Introduzione
15 agosto 2021: Kabul cade nelle mani dei talebani che rifondano l’Emirato Islamico
dell’Afghanistan. La notizia, prevedibile a causa degli avvenimenti dei mesi precedenti,
fa il giro del mondo e riapre una questione che era stata lasciata in sospeso: la cosiddetta
“long war” in Afghanistan era davvero così necessaria? La domanda è d’obbligo. Dopo
quasi venti anni da una delle pagine più buie del nuovo millennio, in Afghanistan si torna
indietro nel tempo. Venti anni prima gli Stati Uniti, il cuore del mondo moderno, veniva
colpito da un attacco che ha modificato gli assetti geopolitici di tutto il globo. Ma forse è
necessario tornare ancora più indietro, a quando nel 1996 il movimento insurrezionale dei
talebani riesce a vincere una sanguinosa guerra civile ponendosi come forza governativa
del paese e istituendo l’Emirato Islamico dell’Afghanistan. I talebani, che all’epoca non
vennero riconosciuti come forza organizzativa dello Stato da tutti i paesi occidentale né
dalla comunità internazionale, decisero di ospitare nel loro territorio il gruppo terroristico
di al-Q’aida capeggiato da Osama bin Laden. Quest’ultimo venne ritenuto il mandante
dell’attentato e questo basto agli Stati Uniti per iniziare un conflitto armato per
sconfiggere ed eliminare del tutto il terrorismo. Da allora, dall’ottobre 2021 la presenza
dell’esercito americano, al quale poi si unirono forze militari del resto dei Paesi della
NATO, è sempre stata fissa. Si tratta del più lungo conflitto al quale gli Stati Uniti
abbiamo mai preso parte. L’obiettivo, di quella che poi è diventata una vera e propria
occupazione, era quello di aiutare l’Afghanistan nel periodo post talebani nella creazione
di un assetto istituzionale solido e che soprattutto riuscisse a impedire un eventuale ritorno
dei talebani. La storia recente ci insegna che non è andato tutto secondo i piani.
Il lavoro si articola in tre capitoli; i primi due sono propedeutici all’ultimo e sono capitoli
che si concentrano più su nozioni di diritto internazionale. Il primo in particolare si pone
l’obiettivo di definire i movimenti insurrezionali dal punto di vista del diritto
internazionale e come questi vengono o meno riconosciuti, questa prima parte è
fondamentale per avere chiari dei concetti senza i quali è difficile poter capire tutto il
resto. Il secondo capitolo continua, sulla falsariga del primo, ad analizzare questioni per
lo più appartenenti al diritto internazionale concentrandosi sul regime giuridico
applicabile ai movimenti insurrezionali e sui diritti e obblighi imputabili agli insorti. Il
terzo capitolo rappresenta la parte finale dell’opera ed è quella nella quale si entra più
nello specifico nei confronti della questione afghana. La prima parte infatti è
caratterizzata da un excursus storico sulle situazioni che hanno portato al conflitto
scoppiato in Afghanistan in seguito agli attentati negli Stati Uniti del settembre 2001.
Successivamente si passa ad analizzare i requisiti di diritto internazionale che hanno reso
l’intervento militare americano in Afghanistan legale e legittimo. L’ultima parte è
dedicata alla gestione della cosiddetta “long war” e agli eventi molto recenti che hanno
portato alla rinascita dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan.
Per sviluppare il seguente lavoro è stato necessario studiare dai manuali di diritto
internazionale, nel contempo ho ritenuto importante anche dare il giusto peso al contesto
storico. Fondamentali sono stati anche i documenti di attualità, tra cui diversi articoli dei
principali giornali soprattutto americani, e anche i documenti pubblicati dalle
organizzazioni internazionali in merito.
Capitolo 1
Definizione e riconoscimento dei movimenti insurrezionali
1.1 Premesse
Quando si analizzano i movimenti insurrezionali è fondamentale chiarire fin dal principio quale
è la definizione del concetto di insurrezione e di insorti. Secondo la dottrina, con la definizione di
insorti intendiamo tutte quelle collettività umane organizzate che attraverso la lotta armata
riescono ad appropriarsi del controllo di un’ampia parte di territorio dello Stato oggetto. Il
controllo in questione deve essere stabile per poter attribuire agli insorti la soggettività
internazionale.
1
Il movimento insurrezionale deve pertanto essere abbastanza forte da potersi contrapporre in
maniera efficace al governo al potere, creando quindi due forze di egual misura che si contrastano
sul territorio nazionale. Altrettanto importante è la capacità del movimento insurrezionale di
creare un governo che impedisce almeno in parte l’esercizio del potere da parte del governo
legittimo.
È quindi abbastanza chiaro che la soggettività degli insorti e quella dello stato legittimo sono
inversamente proporzionali, all’aumentare della prima diminuisce la seconda, questo fino all’esito
finale che decreterà la vittoria o la sconfitta del movimento insurrezionale.
La dottrina infatti sottolinea come il controllo, da parte degli insorti, di parti del territorio oggetto
dell’insurrezione, sia fondamentale per mantenere la soggettività internazionale. Qualora gli
insorti perdessero questa caratteristica essi cesserebbero di essere considerati soggetti di diritto
internazionale e tornerebbero ad essere considerati semplici «ribelli»
2
. Anche se, proprio in merito
a questo discorso, esistono autori che sostengono la nascita di movimenti insurrezionali,
soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, privi di un territorio stabile, ai quali è comunque
stato riconosciuto di essere destinatari di norme di diritto internazionale. Sul tipo di controllo che
gli insorti dovrebbero mantenere al fine dell’accertamento della soggettività, la dottrina non è
univoca. Infatti, non sembra essere richiesta una vera e propria organizzazione statale.
3
Anche in
merito al tipo di governo creato si possono fare delle osservazioni. La dottrina più tradizionale
esclude che il movimento insurrezionale debba essere in possesso del carattere di democraticità o
debba rispettare i valori fondamentali del diritto internazionale. Esiste però anche una parte meno
numerosa della dottrina che sostiene che esistono casi nei quali è necessario tenere in
considerazione l’effettiva osservanza delle regole democratiche da parte del movimento
insurrezionale, in particolare per i movimenti di liberazione o per gli insorti che lottano contro un
regime che pratica la segregazione su base razziale
4
. In questo caso quando si parla di
democraticità ci si riferisce all’obbligo di tenere elezioni libere e periodiche, ma anche l’obbligo
di rispettare quelli che sono i diritti umani fondamentali.
In tema di definizione dei movimenti insurrezionali una certa rilevanza possono averla i lavori
della Commissione del diritto internazionale in materia di responsabilità internazionale dello
Stato. Secondo il commentario della Commissione nel secondo Protocollo della Convenzione di
Ginevra si possono rilevare elementi utili per individuare un movimento internazionale. L’art.1
del suddetto protocollo si applica ai conflitti armati e cita: « Il presente Protocollo, che sviluppa
e completa l'art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 senza modificarne le
1
Così P.Pustorino, Movimenti insurrezionali e diritto internazionale, Bari, 2018.
2
Così C. Focarelli, Diritto Internazionale, Padova, 2017.
3
“Il controllo non è richiesto con caratteristiche di stabilità e modalità organizzative assimilabili a
quelle di una vera e propria organizzazione statale” S.M. Carbone, I soggetti e gli attori nella comunità
internazionale, Torino, 2016
4
Sulla rilevanza del criterio della rappresentatività popolare per i movimenti di liberazione nazionale ai
fini dell’esercizio di taluni diritti previsti in norme internazionali, si è visto F. Mégret, “Grandeur et
de
́ clin de l'ide
́ e de re
́ sistance a
̀ l'occupation : re
́ flexions a
̀ propos de la le
́ gitimite
́ des "insurge
́ s", 2008.
condizioni attuali di applicazione, si applicherà a tutti i conflitti armati che non rientrano nell'art.
1 del Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 relativo alla
protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali (Protocollo I), e che si svolgono sul
territorio di un'Alta Parte contraente fra le sue forze armate e forze armate dissidenti o gruppi
armati organizzati che, sotto la condotta di un comando responsabile, esercitano, su una parte del
suo territorio, un controllo tale da permettere loro di condurre operazioni militari prolungate e
concertate, e di applicare il presente Protocollo. »
È vero che il Protocollo disciplina solo i conflitti armati interni senza occuparsi direttamente dello
status internazionale degli insorti. Però definisce perfettamente quali sono le caratteristiche che
un gruppo armato deve possedere, caratteristiche che possono essere applicate anche per una
legittimazione degli insorti a livello internazionale.
Esistono anche altri organi che si sono espressi sulla definizione di insorti e sulle caratteristiche
proprie dei movimenti insurrezionali. Va attribuita grande importanza alla Croce Rossa
internazionale che insiste sull’esistenza di alcuni fattori tradizionali utili per accertare l’esistenza
di un conflitto armato, si tratta ovviamente di documenti che non hanno per nulla un carattere
vincolante. Nell’Opinion Paper pubblicato nel 2008 viene sancito che “affinché esista un conflitto
armato è sufficiente che esista un confronto armato tra forze governative e movimenti
insurrezionali; è anche necessario che questi scontri siano caratterizzati da un alto livello di
intensità e che le parti in conflitto mostrino un minimo di organizzazione che gli permetta di
condurre le ostilità contro l’altra parte.”
La medesima posizione è ribadita nel Commentario adottato in merito all’art.3 comune alle
Convenzioni di Ginevra.
1.2 La personalità giuridica degli insorti
Prendendo in considerazione la natura della personalità giuridica degli insorti, essa può essere
definita atipica. La particolarità della personalità giuridica degli insorti sta nella sua natura
provvisoria che dipende sia dall’esito dell’insurrezione ma anche dalla capacità degli insorti di
saper creare un governo che sia in grado di sostituire quello legittimo e che sappia esercitare il
potere sovrano su tutto il territorio nazionale o su parte di esso. Il carattere provvisorio della
personalità giuridica degli insorti è dato dal fatto che le norme internazionali si applicheranno per
un lasso di tempo limitato, almeno fintanto che esiste il movimento. Per quanto riguarda la
provvisorietà come carattere distintivo della soggettività dei movimenti insurrezionali, bisogna
considerare l’esistenza di movimenti insurrezionali che perdurano molto a lungo nel tempo. Se si
considera questo aspetto un movimento insurrezionale può essere definito provvisorio solo ex
post, solo quando l’insurrezione è ormai conclusa è si può chiaramente decifrare la sua durata.
Un’altra caratteristica della personalità giuridica degli insorti è che, oltre che essere provvisoria,
essa è anche limitata. Il limite sta nel fatto che essi sono destinatari solo di una parte delle norme
che vengono applicate agli Stati
5
. Tra queste essi possono concludere accordi internazionali, sia
con il governo legittimo dello Stato oggetto dell’insurrezione sia con Stati terzi. Ne consegue che
il riconoscimento della soggettività internazionale degli insorti potrà derivare tanto dal governo
al potere quanto da uno Stato terzo, questo riconoscimento permetterà al movimento insurrezione
di avere capacità giuridica e quindi essere titolare di diritti e obblighi sul piano internazionale
6
.
1.3 Mutamenti della Soggettività internazionale
Una volta che la soggettività internazionale degli insorti si è formata esistono tre ipotesi nella
prassi che riguardano il suo mutamento.
5
Per C.Focarelli, Diritto Internazionale, le norme in questione comprendono, ad esempio, le regole sul
trattamento degli stranieri e quelle sulle immunità degli organi di Stati stranieri.
6
Secondo E. Castrén, Civil War,2017.