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CAPITOLO II
La crisi non è nell‟arte ma nell‟uomo,
diviene causa e non condizione dell‟operare.
(Giampiero Giani)
ALBERTO BURRI
La figura di Alberto Burri compare sulla scena italiana già dal biennio 1948–
49, quando la sua ricerca astratta e polimaterica si inserisce nel panorama
prevalentemente di stampo neo cubista, anticipando per molti versi un settore
espressivo che sarà caro all‟ambiente informale. Sono gli anni della Seconda Guerra
Mondiale e l‟arte risponde, manifestando il proprio disagio di fronte a questa
tragedia, attraverso il rifiuto per qualsiasi rappresentazione naturalistica o astratta che
sia costruita secondo i canoni figurativi tradizionali. Nasce l‟Informale, tendenza
artistica dai molteplici aspetti che, a differenza dei suoi precedenti, non è e non
pretende di essere un movimento di avanguardia, anzi: “Il suo proposito, se ne ha
uno, non è di aprire una nuova fase creativa, ma di mantenersi in bilico su un limite
così estremo da lasciar dubitare se vi sia ancora, al di là, una possibilità di arte”
9
.
Il critico d‟arte Michel Tapiè la battezza art autre
10
per evidenziare una poetica
che tenta il più possibile di tagliare i ponti con il passato, ma lo fa con uno spirito
diverso da quello ironico e dissacrante del Dadaismo e anche con motivazioni
diverse da quelle delle prime avanguardie storiche quali, ad esempio, il Futurismo.
9
G. C. ARGAN, Materia, tecnica e storia nell'informale, in Caduta e salvezza nell'arte moderna,
Milano, Il Saggiatore, 1964, p. 81.
10
La nuova esperienza artistica sarebbe autre perché: “Nella misura in cui la nostra arte è altra, si
elabora un nuovo protocollo, un nuovo rituale che non è un miglioramento dei vecchi principi, ma che
è esso stesso totalmente diverso, tanto nei suoi postulati come nelle sue scale di valori”. Cfr. M.
TAPIÉ, Un art autre, 1952, citata in: R. PASINI, L‟informale Stati Uniti Europa Italia, op. cit., p. 187.
14
Qui manca la progettualità e la temporalità di fondo, il presente ha valore
incontrastato, infatti:
[…] Il futuro non sarà più una dimensione necessariamente diversa dal
passato e dal presente, non sarà il futuro a divenire presente ma il presente
che si sposta nel futuro, ricopre il futuro fino ad abolirlo nella sua
dimensione illimitata
11
.
Non c‟è un tentativo di ricostruire il mondo attraverso un programma
ideologico, ma solamente una profonda presa di coscienza della realtà, dell‟esistenza:
“Entro il dibattito primario della carne, del corpo, della materia che si articola
embrionalmente in vita”
12
. È il pensiero esistenzialista e fenomenologico
13
, nonché il
dramma bellico, a far emergere il desiderio bruciante di cogliere il significato ultimo
della condizione umana, ad evidenziarne i limiti; la stessa opera d‟arte emette un urlo
straziante e disperato che si ripromette di scandagliare la materia (specialmente sul
versante Europeo), alla ricerca di un segno della propria identità
14
.
Giulio Carlo Argan rileva questo aspetto comune a tutto l‟Informale materico,
sottolineando che:
«Evidenziare» la materia significa avere smarrito la nozione dello spazio e
del tempo. La materia è là, come un muro spesso, ruvido, ostile, che fa male,
fa sanguinare, può uccidere. Non c‟è spazio né tempo, anzi non c‟è più
spazio né tempo. […] Abbiamo esaurito le possibilità che fanno liberi gli
uomini, ora siamo in una condizione di necessità, e l‟ora della necessità è
segnata proprio dall‟emergere della materia, irrefutabile, sorda, soffocante
come il terriccio fradicio della tomba
15
.
E ancora: “Poiché spazio e tempo sono le grandi coordinate dell‟esperienza o
della vita, la distruzione dello spazio e del tempo determina una sospensione della
vita, instaura una condizione autre, la condizione del nulla”
16
.
11
C. BRANDI, Burri, in Scritti sull‟arte contemporanea, vol. I, Torino, Einaudi, 1976, p. 205.
12
E. CRISPOLTI, L'Informale. Storia e poetica, Assisi-Roma, Beniamino Carucci Editore, 1971, p. 21.
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I corrispettivi più immediati dell‟Informale sul piano letterario e filosofico si possono riassumere in
alcuni nomi: Sartre, Merlau-Ponty, Camus, Miller, Jaspers, Artaud. Per alcune riflessioni su Sartre e
l‟Esistenzialismo ateo, cfr. L. STEFANINI, Esistenzialismo Ateo ed Esistenzialismo Teistico, Padova,
Cedam, 1952.
14
Per uno studio approfondito dell‟Informale, non soltanto Europeo: R. PASINI, L'Informale Stati
Uniti Europa Italia, op. cit.
15
G. C. ARGAN, Materia, tecnica e storia nell'informale, op. cit., p. 86.
16
G. C. ARGAN, Alberto Burri, in Caduta e salvezza nell'arte moderna, op. cit., p. 261.
15
Tra tutti i protagonisti della nuova pittura, nessuno interpreta la situazione
attuale con la forza e la profondità di Alberto Burri, nato a Città di Castello (Perugia)
nel 1915, ma dato alla pittura piuttosto tardi e in circostanze particolari. Egli si laurea
in medicina nel 1940, ma durante la Seconda Guerra Mondiale subisce un lungo
periodo di prigionia che lo avvicina alla pittura, la sua, quindi, è una pittura di
ripensamento che si esprime attraverso i limitati mezzi che ha a disposizione. Burri,
che non è uomo da compromessi, ha già preso la sua decisione e nel 1946, al
momento del suo rientro in Italia, sceglie di essere soltanto un pittore.
La sua prima esposizione è datata Luglio 1947: si tratta di una mostra di alcuni
disegni alla Galleria Margherita di Roma. Burri non è ancora Burri naturalmente, la
sua grafica è di stampo vagamente espressionista, ma il movimento del colore sulla
tela racchiude in nuce quello che sarà il futuro prossimo dell‟artista: la scoperta della
materia. Infatti, qualche anno dopo (biennio 1947-48), nonostante la totale estraneità
all‟ambiente e alla cultura accademica, si ritrova ad essere “outsider imprevisto e
imprevedibile”
17
all‟interno del panorama artistico italiano; il suo linguaggio di
emergenza è già nettamente definito: la crosta materica comincia a ribollire, mentre
la scala cromatica è già ridotta al minimo. Comincia la stagione dei Catrami e delle
Muffe.
La sua vicenda artistica ha prodotto un discorso critico piuttosto lungo ed
articolato, alimentato anche dal silenzio dell‟artista nei confronti delle proprie opere.
Egli stesso, infatti, afferma:
Le parole non mi sono d‟aiuto quando provo a parlare della mia pittura.
Questa è un‟irriducibile presenza che rifiuta di essere tradotta in qualsiasi
altra forma di espressione. È una presenza nello stesso tempo imminente e
attiva. Questa è quanto essa significa: esistere così come dipingere. La mia
pittura è una realtà che è parte di me stesso, una realtà che non posso rivelare
con le parole
18
.
Il silenzio è quindi complementare alla sua pittura: non solo rileva la profonda
necessità della tabula rasa, condizione basilare, pre-logica, quasi desertica, che
17
C. PIROVANO in Burri, catalogo della mostra a cura di C. Pirovano, Milano, Arnoldo Mondadori,
1984, p. 189.
18
The New Decade, 22 European Painters and Sculptors, The Museum of Modern Art, New York,
1956, citato in F. CAROLI, La forma e l‟informe, Studio Marconi, Milano, 1979, p. 33.
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permette la germinazione di un nuovo concetto di pittura, ma nell‟assenza del filtro
della parola, l‟opera d‟arte può esprimersi in tutta la sua interezza.
È certamente indubbio che la sua arte rappresenti una profonda innovazione del
pensiero estetico contemporaneo. I Sacchi suscitano scandalo fin dalla loro prima
apparizione, perché il pregiudizio è insito all‟interno del concetto tradizionale di
pittura: può la tela di un sacco, la lamiera di ferro, oppure la plastica bruciata essere
definita davvero «arte»? Tuttavia: “Capire il modo con il quale la vile tela di sacco
diventa pelle della pittura significa aver chiaro un nuovo rapporto tra materia e
opera.”
19
In altre parole, si tratta di una rivoluzione ideologica e linguistica del
concetto di opera d‟arte, la materia comincia ad esistere oltre i contesti culturali,
assume un‟identità indipendente senza rinnegare o rinunciare alla memoria della
pittura tradizionale. L‟arte di Burri rivendica l‟autorevolezza della grande pittura
perché ha la profonda necessità di confrontarsi con essa, affinché la dialettica con la
materia risulti, infine, feconda.
Burri ha continuato a dividere l‟opinione pubblica ma, alla fine degli anni
Cinquanta, la sua pittura fa già parte della storia dell‟arte del Novecento. La sua
ricerca e il suo percorso artistico sono ininterrotti, egli supera il limite dei linguaggi
ma non se ne compiace, dopo i Sacchi si susseguono le Combustioni, i Legni, i Ferri,
le Plastiche, fino ad arrivare ai Cellotex: è un percorso che scandaglia, sfibra,
conosce carnalmente la materia, passando in rassegna le sue categorie organiche.
19
C. CERRITELLI in Alberto Burri: la pittura come materia vivente: opere dal 1949 al 1966, catalogo
della mostra a cura di C. Cerritelli, Parma, Attraverso le Avanguardie, 1993, p. 11.
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§ Il Significato della Materia: Sofferenza.
Parlare di Burri significa sicuramente parlare di un innovatore, ma come tutti i
più grandi artisti, egli non nasce dal nulla, il suo, infatti, non è il primo tentativo di
intrusione di elementi autres accanto al materiale pittorico tradizionale: la materia
era già apparsa in campo artistico come una sorta di alibi per nascondere
l‟impossibilità di progredire della storia dell‟arte. C‟erano stati precedenti illustri: il
collage cubista di Picasso e Braque, utilizzato per intensificare la composizione del
dipinto: “indicazione astrattamente e ingegnosamente stilistica”
20
con lo scopo di
riconfermare la pittura eludendone il problema. È evidente come Burri reinventi il
collage e come questa reinvenzione comporti anche l‟isolamento della materia, di
conseguenza un‟operazione opposta a quella dei cubisti. Qui la materia non finge di
rappresentare qualcosa e non finge neanche se stessa, attraverso una poetica
antimimetica, che rifiuta la metafora
21
, la stessa conformazione materica si traduce in
immagine visiva; anzi, si potrebbe proprio dire che non è il reale a divenire finzione
ma l‟artificio a tradursi in realtà. C‟era stata anche la poetica del ready-made di
Duchamp, materializzazione di un gioco di parole assimilabile ad un rovesciamento
del “cogito, ergo sum” di Cartesio, nel Dadaismo, infatti, si potrebbe dire che:
“cogito, ergo est”. Tuttavia, nella pittura di Burri, non si percepisce ironia: il suo
gesto viene già dopo dada, è un passo oltre la necessità dell‟espediente. Inevitabile
sembra essere anche ricordare il Merzbau di Kurt Schwitters, ma Burri non è
neanche questo: non c‟è quell‟intimità creata dall‟alchimia fatiscente tra vita e arte,
egli è subito monumentale, perché vita e arte si scontrano in modo diretto e
immediatamente risolutivo. In questa breve panoramica di precedenti storico-artistici
non si può certo dimenticare l‟approccio polimaterico del Futurismo: nel Manifesto
tecnico della Letteratura Futurista (1912), Marinetti afferma che è necessario
“Sostituire la psicologia dell‟uomo con l‟ossessione lirica della materia”.
20
F. ARCANGELI, Una situazione non improbabile, in Dal romanticismo all‟informale, Torino,
Einaudi, 1977, citato in F. CAROLI, La forma e l‟informe, op. cit., p. 46.
21
La pittura di Burri è antiaristotelica, nel senso che rifiuta il processo della catarsi, “questo è questo”,
non c‟è metafora o rappresentazione, il sacco è sacco, la plastica è plastica, il ferro rimane ferro.
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Quello che distingue l‟artista umbro dai suoi precursori è ben spiegato da
Emilio Villa: “L‟inesperta vanità delle avanguardie polimateriche (viziacci) potevano
tutt‟al più evocare il senso di improvvisazioni magiche e deteriori, o ironie, o
proteste automatiche”
22
, mentre qui:
[…] Il miracolo invece c‟è: dolcissime o astruse o preziose reminescenze
delle materie quotidiane, investite da una esaltazione concettuale e da una
severità oggettiva che stupiscono come segnale di grandi smarrimenti, e di
temi mescolati sottoterra, a filo di terra, e poi rimossi
23
.
L‟approccio di Burri è diverso da quello dei suoi predecessori perché trasforma
la materia in quadro, non vuole essere ironico né decorativo, non parte con l‟intento
di stupire il suo pubblico, la sua linea di pensiero è chiaramente espressa con
l‟adesione al Gruppo Origine, nel cui manifesto è dichiarata:
[…] La necessità stessa di una visione rigorosa, coerente, ricca di energia.
Ma, primamente, antidecorativa e, in tal modo, schiva da qualsiasi
compiacente allusione ad una forma di espressione che non sia quella di un
raccoglimento umile ma concreto, proprio in quanto decisamente fondato sul
significato spirituale del "momento di partenza" e del suo umano riproporsi
in seno alla coscienza dell'artista
24
.
Nelle sue opere non c‟è il carattere intellettuale è un po‟ compiaciuto di chi è
arrivato alla pittura dall‟accademia, Burri era medico e se questo da una parte lo
portava a non possedere quella cultura comune all‟ambiente artistico, dall‟altra gli
concedeva una maggior libertà nell‟utilizzo dei mezzi espressivi. La condizione di
prigionia era stata decisiva nei confronti della sua formazione, specialmente per
quanto riguardava il campo artistico. Egli aveva vissuto quella condizione di
sospensione e di attesa di chi ha dovuto essere spettatore immobile di fronte al fluire
rapinoso degli eventi, maturando una solitudine che lo caratterizzerà per il resto della
22
E. VILLA, Burri, Fondazione Origine, Roma, 1953 in Burri – Cagli – Fontana – Guttuso – Moreni –
Morlotti. Sei pittori dagli anni Quaranta ad oggi, a cura di E. Crispolti, A. Del Guercio, Roma,
Istituto Italo-Latino Americano, 1967, p. 93.
23
Ibidem.
24
G. CAPOGROSSI, M. BALLOCCO, E. COLLA, A. BURRI, Manifesto del Gruppo “Origine”, Roma,
Gennaio 1951. Il Gruppo Origine vuole distinguersi, per sua stessa ammissione, dalle altre esperienze
artistiche quali l‟Astrattismo dato che lo ritiene un problema artistico concluso, allo stato attuale:
“sempre più orientato verso la compiacenza decorativa”.
19
vita e che gli permetterà di giungere a soluzioni autonome anche accompagnandosi
ad altri artisti.
La materia viene posta in prima istanza non come qualcosa di inerte, ma come
un organismo vivente fatto di “sangue e carne”
25
. Si tratta di un‟urgenza espressiva,
una condizione di necessità per l‟artista che rifiuta la propria spiritualità per
identificarsi in essa, nei suoi spasmi: quelle ferite, quelle cicatrici, quelle piaghe sono
umane, ed è inevitabile pensare che l‟allusione alla ferita (anche psichica) ci sia.
Eppure, quest‟allusione è soltanto un approfondirsi del senso del quadro attraverso
una sensibilità che non può essere assimilata a quella surrealista, perché qui la
lacerazione è effettiva e indubitabile:
E qui sta anche il lato cupamente infernale della pittura di Burri: il fatto che
queste materie devono essere vere, ma non devono potersi toccare, devono
essere repellenti, impedire il contatto al momento che lo hanno indotto nella
sfera esistenziale e dunque morale dello spettatore
26
.
Passato lo stupore iniziale di ritrovarsi non di fronte ad una rievocazione
naturalistica della ferita, ma a qualcosa di reale che diventa immediatamente un
elemento figurativo all‟interno di una struttura formale rigorosa, si percepisce che il
collage di Burri non è un simbolo che evidenzia la provenienza aliena e
l‟incongruenza del frammento in un qualsivoglia punto del quadro, come nel dipinto
surrealista. La pittura di Burri, infatti: “Non è pittura di simboli, ma di segni, non è
pittura che voglia prefigurare o annunciare una situazione, ma pittura che vuole,
appunto toccare con mano”
27
.
La materia da inerte objet trouvé è diventata memoria e ha cominciato a
tormentarsi al posto dell‟uomo, essa subisce l‟aggressione dell‟artista che taglia,
sfibra, cauterizza, lacera e poi ricuce; lo scopo è arrivare alla condizione limite,
confine affacciato nel nulla in cui l‟ultimo anelito di vita prende il sopravvento
sull‟inerzia della morte, confine di là del quale cesserebbe di essere ciò che è: reale e
concreta.
25
J. J. SWEENEY, Burri, Roma, 1955, in F. CAROLI, La forma e l‟informe, op. cit., p. 42.
26
C. BRANDI, Burri, in Scritti sull‟arte contemporanea, op. cit., p. 223.
27
G. C. ARGAN, Alberto Burri, op. cit., p. 263.