L’homo oeconomicus lascia il posto all’homo aestheticus, che si caratterizza per
essere autonomo, competente, esigente, selettivo, disincantato e orientato in senso olistico.
Egli è in costante tensione tra i valori del progresso (individuo, libertà, innovazione,
universalismo e globale) e quelli del regresso (comunità, legame, autenticità, vicinanza e
locale). In particolare, per quanto riguarda la ricerca di autenticità, essa è andata di pari
passo con la globalizzazione della società, come se l’individuo, con l’allargamento della
prospettiva e dello spazio d’azione, colto da un senso di “spaesamento”, abbia sentito la
necessità di un ri-radicamento, di un legame più forte e stabile con gli oggetti, il territorio e
la propria comunità.
L’autenticità può avere delle accezioni differenti in base all’ambito e alla situazione
considerati. Un primo strumento utile per la comprensione dell’autenticità nell’esperienza
di consumo può essere la distinzione tra l’immagine cognitiva e quella esperienziale di una
marca autentica.
Autenticità cognitiva
Con immagine cognitiva della marca autentica si intende sottolineare che il giudizio
di autenticità può dipendere essenzialmente da alcune credenze che il consumatore
possiede. Alla creazione di queste credenze contribuiscono l’approccio oggettivo
dell’autenticità e la gestione della marca da parte dei manager. I tre criteri fondamentali su
cui poggia l’immagine cognitiva sono l’origine, la sincerità e l’autorità riconosciuta della
marca. L’approccio oggettivo si basa su “regole e norme predefinite, per le quali i fatti
9
Maffesoli M., La contemplazione del mondo. Figure dello stile comunitario, Costa&Nolan, Genova, 1996
14
sono oggettivamente dati, la realtà è preesistente e la conoscenza è esteriore all’essere
umano”
10
; quindi, è possibile trovare l’autenticità negli oggetti esposti nei musei o nei
trattati di etnologia e di antropologia. L’autenticità oggettiva presuppone che l’oggetto sia
originale, nel senso di essere legato alla sua origine, che può essere rappresentata
dall’autore, dalla cultura di riferimento o dalla sua dimensione temporale. La sincerità fa
riferimento all’indiscutibile verità dell’autenticità. Infine, l’autenticità deve basarsi su
un’autorità inattaccabile e incontestabile, che deriva principalmente dalle certificazioni,
molto diffuse nelle pratiche commerciali.
Per quanto riguarda le pratiche dei brand manager, essi spesso comunicano degli
elementi cognitivi per mettere in risalto l’autenticità delle loro marche e/o prodotti. A
questo scopo, si affidano a dei racconti creati attorno alla marca per dimostrare la sua
origine, che è sincera, originale e dotata di un’autorità riconosciuta. Quindi, al centro della
strategia della marca autentica c’è la storia che la rappresenta, che la ricongiunge alla
propria origine, mettendo in secondo piano, agli occhi dei consumatori, la sua natura
commerciale.
Molte volte, poi, si opera una sorta di antropomorfizzazione della marca,
attribuendole caratteristiche umane, allo scopo di renderla più sincera ed autentica per i
consumatori.
Spesso, i racconti sulla marca si riferiscono ad elementi della sua origine, che può
fare riferimento a diversi aspetti. Sandra Camus ha messo in evidenza l’esistenza di sei
mondi autentici legati all’origine, che ne mettono in luce i differenti aspetti (vedi tabella 1).
La marca, molto spesso, si ispira a vari mondi autentici contemporaneamente, che
contribuiscono a renderla unica e differente dalle altre.
10
Camus S., La Marque Authentique approche cognitive expØrientielle à partir de la littØrature, des
pratiques commerciales et des discours des consommateurs, 2007
15
Tabella 1
Mondo autentico Definizione
Mondo archeologico Gli oggetti sono autentici in rapporto ad un’origine
temporale
Mondo ispirato Gli oggetti sono autentici in rapporto ad una fonte di
ispirazione (autore, produttore)
Mondo spaziale Gli oggetti sono autentici in rapporto ad un’origine
geografica
Mondo ritualizzato Gli oggetti sono autentici in rapporto ad un’origine
culturale
Mondo naturale Gli oggetti sono autentici in rapporto ad un ambiente
naturale: vengono dalla terra o richiamano la natura
Mondo tecnico e tecnologico Gli oggetti sono autentici in rapporto ad una tecnica o ad
una tecnologia specifica
Fonte Camus S., 2007
Nel mondo archeologico rientrano tutti i brand la cui nascita può essere collocata in
un epoca precisa e più o meno lontana nel tempo; tali brand mantengono caratteristiche
distintive della loro epoca originaria nel packaging, nella comunicazione o in alcuni
strumenti per la lavorazione del prodotto. Un esempio è la birra prodotta dall’Abbaye de
Leffe, la cui origine risale al 1240 ad opera dei monaci dell’Abbazia Notre Dame de Leffe
nel sud del Belgio. Come molti monasteri di tutta Europa, i monaci dell'abbazia
producevano birra utilizzando conoscenze passate di generazione in generazione e
ingredienti disponibili nelle vicinanze del monastero, sviluppando in questo modo una
birra unica, tipica del territorio. Dopo la Rivoluzione Francese, il birrificio viene distrutto;
la produzione ricomincerà dopo gli anni ’50 del XX secolo ed oggi la proprietà è del
gruppo di Stella Artois. Il brand Leffe, comunque, comunica costantemente la sua origine
temporale, soprattutto attraverso il packaging: sull’etichetta della bottiglia di birra
troviamo, infatti, il disegno di un’abbazia ed anche i caratteri utilizzati e la grafica
richiamano alla mente il mondo medioevale.
Fanno parte del mondo ispirato, invece, tutti i brand che traggono autorità dal loro
autore o fondatore, celebrandone così lo spirito e la visione. La maggior parte di questi
brand appartiene al mondo della moda, come ad esempio Versace, Valentino, Chanel e
tanti altri, o al mercato del Food & Beverage, come ad esempio Rana, Amadori o Buitoni.
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Nel mondo spaziale, l’autenticità è legata al luogo d’origine della fabbricazione; per
cui, ad esempio, un vino prodotto in Italia sarà percepito più autentico di un vino prodotto
in Romania. Così come un Victorinox sarà percepito più autentico rispetto ad un coltellino
prodotto in qualsiasi altro paese.
I brand percepiti autentici perché appartenenti al mondo ritualizzato richiamano alla
mente del consumatore usi e tradizioni di una determinata cultura; ne è un esempio la
marca After Eight che, nelle sue campagne pubblicitarie, fa spesso riferimento alla cultura
inglese. Anche il nome stesso richiama la tradizione inglese di mangiare questi cioccolatini
dopo le otto di sera. Un altro esempio è il brand Chiquita: nonostante sia statunitense, per
commercializzare i proprio prodotti usa immagini appartenenti al mondo sudamericano, da
dove, comunque, arrivano i suoi prodotti.
Appartengono al mondo autentico naturale i brand che commercializzano prodotti
naturali e biologici, come ad esempio Almo Nature, che è stata la prima azienda al mondo
ad introdurre sul mercato l’alimento completamente naturale per cani e gatti o, nell’ambito
della cosmesi naturale, il brand Frais Monde, i cui prodotti hanno la peculiarità di
contenere acqua termale.
Infine, i brand appartenenti al mondo tecnico o tecnologico sono percepiti come
autentici grazie ad una particolare tecnica di lavorazione o ad una tecnologia specifica che
presentano i loro prodotti. Rientrano in tale mondo brand come Geox, che basa la sua
comunicazione essenzialmente sulla sua innovazione brevettata, applicata a tutti i suoi
prodotti.
Autenticità esperienziale
L’immagine esperienziale dell’autenticità di marca è influenzata dalla relazione e
dai conseguenti sentimenti del consumatore nei confronti della marca stessa.
Nell’esperienza di consumo, centrale è considerata la rappresentazione del Sé. Infatti, la
ricerca di autenticità è molto spesso messa in relazione con la ricerca di senso e di identità
che caratterizza la società occidentale, attraversata dalla crisi identitaria dell’individuo. I
beni ed i servizi diventano oggetto della ricerca di autenticità per effetto di una proiezione,
che cerca di alleviare la perdita di punti di riferimento e di senso.
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MacIntosh A. et Prentice R.C., Affirming authenticity. Consulting cultural heritage, Annals of Tourism
Research, 1999