4
2 INTRODUZIONE
2.1 INTERAZIONE TRA MICRORGANISMI E METALLI-METALLOIDI
Tra i 104 elementi della tavola periodica, 80 sono metalli, 17 sono non metalli, gli altri
sono semimetalli.
Le differenti proprietà chimiche tra metalli e non metalli sono essenzialmente legate al
diverso comportamento degli atomi nella formazione di legami. Per raggiungere un
livello energetico più stabile, i non metalli tendono ad attirare gli elettroni per saturare il
loro orbitale più esterno, i metalli, invece, tendono a perdere gli elettroni più esterni.
Da un lato, con l’aumentare del numero di elettroni di valenza diminuiscono le
caratteristiche metalliche ed aumentano quelle non metalliche; dall’altro lato, le
caratteristiche metalliche aumentano con l’aumentare del numero degli orbitali
elettronici. Quindi le caratteristiche degli elementi che si succedono nella Tavola
Periodica, si modificano gradualmente, dal momento che il numero di elettroni di
valenza si modifica da destra a sinistra e che il numero di orbitali elettronici aumenta
dall’alto verso il basso. La maggior parte degli elementi della Tavola Periodica sono
chiaramente metalli o non metalli, ma alcuni, quali boro, silicio, germanio, arsenico,
selenio, antimonio e tellurio, mostrano caratteristiche di entrambi i gruppi.
I metalli sono presenti nell’ambiente in diversi stati chimici e forme fisiche, che ne
condizionano la solubilità e la biodisponibilità per gli organismi.
L’interazione tra microrganismi e metalli è dovuta all’attività di enzimi microbici, o alla
reattività chimica di alcuni metaboliti cellulari, o a meccanismi fisico-chimici che
interessano la parete cellulare.
L’attività dei microrganismi può modificare la valenza o la forma chimica dei metalli,
determinando variazioni nella solubilità o nella tossicità di questi elementi. La solubilità
dei metalli è influenzata anche da altri fattori, quali il pH e la presenza di ossigeno.
I metalli possono essere distinti in diversi gruppi in base agi effetti che esercitano sui
microrganismi. Alcuni, tra i quali Na, K, Mg, Ca, Mn, Fe, Co, Zn, Mo, Cu, Se, sono
elementi essenziali per la vita delle cellule e diventano tossici solo ad elevate
5
concentrazioni; altri per i quali non sono note funzioni essenziali, come Al, Ag, Cd, Sn,
Au, Bi, Hg, Tl, Pb, As, sono tossici anche a basse concentrazioni (Fig. 2.1).
Fig. 2.1. diagramma rappresentativo della relazione tra concentrazione ed effetto sui
microrganismi degli ioni metallici essenziali e non (Gadd, 1992).
Ottimale
Metallo
essenziale
Metallo
non essenziale
Limitante
B
e
n
e
f
i
c
o
T
o
s
s
i
c
o
E
f
f
e
t
t
o
s
u
i
m
i
c
r
o
r
g
a
n
i
s
m
i
[ M
n+
]
6
La tossicità di un metallo non dipende soltanto dalla sua concentrazione: altri fattori,
come potenziale redox, pH, presenza di altri cationi e anioni, di sostanze colloidali,
possono concorrere alla riduzione della tossicità diminuendo così la biodisponibilità del
metallo.
I microrganismi possono interagire con metalli e metalloidi in modi diversi, a seconda
che essi siano utili o dannosi per i microrganismi stessi. In particolare, per quanto
riguarda gli elementi tossici, i microrganismi hanno sviluppato vari meccanismi di
resistenza, diversi per i metalli ed i metalloidi, che mirano essenzialmente ad eliminarli
dal mezzo in cui si trovano disciolti.
I microrganismi possono eliminare i metalli dal mezzo facendoli aderire alla parete
cellulare per adsorbimento superficiale, processo favorito dalla presenza delle cariche
negative di parete, o per scambio ionico. Questi meccanismi, essendo essenzialmente
processi fisico-chimici, possono interessare sia biomasse vive che morte, (White et al.
1995).
Altri meccanismi di resistenza, invece, sono metabolismo-dipendenti e sono attivi nelle
biomasse vitali. Essi sono:
– precipitazione dei metalli come solfuri: i microrganismi solfato- e solfito- riduttori
producono H
2
S, che reagisce con i metalli presenti nel mezzo, formando solfuri che
precipitano perché poco solubili;
– complessazione da parte di siderofori: i siderofori sono composti a basso peso
molecolare in grado di legare Fe (III), che vengono escreti dai microrganismi, in
carenza di ferro, per favorire l’accumulo di questo metallo dall’ambiente. Sebbene
teoricamente specifici per il Fe (III), i siderofori sono in grado di complessare altri
metalli, come per esempio Ga (III), Cr (III), Sc, In, Ni, U e Th (Premuzic et al.,
1985; Hausinger, 1987; Macaskie e Dean, 1990);
– complessazione da parte di componenti della parete cellulare: i polimeri esocellulari,
che costituiscono la capsula, formati da polisaccaridi, glicoproteine e
lipopolisaccaridi, spesso associati a proteine, sono in grado di complessare i metalli
(Geesey e Jang, 1990). Le melanine sono pigmenti fungini che aumentano la
7
capacità di sopravvivenza in situazioni di stress ambientale (Bell e Wheeler, 1986).
Le melanine sono localizzate nella parete cellulare o fuori da essa, dove appaiono
come granuli; esse contengono unità fenoliche, peptidi, carboidrati, idrocarburi
alifatici ed acidi grassi che possiedono numerosi siti di legame per i metalli (Senesi
et al.,1987; Sagaguchi e Nakajimo,1987). Numerosi metalli pesanti sono in grado di
indurre o accelerare la produzione di melanine da parte dei funghi e le forme
melanizzate delle cellule, come le clamidospore, possono avere elevata capacità di
legare i metalli ed i composti organometallici (Mowll e Gadd, 1984; Senesi et al.,
1987; Gadd e de Rome, 1988; Gadd et al., 1990);
– sequestro da parte di proteine e peptidi: alcune proteine hanno la funzione di legare
metalli e sono indotte dalla loro presenza. Per esempio le metallotioneine sono
piccoli polipeptidi ricchi di cisteina, ritrovati in funghi e lieviti, in grado di legare
sia metalli essenziali, come rame e zinco, sia non essenziali come cadmio (Fogel et
al., 1988; Mehra e Winge, 1991). Le fitochelatine sono un’altra classe di corti
polipeptidi che sono coinvolti nella detossificazione di metalli pesanti in alghe,
piante e alcuni funghi e lieviti (Mehra e Winge, 1991; Gadd, 1993a);
– trasporto all’interno della cellula: i metalli possono entrare nelle cellule microbiche
sia per diffusione sia per trasporto attivo. Una volta entrati, possono essere
compartimentati e quindi formare dei granuli all’interno della cellula, oppure essere
nuovamente escreti attraverso meccanismi di trasporto attivo (efflusso);
– detossificazione mediante modificazione chimica del metallo: molti microrganismi
hanno sviluppato un meccanismo di resistenza al mercurio, grazie al quale essi sono
in grado di ridurre lo ione Hg
2+
a mercurio elementare, che è volatile e quindi si
allontana dal mezzo colturale. Questo processo inizia con l’ingresso dello ione nella
cellula, grazie a proteine periplasmatiche di membrana che lo legano senza che esso
possa venire a contatto con strutture della cellula. Nel citoplasma Hg
2+
viene ridotto
a Hg
0
da un enzima NADPH-dipendente, la mercurico reduttasi. Il mercurio ridotto
volatilizza dalla cellula (Tobin et al.,1990; Rouch et al., 1995).
8
Un ceppo di Enterobacter cloacae è in grado di ridurre il Cr(VI) a Cr(III),
utilizzandolo come accettore finale di elettroni in condizioni anaerobiche (Wang et
al., 1989). Anche un ceppo di Escherichia coli è in grado di compiere la stessa
trasformazione, ma apparentemente usa il Cr(VI) come accettore finale di elettroni
sia in condizioni anaerobiche, sia in condizioni aerobie (Shen e Wang, 1993).
I microrganismi sono in grado di detossificare i metalloidi attraverso due meccanismi:
– riduzione degli ossianioni: la capacità di ridurre selenato e selenito fino alla
formazione di selenio elementare, è stata descritta per molti microrganismi.
Wolinella succinogenes è in grado di ridurre selenato e selenito a selenio
elementare, solo durante la fase stazionaria di crescita (Tomei et al., 1992).
All’interno di queste cellule sono stati trovati granuli microscopici formati da
selenio. Granuli dello stesso tipo sono stati ritrovati anche all’interno e all’esterno
delle cellule di Pseudomonas maltophila O-2 (Blake et al., 1993). La riduzione del
selenito è inibita dall’aggiunta di un inibitore della biosintesi di glutatione; ciò ha
suggerito che il glutatione fosse coinvolto nella reazione di riduzione. Alcuni batteri
isolati da sedimenti anossici sono in grado di ossidare l’acetato, con contemporanea
riduzione del selenato a selenio elementare, meccanismo per il quale è stata proposta
la seguente reazione:
4 CH
3
COO
-
+ 3 SeO
4
2-
→ 3 Se
0
+ 8 CO
2
+ 4 H
2
O + 4 H
+
.
Non è chiaro se questa reazione avvenga in un singolo passaggio o se avvenga con
la formazione intermedia di selenito (Oremland et al., 1989).
Generalmente si ritiene che il selenato funga da accettore di elettroni nelle reazioni
che forniscono energia alla cellula e che la riduzione del selenito non sia necessaria
per la crescita, ma che sia soltanto un meccanismo di detossificazione (Lovely,
1993). Il selenio ridotto si può ritrovare come precipitato rosso, sia all’interno sia
all’esterno della cellula.
Anche la riduzione di tellurito a tellurio elementare sembrerebbe essere un
meccanismo di detossificazione, descritto per alcuni microrganismi, come
Pseudomonas maltophila O-2 (Blake et al., 1993) e Rhodobacter spheroides (Moore
9
e Kaplan, 1992, 1994). Anche il tellurio ridotto viene depositato in granuli dentro o
fuori dalle cellule.
– metilazione: le specie batteriche per le quali è nota la capacità di produrre metil-
derivati del selenio a partire da selenito e selenato comprendono Aeromonas sp.
(Chau et al., 1976), Bacillus sp. (Razak et al., 1990) e Pseudomonas sp. (Chasteen
et al., 1990). Il dimetilseleniuro [(CH
3
)
2
Se] è il composto metilato più comune. Tra i
funghi, Alternaria alternata è in grado di metilare i composti inorganici del selenio
(selenito e selenato) più rapidamente di quelli organici (come i selenoaminoacidi)
(Thompson-Eagle et al., 1989).
Il meccanismo di metilazione del selenio sembra coinvolgere il trasferimento di
gruppi metilici CH
3
+
, attraverso il sistema S-adenosilmetionina (Gadd, 1993b).
Alcune specie batteriche e fungine sono in grado di metilare i composti dell’arsenico
(Tamaki e Frankenberger, 1992). I metil-derivati dell’arsenico sono meno tossici
verso i batteri rispetto alle forme organiche.
Il meccanismo di metilazione anaerobia dell’arsenato da parte di Methanobacterium
sp. comprende la riduzione ad arsenito, che viene poi metilato ad acido
metilarsonico, ad acido dimetilarsenico ed infine a dimetilarsina. Sembra che la
vitamina B
12
funga da donatore di gruppi metilici (McBride e Wolfe, 1971).
In condizioni aerobiche la metilazione dei composti dell’arsenico da parte dei funghi
potrebbe coinvolgere il sistema S-adenosilmetionina (Gadd, 1993b).
10
2.2 IL SELENIO
Il selenio, pur essendo solitamente indicato nelle tabelle nutrizionali come metallo, è in
realtà un semimetallo o metalloide.
Il selenio mostra diversi stati ossidativi: +6 nei selenati (HSeO
4
-
, SeO
4
2-
) ed acido
selenico (H
2
SeO
4
), +4 nei seleniti (HSeO
3
-
, SeO
3
2-
) ed acido selenoso (H
2
SeO
3
), 0 nel
selenio elementare, e –2 nei seleniuri (Se
2-
, HSe
-
), idrogeno seleniuro (H
2
Se), e seleniuri
organici (R
2
Se) (Milne, 1998).
Fino a pochi decenni fa il selenio era considerato solo come elemento tossico; oggi gli
viene riconosciuta anche una funzione essenziale per gli organismi viventi.
Questa sua funzione è stata evidenziata per la prima volta in uno studio di Schwarz e
Foltz (1957), che ha dimostrato che il selenio svolgeva un ruolo importante nella
prevenzione della degenerazione necrotica del fegato in ratti, quando veniva incluso
nella loro dieta.
2.2.1 Selenoproteine
Quasi tutto il selenio introdotto nell’organismo viene incorporato nelle proteine.
Esistono diversi tipi di proteine contenenti selenio, ma sembra che questo elemento sia
introdotto in modo specifico solo in un tipo di proteine, nelle quali l’ingresso della
selenocisteina è determinato dalla presenza, nel DNA del codone specifico TGA (Burk
e Hill, 1993). Queste proteine, contenenti selenocisteina, sono denominate
selenoproteine, per differenziarle da altre proteine contenenti selenio, nelle quali i
selenoaminoacidi sono introdotti in modo aspecifico.
Gli animali non sono apparentemente in grado di distinguere tra metionina e
selenometionina, perciò entrambi questi aminoacidi sono incorporati nelle proteine
attraverso gli stessi processi enzimatici. La quantità relativa con cui i due aminoacidi
vengono introdotti nelle proteine dipende dalla proporzione esistente tra loro nella dieta
(Waschulewski e Sunde, 1988). Queste proteine contenenti selenio non hanno
apparentemente nessuna funzione biologica (Reilly, 1996).
Le selenoproteine, invece hanno attività enzimatica e la loro sintesi è strettamente
dipendente dalla quantità di selenio presente. Esse contengono la selenocisteina nei loro
11
siti attivi e, se viene sostituita dal suo analogo solforato, cisteina, l’attività dell’enzima è
fortemente ridotta (Rocher et al., 1992). Due esempi importanti di selenoenzimi sono la
glutatione perossidasi e la 5’-iodotironina deiodinasi di tipo I.
2.2.1.1 Glutatione perossidasi (GPX)
La GPX non è un singolo enzima, ma esistono diverse forme di glutatione perossidasi.
Le GPX reagiscono con l’H
2
O
2
o con gli idroperossidi organici, inattivandoli.
Il sito attivo dell’enzima è costituito dal selenio presente nella selenocisteina. Questo si
trova in forma di selenolo ionizzato, che reagisce con i perossidi, ossidandosi. Il selenio
è poi riconvertito a selenolo dal glutatione, che funge da riserva di equivalenti riducenti.
La GPX è quindi un antiossidante, la cui funzione è rimuovere i perossidi tossici che si
formano nel corso della crescita e durante il metabolismo aerobio.
La glutatione perossidasi citosolica (cGPX) è formata da quattro subunità, ognuna delle
quali contiene un residuo di selenocisteina. E’ presente negli eritrociti, dove protegge
l’emoglobina dall’ossidazione provocata dall’H
2
O
2
. E’ in grado di reagire anche con gli
idroperossidi liberi, inclusi quelli prodotti dall’attività della fosfolipasi sugli acidi grassi
a lunga catena; non è in grado di reagire con gli idroperossidi degli acidi grassi
esterificati nei fosfolipidi, come quelli che si formano nelle membrane cellulari
sottoposte a stress ossidativo.
Esiste anche una glutatione perossidasi extracellulare (eGPX), anch’essa tetramerica. Si
tratta di una glicoproteina, sintetizzata nei reni e non nel fegato, con le stesse funzioni
antiossidanti della cGPX.
La fosfolipide idroperossido glutatione perossidasi (PGPX) è un monomero che
contiene un residuo di selenocisteina, con struttura simile a quella di una singola
subunità di cGPX. E’ in grado di reagire con gli idroperossidi degli acidi grassi
esterificati nei fosfolipidi. E’ più resistente agli effetti della carenza di selenio rispetto
alle altre GPX: ciò suggerisce che abbia una funzione antiossidante più importante
rispetto alle altre.
E’ stato suggerito che la maggior interazione nutrizionale tra vitamina E e selenio
potrebbe essere la protezione da parte della GPX e della vitamina delle membrane
cellulari contro la perossidazione.
12
2.2.1.2 5’-iodotironina deiodinasi di tipo I (IDI)
La funzione di questo enzima è quella di trasformare il pro - ormone tiroideo tiroxina
(T
4
) nella forma attiva triiodotironina (T
3
). In realtà anche la tiroxina ha attività
ormonale, anche se minore rispetto alla triiodotironina. Quest’ultima viene sintetizzata
in quantità maggiori e si suppone che sia una forma di riserva trasformabile in T
3
in
caso di necessità.
Gli ormoni tiroidei esplicano diverse funzioni: stimolano il metabolismo generale dei
tessuti, aumentando il consumo di ossigeno; partecipano al mantenimento della
temperatura corporea; regolano lo sviluppo del sistema nervoso; facilitano
l’assorbimento intestinale dei glucidi e tendono ad elevare la glicemia; facilitano la
conversione del β-carotene in vitamina A.
L’enzima IDI è una selenoproteina e la carenza di selenio inibisce la sua attività,
aumentando i livelli di T
4
nel plasma e riducendo quelli di T
3
.
2.2.2 Il selenio nell’ambiente
L’ambiente rappresenta la principale fonte di approvvigionamento di tutto il selenio
assunto con i cibi.
Il selenio è un elemento molto diffuso, anche se la sua distribuzione nel mondo non è
uniforme: la sua concentrazione nei suoli varia da meno di 0,1µg/g in alcune aree a più
di 1mg/g in altre; eccetto alcune zone molto carenti ed altre molto ricche in selenio, la
maggior parte dei suoli contengono tra 1,0µg/g e 1,5µg/g (Berrow et al., 1989).
La quantità di selenio presente in un suolo è determinata essenzialmente da fattori
geochimici, in particolare la natura della roccia madre. Mentre le rocce fortemente
silicee, come il granito, danno origine a suoli con poco selenio, il carbone e lo scisto
contengono elevati livelli dell’elemento (Thornton et al., 1983). L’elevata piovosità
può provocare una notevole riduzione del contenuto di selenio, a causa del
percolamento dell'elemento, quando è presente in forme solubili (Berrow et al., 1989).
La quantità di selenio presente in un suolo e soprattutto la sua disponibilità, dipendente
essenzialmente dalla forma chimica in cui è presente, influenzano l’accumulo
dell’elemento da parte delle piante (Olson et al., 1967).
13
Il selenio elementare è moderatamente stabile nei suoli e quindi non prontamente
biodisponibile per le piante. Il seleniuro è molto insolubile, sebbene l’azione degli
agenti atmosferici possa trasformarlo in forme più solubili. Il selenito rappresenta la
fonte di selenio più importante per le piante (Geering et al., 1968). Il pH ed il potenziale
redox del suolo influenzano la sua solubilità: in condizioni acide, il selenito tende a
legarsi fortemente alle particelle di argilla ed ai complessi del ferro, riducendo così la
sua disponibilità. La formazione di selenato solubile a partire da selenito o da altre
forme di selenio è favorita da condizioni alcaline (Reilly, 1996). Nelle regioni selenifere
del South Dakota, in cui le piogge sono piuttosto scarse, il selenato che si accumula nei
suoli fortemente alcalini, essendo debolmente adsorbito dai colloidi del suolo è
prontamente disponibile per l’assorbimento da parte delle piante (Gupta e Watkinson,
1985). In questo modo, in alcune piante “accumulatrici”, il selenio può raggiungere
livelli tossici e provocare una malattia del bestiame.
In regioni più umide, come la Nuova Zelanda o alcune zone dell’Australia, le
abbondanti piogge possono eliminare dal terreno il selenato solubile, rendendo queste
zone molto povere di selenio (Reilly, 1996).
L’inquinamento da selenio è poco comune, ma elevate quantità di questo elemento
possono essere scaricate nell’ambiente a causa di alcune attività industriali, come
descritto nel rapporto sul selenio dell’OMS del 1987. Questo può avvenire, per esempio,
nel caso dell’estrazione e della raffinazione di alcuni metalli, come rame, nichel, zinco, i
cui minerali sono spesso associati al selenio. La raffinazione e la purificazione del
selenio stesso, sia dai minerali, sia da scarti, e l’uso dell’elemento in diverse
applicazioni industriali, sono anch’esse potenziali cause di inquinamento. Si ha rilascio
di selenio anche quando vengono bruciati combustibili fossili, in particolare il carbone,
e durante l’incenerimento dei rifiuti domestici ed industriali. La presenza di eccessive
quantità di selenio nelle acque superficiali e profonde, può essere dovuta anche alla
concimazione superficiale dei campi con materiale organico ricco dell’elemento o
dall’uso eccessivo di fertilizzanti arricchiti.
14
2.2.3 Il selenio negli alimenti
Le piante sono in grado di assorbire il selenio e di accumularlo nei loro tessuti, anche
se questo elemento non è essenziale per la loro crescita. E’ grazie a questa capacità che
il selenio arriva nei cibi che consumiamo (Reilly, 1996).
Il livello di accumulo, e di conseguenza la capacità di una pianta alimentare di
soddisfare le esigenze nutrizionali per il selenio degli animali che la consumano,
normalmente riflette la quantità di elemento presente nel suolo su cui è cresciuta. In
agricoltura vengono usati vari metodi per aumentare la quantità di selenio disponibile
per le piante, come l’utilizzo di fertilizzanti arricchiti con l’elemento o la concimazione
superficiale. Il fine di questi trattamenti è aumentare la disponibilità di selenio per gli
animali e per gli uomini e non quello di favorire la crescita delle piante (Oldfield, 1992)
Per gli animali la fonte principale di selenio è rappresentata dal foraggio che
consumano: se il cibo non contiene dosi sufficienti dell’elemento, gli animali
presenteranno malattie da carenza di selenio. Per aumentare l’apporto di selenio per gli
animali alimentati con foraggi poveri vengono utilizzati degli integratori (Reilly, 1996).
Queste considerazioni possono spiegare le notevoli differenze tra le concentrazioni di
selenio anche all’interno dei singoli gruppi di alimenti (Reilly, 1996).
I più ricchi sono i cereali ed il gruppo carne, pesce e uova (Tab. 2.1.).
Tab. 2.1. Contenuto di selenio dei diversi gruppi di alimenti (Reilly, 1993).
Gruppo di alimenti
Selenio (µg/g peso umido)
Cereali e derivati
Carne, pesce e uova
Latte e derivati
Frutta e vegetali
0.01-0.55
0.01-0.36
<0.001-0.17
<0.01-0.022
15
La conoscenza del contenuto totale di selenio di un alimento non è indicativa della sua
efficacia fisiologica quando viene consumato: è importante, quindi valutare la
biodisponibilità dell’elemento. La solubilità di un elemento, in accordo con Clydesdale
(1989), è la chiave della sua biodisponibilità, anche se non tutte le forme solubili sono
biodisponibili.
Il selenio nella dieta si trova essenzialmente nella forma di selenoaminoacidi nei cibi,
ma può anche essere consumato, nella forma di selenito o selenato negli integratori.
Entrambe le forme inorganiche dell’elemento sono solubili e sembrano essere ben
assorbite dagli uomini e dagli animali monogastrici. Nei ruminanti non sono ben
assorbiti, probabilmente perché vengono ridotti a forme meno solubili, come i seleniuri,
dalla microflora del rumine, dall’acido ascorbico e da altri agenti riducenti (Reilly,
1996).
Anche l’interazione con alcuni metalli pesanti nei cibi può ridurre l’assorbimento del
selenio, e quindi la sua biodisponibilità, a causa della formazione di alcuni complessi
insolubili. Ciò può avvenire ad esempio nei pesci ed in altri alimenti di origine marina
dove il selenio si trova legato al mercurio (Reilly, 1996).
Il selenio è un elemento essenziale per l’organismo umano, ma tossico ad elevate
concentrazioni. Per questi motivi non è stato semplice identificare la corretta quantità di
selenio da assumere giornalmente con la dieta.
I nutrizionisti hanno valutato che la dose giornaliera raccomandata (LARN) di selenio è
di 55 µg per gli adulti, con valori più bassi per i bambini (Tab. 2.2).
16
Tab. 2. Dosi giornaliere raccomandate (LARN) per il selenio (Società Italiana di
Nutrizione Umana,1996).
Gruppo
LARN (µg/die)
0,5-1 anni
1-3 anni
4-6 anni
7-10 anni
11-14 anni
15-17 anni
>18 anni
Nutrici
8
10
15
25
35
45
55
70
2.2.4 Metabolismo del selenio
Il selenio introdotto con gli alimenti viene in parte assorbito attraverso la parete
intestinale ed in parte escreto nelle feci. La frazione assorbita viene trasportata nel
sangue legata a proteine e raggiunge vari organi e tessuti. Il selenio è incorporato in una
serie di selenoenzimi ed in altre proteine contenenti selenio, che non hanno una
funzione precisa se non quella di rappresentare, forse, una riserva dell’elemento. Il
selenio viene poi eliminato dall’organismo soprattutto attraverso le urine (Linder,
1988).
Questi meccanismi sono schematizzati in figura 2.2.
17
Se nella dieta Feci (20-50%)
Fig. 2.2. Trasporto ed assorbimento del selenio nel tratto gastrointestinale (Reilly,
1996).
Tessuti molto
concentrati
Fegato
Reni
Cuore
ecc.
Globuli rossi
Plasma
50-80%
Mucosa intestinale
L’assorbimento del selenio avviene soprattutto nel duodeno, intestino cieco e colon.
Tutte le forme sono prontamente assorbite (Pyykkö et al., 1988), ma il selenio
somministrato in forma organica (come selenometionina) è assorbito in modo più
efficiente rispetto a quello somministrato in forma inorganica (come sodio selenito);
infatti la selenometionina è assorbita per il 90%, mentre il sodio selenito è assorbito per
il 60% (Stewart et al., 1987).
Il trasporto delle forme inorganiche di selenio attraverso la parete intestinale è un
processo passivo, quindi fortemente dipendente dalla concentrazione, e sia selenato sia
selenito competono con i composti inorganici dello zolfo (Pyykkö et al., 1988).
L’assorbimento di selenometionina e selenocisteina è un processo attivo, che interessa
lo stesso sistema usato per l’assorbimento di metionina e cisteina (McConnel e Cho,
1965).
Selenoproteine
Selenoaminoacidi
GSH e altri
selenoenzimi
Urine