6
rilevazione e la gestione di un’ingente mole d’informazioni,
che consentono di identificare gli utenti e il loro
comportamento.
Si afferma, così, una pubblicità che conosce il suo pubblico, i
gusti, le sue abitudini, la sua provenienza basandosi su un
feedback altamente attendibile; al consumatore si prospetta la
possibilità di disporre di un livello d’informazione sulla marca,
sui prodotti, sull’azienda, con uno spessore impossibile su altri
mezzi. Meglio di uno spot, potendo gestire il tutto on demand,
con pochi click; più efficace di una pagina stampata, grazie alla
multimedialità; meglio di un semplice window shopping: col
web si entra in un negozio, in azienda, diventando parte del suo
mondo. Si crea, così, una sorta di relazione basata soprattutto
sull’interattività tra azienda e cliente ed è proprio lo studio
della creazione di tale rapporto ed il suo mantenimento, a
diventare un elemento centrale e indispensabile per chiunque
voglia massimizzare l’utilizzo della rete. Il target della rete
diviene così un individuo e non più una massa sconosciuta di
persone e la marca diviene soggetto e interlocutore di una
comunicazione tra pari con gli individui. Tutto ciò, però, deve
essere fatto attraverso una corretta comunicazione d’impresa
che eviti lo spamming e le tante offerte indifferenziate
veicolate attraverso banner, pop up che rischiano di allontanare
il cliente; bisogna perseguire, invece, una comunicazione
accurata e creata su misura per ogni target. Per questo la
pubblicità in rete, per essere maggiormente efficace, si deve
basare su una strategia attrattiva (pull) e non selettiva (push).
7
GUIDA ALLA LETTURA
Il presente lavoro si propone e focalizza la sua attenzione su
una comunicazione basata su una strategia attrattiva, “pull”,
dove l’informazione viene cercata dall’utente e tirata verso di
sé e dove il destinatario diviene soggetto attivo; una
comunicazione in cui diviene fondamentale utilizzare nuovi
canali per raggiungere l’utente al fine di portare il brand alla
sua attenzione e consolidarlo nella sua mente.
Si cercherà di tracciare, quindi, un breve percorso tra i vecchi
e i nuovi mezzi pubblicitari utilizzati in rete, sottolineando che
in questo momento ogni tipo d’azienda, per riuscire ad
instaurare un rapporto di natura commerciale, deve indirizzare i
propri sforzi puntando a massimizzare la soddisfazione del
cliente potenziale.
Prima però (primo e secondo capitolo) mi soffermerò
sull’evoluzione che ha avuto il nuovo consumatore e il nuovo
marketing arrivando alla conclusione che l’unico media che
consente di soddisfare a pieno sia il nuovo consumatore che le
diverse strategie di marketing è Internet.
Per questo nel terzo capitolo, introdotto dal Cluetrein
Manifesto, focalizzerò la mia attenzione sul concetto che i
mercati sono conversazione e che tali conversazioni stanno
facendo nascere nuove forme d’organizzazioni sociali e un
nuovo scambio di conoscenze (le community, i blog).
Internet diviene, così, il luogo dove meglio si concretizza il
marketing relazionale, dove diviene fondamentale
massimizzare l’interattività in modo da stimolare la
partecipazione attiva dei visitatori del sito, spingendoli ad
intervenire e a mettersi in relazione con altri utenti o con il
personale dell’impresa. Interattività che, ormai, non è solo
un’animazione, non è solo un click sul link, ma è stabilire un
8
rapporto a due vie, di scambio tra parti. Significa trasmettere
un messaggio e ricevere un feedback, dare un’informazione ed
ottenerne in cambio un’altra, che permette alle aziende di far
percepire i propri prodotti al cliente non come una semplice
merce ma come esperienza emotiva.
E’questo, in fondo, quello che fanno gli advergame (quarto
capitolo e punto centrale del mio lavoro) che attraverso
l’interattività, ipnotizzano il consumatore, lo fidelizzano ed in
cambio ricevono informazioni; una strategia pubblicitaria,
quindi, non intrusiva, di tipo “pull” che unisce informazione
pubblicitaria, aspetto ludico e interattività.
Si cercherà di conoscere più a fondo, grazie, alle interviste
fatte a due aziende di primo piano nel panorama italiano,
questa nuova forma di pubblicità cercando di tracciare il suo
percorso nel mercato attuale e capire quale sarà il suo futuro
prossimo nel mercato on line.
Buona lettura!
Davide Erriques
9
1
IL NUOVO CONSUMATORE
La società dello spettacolo si era dimenticata dello
spettatore. Ora la farsa è finita, si spengono le luci, il
pubblico si sta alzando.
L’anima del commercio riuscirà mai a
reincarnarsi? E’ presto per dirlo. Vedo solo delle
ombre, fantasmi per il palcoscenico che si aggirano
per le platee. Ah, ma siete voi, cari pubblicitari!
State cercando di urlare ancora qualcosa
all’orecchio di chi si è addormentato nelle ultime
file, ma nessuno può sentirvi ormai, siete già morti.
Prendetela con filosofia. Valga l’invito come ultimo
stocco. E giunto in fin della licenza, io tocco.
BRUNO BALLARDINI
10
1. INTRODUZIONE
LA PUBBLICITA’ E’ MORTA?
“In un contesto ormai dominato dalle politiche del marketing
globale dei giganti della telecomunicazione, ai cui standard
tecnologici dovrà uniformarsi il mondo intero, l’unica chance
che ci rimane è quella di riportare tutto bruscamente alle
esigenze del singolo. Parliamo, quindi, di Mental Environment
Ecology (Ecologia dell’Ambiente Mentale), che per brevità è
chiamato ME Ecology e che può essere definita come l’insieme
di tutti quei principi che possono limitare gli effetti negativi dei
media sull’individuo, salvaguardando la sua indipendenza
cognitiva”
1
.
Queste sono le conclusioni tratte dal libro “La Morte della
Pubblicità” di Bruno Ballardini, “pubblicitario pentito”, che ci
fornisce alcuni strumenti per comprendere dall’interno i segreti
della comunicazione pubblicitaria e diventarne immune. La sua
tesi sostiene che la pubblicità appartenga all’era della
comunicazione mono-direzionale; concepita come un sistema
univoco (quello del consumo) che è destinato a morire per due
cause fondamentali: la sua immanente stupidità e l’avanzata dei
media interattivi.
Anche il geniale imprenditore marchigiano Antonio
Tombolini e l'ex capo dal marketing di Telecom Italia, Fulvio
Zendrini, sostengono che la pubblicità sia morta, ovvero, che le
strategie tradizionali di comunicazione delle imprese attraverso
gli spot televisivi e radiofonici, le inserzioni sui giornali e la
cartellonistica stradale avrebbero perso la loro efficacia nel far
vendere i prodotti delle aziende inserzioniste.
1
Bruno Ballardini, La morte della pubblicità. La stupidità nell’epoca della
sua riproducibilità tecnica, Castelvecchi Editore, Roma, 1994.
11
Effettivamente gli spot non funzionano più e le grandi
imprese hanno iniziato la fuga dalla televisione. Doveva
succedere: nella società della comunicazione in cui i cittadini
vengono bombardati senza sosta da immagini e suoni tutti tesi
a stimolarne gli acquisti, le persone ormai sature
d’informazioni non reagiscono più agli stimoli, se non a dosi
sempre più insistenti e per questo fastidiose
2
.
L’arroganza delle merci ci sommerge di così tanti segnali che
occupano ogni interstizio della nostra esistenza, che ormai non
percepiamo più. Complice tale sovraffollamento di messaggi, i
margini di memorizzazione e di ricordo delle campagne sono
diventati talmente bassi da rendere vani tutti gli sforzi
intrapresi in strategie di brand equite e brand awareness. Così
la sensazione della morte della pubblicità si diffonde
rapidamente cominciando ad agitare i sonni di creativi, art
director, ma anche dei marketing manager e imprenditori stessi.
Più che di morte della pubblicità, possiamo parlare di crisi del
modello tradizionale di comunicazione pubblicitaria, quella del
mass market, per intenderci, che è venuta fuori in tutta la sua
problematica a partire dagli anni ‘90
3
.
A contribuire al forte decremento dell’impatto advertising
classico sui rispettivi target concorrono una molteplicità di
fattori tra cui, oltre alla sua pervasività e ripetitività, l’avvento
dei nuovi media e la più generale disaffezione nei confronti dei
media di massa e generalisti
4
. A tale situazione, secondo
Ballardini, non hanno certamente giovato i pubblicitari italiani,
che per tutti gli anni d’oro della pubblicità (gli ’80, quelli dei
budget miliardari) si sono fossilizzati sulla comunicazione TV
diretta quale unica forma di comunicazione possibile. Oltre a
2
M.Pagliaro, La pubblicità muore, tratto da www.advertiser.it.
3
Pitteri D., Papakristo, Archeologia della pubblicità, Liguori, Napoli, 2003.
4
Bassat L., Livraghi G., Il nuovo libro della pubblicità, Il Sole 24 Ore,
Milano, 2005.
12
contribuire a creare quella pochezza e stupidità che ha
caratterizzato la pubblicità italiana di quegli anni, ciò non ha di
certo prodotto una sensibilità e mentalità pronte al
cambiamento e all’innovazione, come avviene invece nei paesi
culturalmente più avanzati.
Nonostante tutto, anche se integrata in un mix di strumenti, la
pubblicità resta, se non altro per la consistenza dei budget che
le vengono allocati, l’elemento principale di tale mix. Anche di
fronte all’apparente ripresa dalla crisi
5
, sono comunque emerse
e si stanno diffondendo rapidamente nuove forme di
comunicazione pubblicitaria.
Una comunicazione che si allontana sempre più dal
monologo e dalla narrazione delle proprietà vere o presunte del
prodotto, abbandona il sensazionalismo, gli stereotipi della
sensualità e delle classi sociali, per trasmettere messaggi
valoriali, per descrivere mondi e stili mentali slegati da
parametri socio-demografici e dal prodotto in sé.
Il business, infatti, si sta allontanando sempre più dalla sola
vendita per diventare la creazione di un legame profondo e
duraturo con il cliente, a cui si vendono, magari a rate, servizi e
accessori integrativi o alternativi al prodotto industriale o
classico. I servizi, che sono sempre stati venduti con la logica
5
Negli ambienti del marketing è ormai estremamente diffusa la storiella del
“venerdì nero della Marlboro”. Il 12 aprile del 1993, infatti, la Philip Morris
decise di ridurre del 20% il prezzo delle sigarette, così da tentare di
competere con i prodotti “non di marca” che stavano insediando il suo
mercato. Quella che fu solo un’operazione di pricing fu invece accolta da
più parti come la morte definitiva, oltre che del mitico Marlboro Man, della
pubblicità e del branding. Tali furono ansia e preoccupazione, che esse
raggiunsero anche gli ambienti finanziari di Wall Strett che, spostando le
considerazion apocalittiche e drammatiche di agenzie pubblicitarie e organi
di informazione, incapparono, probabilenta insieme alla New Economy, in
una delle bolle più clamorose del secolo. Cfr. Klein N., NO logo, Baldini &
Castaldi, Milano, 2000.
13
del “su misura”, ora vengono standardizzati e venduti “a
pacchetto”, si parla di mass-customization, per ridurre i costi e
contrarre i tempi.
Dal “more and more”degli anni ’80 al “more and better” dei
’90, sembra quindi che il nuovo millennio sia iniziato
all’insegna del “less is better”.
1.1 CAMBIARE PER NON MORIRE
A causa della crisi economica internazionale da un lato, e
delle mutate esigenze dei consumatori e dell’affermarsi di
nuovi trend dall’altro (la comunicazione e il marketing si
ritrovano in subbuglio, con il loro manager attoniti di fronte a
questi mercati schizofrenici e globali), le aziende si trovano a
dover rivedere le proprie strategie di comunicazione e business:
- più risultati con minor investimento.(questo è il diktat
dell’azionista o del top management, con cui bisogna fare i
conti per non trovarsi senza lavoro, o addirittura azienda).
- meno fumo negli occhi e più sostanza. (questo è ciò che
pretende il consumatore, pena l’abbandono definitivo della
marca; ormai è evidente a chiunque che le aziende stanno
avvicinandosi sempre più ai propri clienti.
Tutto ciò significa cambiare testa, prodotti, mezzi, obiettivi.
In un mercato dinamico, instabile, turbolento e per molti versi
completamente nuovo e inesplorato.
Ormai, infatti, il vecchio “ricerca, pianifica, esegui” è troppo
lento per la velocità con cui il consumatore cambia, quindi al
posto della politica del “push”, manda messaggi, spingi, è il
momento di applicare quella “pull”, chiama a te, attrai.
Connettersi direttamente al territorio, creare strategie
condivise, distribuire coerentemente la cultura della marca per
14
l’intero percorso, dall’organigramma dell’azienda al
posizionamento del prodotto
6
.
Il vero problema oggi non è più decidere quello che la
pubblicità fa del consumatore, ma capire quello che il
consumatore fa della pubblicità (ecco il passaggio dall’azienda
protagonista al consumatore protagonista
7
).
Il cliente non è più preda, ma cacciatore. Non è più visto
come un passante, ma come un consorte con cui instaurare una
relazione per tutta la vita.
Il focus non è più il prodotto ma il cliente. Si passa dalla
transazione alla relazione. Il vero valore dell’azienda non sono
i suoi asset e il suo portafoglio prodotti ma il suo portafoglio
clienti, inteso come aggregazione di singoli ordini ripetibili
nell’arco della vita. Per questo negli ultimi anni le imprese
hanno investito milioni di euro negli strumenti di CRM. Per
custodire, organizzare, gestire relazioni dirette, personali e
informate con chi ha già manifestato interesse per loro
8
.
Trucco, lustrini possono servire ad incantare per una notte, per
mesi, ma non per una vita. Bisogna coinvolgere, ascoltare e
rispondere al consumatore. Il vero marketer deve costruire un
rapporto fiduciario, reciprocamente vantaggioso, che lo porti a
soddisfare le esigenze dei singoli clienti dopo averne
conosciuto i bisogni e avergli proposto servizi ad hoc.
Alle aziende non gli resta, quindi, che andarselo a cercare, e
offrirgli qualcosa di sorprendente, che lo faccia pensare.
Bisogna, insomma, cambiare per non morire.
6
G.Ambrosio, Le nuove terre della pubblicità, Meltemi, Roma, 2005.
7
Basti pensare al claim di uno dei prodotti della più importante azienda di
cosmetici il quale diceva “Perché io valgo” e veniva pronunciato da attrici,
modelle e cantanti. Un anno dopo il claim è cambiato in “Perché voi
valete”. È una differenza non da poco che Letizia Casta dica alla
telespettatrice che è lei la star. Una differenza radicale. Il consumatore è il
protagonista, l’attrice una comparsa, non l’ opposto.
8
P.Greenberg, CRM, Apogeo, Roma, 2001.
15
1.2 IL NUOVO CONSUMATORE
Come descritto da Gianpaolo Fabris nel suo Il nuovo
consumatore: verso il post moderno
9
, le abitudini d’acquisto,
d’impiego del tempo libero e di viaggio, per gran parte della
popolazione occidentale, sono cambiate molto.
Oggi siamo tutti più esigenti, selettivi, autonomi, infedeli alla
marca e più disincantati di qualche anno fa. Oggi la qualità del
prodotto è data per scontata (tutte le aziende la assicurano, pena
l’esclusione dal mercato). Siamo sempre più pragmatici,
competenti e scaltri. I consumatori sono diventati implacabili e
molto più punitivi nei confronti di quelle aziende presuntuose
che non mostrano rispetto nei loro confronti.
“Il nuovo consumatore – il consumatore postmoderno – è
l’espressione di un individuo flessibile che ama procedere con
percorsi ondivaghi del gusto e delle scelte di consumo”
10
.
Il consumatore “post-moderno” è divenuto molto più
flessibile, sperimentatore, e le sue scelte di consumo sono
sempre più eterogenee (e spesso incoerenti). Per la strada, è
sempre più facile incontrare un “patito per la moda” indossare
una giacca di Versace su dei pantaloni acquistati al mercatino
dell’usato, come non farebbe scalpore vedere un “no-global”
mangiare da McDonalds o frequentare un Blockbuster. Il
consumatore contemporaneo sta letteralmente “riscrivendo il
nostro sapere sul consumo, ampliandone la dimensione di
linguaggio, di segno e di scambio sociale”
11
.
9
G.Fabris., Il nuovo consumatore: verso il post moderno, Franco Angeli,
Milano, 2003.
10
Fabris G., ibidem.
11
Vergetti M., Caccia al tesoro. Il consumatore tra lusso e hard discount,
ETAS, Milano, 2006.
11
Vergetti M., Caccia al tesoro. Il consumatore tra lusso e hard discount,
ETAS, Milano, 2006.
16
Sperimentatore più che mai, il nuovo consumatore è sempre
più edonista, continuamente in cerca di esperienze, di
sensazioni, di emozioni, più che di prodotti e di valori d’uso; e
tende a rapportarsi al consumo in termini “polisensuali”, entra
in relazione con i beni utilizzando tutti e “sei” i sensi, dando
molta importanza alla dimensione tattile e della prossemia.
Nel suo volume sopra citato, Fabris si aggiunge ad altri
sociologi e studiosi del consumo nel criticare aspramente
l’arretratezza che presentano le ricerche di mercato che, nella
gran parte dei casi (per fortuna, come vedremo a breve, non
tutti) non hanno saputo evolversi in relazione alle
contemporanee nuove dinamiche di consumo.
“Le ricerche di mercato sembrano ancora prigioniere di
un’usura terminologica e di un bagaglio concettuale e
metodologico ormai largamente anacronistico e che stenta a
rinnovarsi”.
Rimanendo aggrappati alle tradizionali metodologie di
indagini che poco riescono a vedere di questi consumatori
bambini, incoerenti, infedeli, asessuati e senza età, molte
imprese ed Istituti di ricerca continuano a concentrarsi più che
altro sul singolo atto di acquisto, rimanendo slegati dal suo
contesto sociale più ampio. Ma non è il momento questo per
approfondire tale problema e ad esso dedicheremo l’intera
parte terza del presente scritto.
Resta però ora da sottolineare che ogni singolo atto di
acquisto, oggi, anche quando sembra attuato d’istinto e senza
riflessione alcuna, si innesta, in realtà, in un quadro di rimandi
al sociale e agli altri prodotti talmente ampio, che solo
leggendo in profondità questi legami si potrà interpretare
correttamente il nuovo linguaggio del consumo in cui gli
acquisti rimangono ancora dei simboli e dei segni che
l’individuo utilizza per comunicare verso l’esterno di se stesso.
17
Certo gli acquisti sono ancora dei simboli, ma non più
simboli di status. Oggi diventa molto più opportuno parlare di
“style symbol e di contagio sociale di tipo orizzontale”.
“Le nuove tendenze del marketing: relazionale,
esperienziale, tribale, estetico, prendono avvio proprio da
questa realtà complessa e turbolenta e stabiliscono nuovi
codici di interpretazione e di lettura, dove il bisogno cede il
passo al desiderio, la funzionalità all’estetica, la fedeltà al
nomadismo, la serialità al “su misura”e lo shopping
funzionale allo shopping ludico
12
”.
Inoltre, questi fantasmatici “nuovi consumatori”, ormai saturi
di messaggi pubblicitari, hanno anche molto meno tempo per
fare acquisti. Con la crescente emancipazione che ha visto
sempre più donne lavorare fuori casa per molte ore al giorno, le
casalinghe sono diventate sempre più rare e conseguentemente,
il numero di soggetti che hanno molto tempo per fare acquisti è
diminuito enormemente. Di contro però è aumentato il reddito
discrezionale pro capite, per cui il consumo è aumentato (fatta
eccezione di brevi periodi di crisi dovuti alla temporanea
congiuntura economica), ma gli acquisti sono attuati in minor
tempo.
I dati di un’indagine della Demoscopia per il 2003 ci
mostrano come del totale degli intervistati sulle loro tendenze
di consumo (italiani adulti dai 14 ai 79 anni), il 32% dichiara di
non avere abbastanza spazio per collocare i propri acquisti, ed
il 50% dice di non avere tempo per godere dei beni comprati.
In sintesi, il nuovo consumatore reputa più difficile
consumare e non ritiene che gli acquisti possano farlo sentire
meglio. La quantità dei consumi quindi si è contratta
13
ma, al
tempo stesso, sono aumentati i consumi dei beni di lusso. Il
prezzo conta sempre di meno per questi consumatori
12
Goj M., L’altro marketing, Sperling&kupfer, Milano, 1993.
13
Dell’oste C., “Consumi ancora al palo”, 24’, 2006.
18
contemporanei che invece sono molto più attenti alla qualità ed
alla freschezza dei prodotti, alle garanzie ed ai prodotti etici
14
.
Del resto sono molto più informati e competenti al riguardo.
Grazie alla pubblicità, ma soprattutto ad Internet, al
passaparola, alle comunità, conoscono tutto ciò che gli può
essere utile a concludere un acquisto. A ciò va aggiunto che
buona parte dei produttori si è polarizzata fra “megabrand”
tuttofare e “nicchie super specializzate”, per cui, chiunque fra
tutte le aziende rimane fra i “produttori generici” e senza un
preciso posizionamento valoriale, è destinato a soccombere.
Sempre più retailer superbrand si sforzano di costruire
megapunti vendita che offrano sempre maggiori esperienze
legate al momento del consumo al fine di sviluppare relazioni
sempre più solide e durature con i clienti. Questi luoghi
esprimono il desiderio continuo di socialità tanto ricercata nella
società contemporanea (nonostante molti sostengano il
contrario). Si acquista in gruppo in determinati luoghi
riconoscibili e rappresentativi di un certo stile e di un certo
pensiero.
Ed il consumatore, invece, è sempre più avido, sempre meno
prevedibile, sempre più attento ai trend che arrivano spesso da
altre parti del mondo. Buona parte dei libri e degli articoli
scritti sul nuovo consumatore, però, lasciano intendere
un’immagine che, a parere di chi scrive, può far incorrere in un
grande malinteso: quello di scambiare il nuovo consumatore
per un impavido ed invincibile condottiero che piega le
“povere” aziende al suo volere. Questa immagine può essere
vera solo nei sogni. È vero che il consumatore, oggi, si è fatto
più attivo ed indipendente, ma ha pur sempre di fronte delle
aziende che stanno espandendo e fortificando sempre più le
loro mastodontiche fortezze, e che si stanno rimboccando le
14
Scaruffi P.,” Il nuovo potere del consumatore”, Zerouno di Novembre,
consultabile su www.zerounoweb.it.
19
maniche per adeguarsi ai tempi e ritornare a detenere maggiori
poteri.
1.3 PER CAPIRE I CONSUMI
Una delle tante categorizzazioni possibili del consumatore
postmoderno è basata, perciò, su tendenze sociali e stili di vita.
Sappiamo bene che uomo e donna, anziani e giovani hanno
caratteristiche di consumo e d’acquisto completamente
differenti: l’uomo predilige velocità e servizi, le donne
sono più attente all’ambiente e alla sicurezza, gli anziani
cercano assistenza e informazione, i giovani il prezzo basso e
la moda.
Sappiamo che in certe aree geografiche si consumano certi
prodotti e non altri, conosciamo pregi e difetti della
distribuzione, ma in realtà secondo alcuni responsabili
Marketing le aziende non sanno molto dei propri clienti, perché
quello che gli manca di conoscere è cosa pensano veramente, i
loro desideri, le loro aspettative, i loro interessi. In sintesi non
conoscono lo stile di vita a cui aspirano e i consumi che
vorrebbero attuare, elementi che permetterebbero alle aziende
di diventare il migliore amico di ciascuno di loro e di
accontentarlo con qualsiasi prodotto-desideri.
Proprio per questo negli USA e non solo, si stanno
affermando ricerche di mercato basate su metodologie creative
che analizzano i trend, gli stili, che portino dati di tipo
psicologico, più che socio-demografico.