2
probabilmente, fu proprio la domanda crescente di beni di consumo
sia alimentari che durevoli ad incentivare il miglioramento delle
tecniche di produzione. L’espansione della domanda di alcuni prodotti
avvenne a partire dal vertice della società e coinvolse per prime le
aristocrazie cittadine delle maggiori città europee.
Questo studio ha tentato di muoversi su un doppio binario. Da
una parte si è cercato di analizzare in quale misura il consumo degli
aristocratici fosse motivato da una pregressa cultura delle apparenze;
in altri momenti, invece, il medesimo è stato motivato dalla nuova
necessità di comfort.
Alcuni saggi sull’argomento hanno esaltato, quasi
esclusivamente, lo sfarzo e lo spreco dei consumi aristocratici,
sottovalutando un potenziale circolo virtuoso che essi andavano
innescando nei diversi settori della produzione. Anche questa ricerca,
in alcuni punti, sottolinea come l’esigenza di mostrare la propria
ricchezza e la posizione sociale si manifestasse in numerose occasioni.
La prima difficoltà nasceva, quindi, dal definire l’universo cui la
nostra ricerca era rivolta. Per famiglia, infatti, qui si intende non solo
quella estesa, in cui convivevano nuclei diversi di consanguinei, ma
l’assai più complesso universo della famiglia allargata, stabilmente o
temporaneamente, rinchiusa “sotto lo stesso tetto”. Quest’ultima era
un organismo disomogeneo entro cui vivevano diverse categorie
sociali: nobili, servitori e professionisti – computisti, gentiluomini,
2
Vedi: F. Braudel, Civiltà materiale, economia e capitalismo. Le strutture del quotidiano (secoli
XV-XVIII), Einaudi, Torino, 1993
2
; D. Roche, Storia delle cose banali. La nascita del consumo in
Occidente, Editori Riuniti, Roma, 1999.
3
segretari – figure vicine al modello borghese. La linea rossa, che
percorre l’intero studio, tenta di seguire il consumo dei nobili e quello
dei salariati.
Inizialmente si è definita la composizione del paniere di spesa
degli Sforza Cesarini, stabilendo quali fossero i capitoli che
assorbivano le spese maggiori del consumo privato. Abbiamo quindi
individuato le sfere di interesse, partendo dalla domanda di beni
alimentari delle diverse tipologie sociali presenti nella famiglia.
E’ l’alimentazione comunque il nodo centrale. Ad essa è dedicato
il secondo capitolo, in cui attraverso l’analisi microanalitica
dell’alimentazione di un anno, il 1728, si sono potute fare delle stime
quantitative sul consumo di pane, carne e pesce. La fonte così
dettagliata tuttavia costringeva a superare il limite di uno studio
economico in senso stretto. Allora abbiamo provato a giustificare la
stagionalità di alcuni alimenti, con l’aiuto della bibliografia
sull’argomento, non vastissima, tuttavia molto recente. Nel tentativo
di suffragare o smontare la tesi secondo cui la qualità
dell’alimentazione dei nobili fosse migliore di quella degli altri ceti, è
stato indagato anche il consumo alimentare dei servitori. La differenza
da un lato si è mostrata nella diversa qualità degli alimenti alle diverse
tavole, riscontrando anche una stagionalità differente tra la tavola dei
salariati e quella dei padroni. Inoltre la tesi sostenuta da un gran
numero di studiosi, secondo cui la dieta dei ceti meno abbienti era
prettamente glucidica, viene smentita dal caso della “famiglia” Sforza
Cesarini. Quindi si può affermare che almeno in città esisteva una
4
categoria “protetta”, quella dei domestici, che accedeva
quotidianamente al consumo proteico.
Le fonti hanno permesso di spingere l’osservazione a mondi
“speciali” ed isolati. E’ questo il caso delle balie, che ha attratto un
interesse specifico nato anche dalle suggestioni storiografiche fornite
da recenti studi sulla condizione femminile e la maternità durante
l’epoca moderna. L’alimentazione delle balie di casa Sforza Cesarini è
stata analizzata in dettaglio riuscendo a mettere in luce come non
sussistesse per quelle alcuna regola alimentare vincolata dalla
religione. Per questa categoria vigevano regole alimentari proprie
motivate dalla loro particolare condizione di nutrici. In questa ottica il
consumo non è stato solo quantificato ma si è tentato di connettere la
dimensione quantitativa a quella qualitativa con il fine di rintracciare
le motivazioni culturali su cui si basavano alcuni consumi alimentari.
L’analisi dell’incidenza del vitto nel paniere di spesa degli Sforza
Cesarini ha ricordato che, per quanto la tavola e l’alimentazione
potessero giocare un ruolo fondamentale nelle dinamiche sociali e
familiari, altri erano i consumi che incidevano nel bilancio della
famiglia. Alcuni storici, come Paolo Malanima e Maria Antonietta
Visceglia, nei loro saggi sull’argomento, hanno classificato queste
spese come improduttive, foriere di gravi indebitamenti e dissesti
finanziari
3
. Questa analisi è stata accolta tenendo a mente comunque
che quelle cosiddette spese improduttive andavano a corroborare la
3
I saggi citati sono: P. Malanima, I Riccardi di Firenze. Una famiglia e un patrimonio nella
Toscana dei Medici, Olschki editore, Firenze, 1977; M. A. Visceglia, I consumi in Italia in Età
moderna, in Storia dell’economia italiana. II. L’Età moderna: verso la crisi, a cura di Romano,
Einaudi, Torino, 1991.
5
produzione detta di “lusso”, fondamentale per tenere in vita un
mercato non troppo dinamico.
Il punto di partenza e il centro della nostra indagine, per l’analisi
di questi consumi, è stato il palazzo di Roma, situato in Via dei
Banchi Vecchi. Le fonti sono state il viatico di un itinerario puntuale
che ci ha guidato dall’esterno all’interno del palazzo, facendo da
cornice al terzo capitolo. Abbiamo dapprima indagato quanto
incidessero i lavori di ristrutturazione e manutenzione dei palazzi.
Successivamente, fonte fondamentale per questa ricerca si è
dimostrato l’inventario post mortem di Filippo Sforza Cesarini. Sono
questi inventari che ci permettono di riempire di suppellettili e oggetti
le stanze dei palazzi di antico regime. A volte dall’analisi degli arredi
si sono scorti cambiamenti di gusti e mode nel tentativo di coniugare il
consumo e la vita quotidiana. Allo stesso modo è stata confermata la
tendenza in questo secolo a separare maggiormente gli spazi per
preservare una propria intimità. Quindi, in questa luce, l’acquisto di
arredi o i lavori di ristrutturazione non sono stati analizzati cogliendo
solo motivazioni indotte dall’appartenenza sociale ad un gruppo, si è
cercato invece di rintracciare nuove esigenze individuali, legate a
concetti come la privacy e il comfort.
In questa doppia ottica, che spostava l’obiettivo dalla necessità di
compiere spese necessarie al prestigio della famiglia a quella di
soddisfare gusti ed esigenze individuali, si sono poi analizzati gli altri
capitoli di spesa: l’illuminazione, il riscaldamento e il trasporto.
6
Dapprima si è tentata una definizione tipologica dei mezzi per
illuminare e riscaldare più usati all’interno di questi enormi edifici che
erano i palazzi gentilizi. In seguito si è anche posta l’attenzione sul
loro mercato di provenienza, stabilendo che il legname e il carbone
vegetale – usati sia per riscaldare che per cucinare – erano prodotti
delle tenute possedute dalla famiglia. Si è sottolineato, quindi, il ruolo
dell’autoconsumo e la pratica diffusa di effettuare pagamenti in natura
per ovviare alla mancanza di denaro liquido. La cera e l’olio, che
servivano per illuminare, invece, erano acquistati sul mercato romano.
Il trasporto, inoltre, nei bilanci delle famiglie nobili copriva una
buona parte delle spese nel bilancio generale. Su queste somme
gravavano i continui lavori di manutenzione alle carrozze e le spese
per l’alimentazione dei cavalli. Questo tipo di consumo ci ha posti
dinanzi ad una sintesi dei diversi approcci utilizzati in questa ricerca.
Da una parte infatti il trasporto per le classi agiate rappresentava una
necessità, dall’altra poteva essere classificato all’interno dei consumi
d’élite, poiché il numero dei cavalli e la ricchezza delle carrozze erano
una delle dimostrazioni più evidenti del potere e dell’opulenza di un
lignaggio.
L’itinerario stabilito ci ha condotti poi a sbirciare all’interno
degli armadi del palazzo. L’abbigliamento ha richiesto un’analisi più
lunga, poiché in queste spese era coinvolta l’intera “famiglia”.
L’approccio scelto per accostarsi a questo consumo è stato unilaterale,
essendo arrivati alla conclusione che per gli aristocratici l’apparenza e
l’ostentazione si concretizzavano con la scelta di tessuti e fogge
7
d’abito sfarzose. Anche gli abiti della servitù avevano principalmente
questa funzione. Ciò è stato avvalorato dalla consuetudine di
assegnare livree più costose e importanti ai domestici che svolgevano
mansioni di “parata”. L’abbigliamento e i suoi accessori ci hanno
offerto l’occasione anche per esaminare consumi voluttuari, come
quello di parrucche, tabacchiere e gioielli.
Infine, dopo esserci addentrati nel mondo degli oggetti, siamo
ritornati all’universo di origine, la famiglia. Perciò si è avvertita
l’esigenza di definire i rapporti e le gerarchie esistenti all’interno del
palazzo, riuscendo ad individuare quali potessero essere le figure più
importanti, restituendo così la parola a classi altrimenti
sottorappresentate. Si è posta l’attenzione sulla specializzazione
crescente delle mansioni svolte dai diversi salariati, formulando, poi,
ipotesi sui rapporti che intercorrevano tra padroni e servitori, su quelli
di parentela per verificare l’esistenza di famiglie nella “famiglia”, sui
tempi di permanenza a servizio. In ultimo si è verificata l’incidenza
delle spese per i salari dei domestici nel bilancio degli Sforza Cesarini.
Delegare ad altri lo svolgimento di mansioni quotidiane stava, infatti,
alla base dell’assunzione dei domestici. Elemento questo che
comportava un dispendio di enormi somme di denaro, solo in parte
giustificato da un reale bisogno di forza lavoro, ma molto più
espressione di una consuetudine radicata nel costume delle
aristocrazie di antico regime.
8
ABBREVIAZIONI
ASR = Archivio di Stato di Roma
ASC = Archivio Sforza Cesarini
NOTA METROLOGICA
Misure e monete romane usate nel testo:
Misure di peso:
1 libbra = chilogrammi 0.339
1 soma (300 libbre) = chilogrammi 101.7
1 rubbio da 720 libbre = chilogrammi 244.132 (per la biada)
1 fascina da forno = chilogrammi 7
Misure di capacità:
Vino:
1 barile (32 boccali) = litri 58.341591
1 boccale (4 foiette) = litri 1.823176
1 foietta (1/4 di boccale) = litri 0.456
9
Olio:
1 boccale = litri 2.052880
1 foietta = litri 0.513
Misure di lunghezza:
1 canna (8 palmi) = metri 1.99
1 braccio (3 palmi) = metri 0.636
1 palmo (1/3 di braccio) = metri 0.212
Monete:
1 scudo romano = moneta d’oro o d’argento del valore di 100 baiocchi
1 giulio = moneta d’argento del valore di 10 baiocchi
1 baiocco = moneta di rame del valore di un centesimo di scudo
10
Capitolo I. I CONSUMI IN ETA’ MODERNA
1. Itinerari storiografici.
Carlo Maria Cipolla, uno dei più influenti storici economici del
secondo dopoguerra, ha lasciato un’impronta tangibile nell’approccio
neoliberista che ha contraddistinto l’interpretazione dell’economia
europea preindustriale. Alcuni dei suoi libri più famosi - fra cui il
celebre manuale
1
- propongono una lettura organizzata della
complessa rete di rapporto, di scambio, di produzione nella classica
bipartizione fra domanda e offerta.
Che cosa è la domanda? Da cosa nasce? Si sviluppa per la
necessità da parte dei membri di una società di soddisfare determinati
bisogni? Nell’opinione corrente, i bisogni della società di epoca
preindustriale sono essenzialmente quelli primari, legati alla necessità
di sopravvivere. Assistono la quasi totalità dei consumi per i ceti
meno abbienti e una quota proporzionalmente minore nei consumi
degli aristocratici.
Questa visione è, in realtà, troppo sintetica. La storiografia più
recente ha messo in luce un quadro più articolato, con molteplici
variabili connesse l’una all’altra. I bisogni primari quindi, come
quello fisiologico del cibo, dipendono da fattori diversi, dalla
popolazione, dalla sua struttura (quindi dall’età, dal sesso, dalla
1
C. M. Cipolla, Storia economica dell’Europa pre-industriale, Il Mulino, Bologna, 1990.
11
professione), da fattori geofisici, infine, non ultimi, da quelli
socioculturali.
Inoltre quando si affrontano problematiche legate ad
un’economia di tipo preindustriale, bisogna rendersi conto
dell’effettiva differenza tra ciò che è considerato un bisogno
necessario nel nostro tempo e ciò che lo era allora. Ad esempio il
bisogno di fare il bagno, o comunque di lavarsi quotidianamente, è
percepito dall’uomo contemporaneo come un’esigenza legata alla
normalità e al minimo indispensabile per condurre una vita decorosa.
In epoca preindustriale, invece, era considerato un lusso che pochi
potevano permettersi di tanto in tanto.
I bisogni nascono quando l’esigenza di esaudire un desiderio non
è solo una necessità, e, in base al periodo storico, l’essere umano ha
tentato di soddisfarli compiendo delle scelte, economiche e sociali,
che vanno sempre analizzate inserendole in un contesto più generale.
Bisogna discernere a questo punto il bisogno dalla domanda
effettiva. Il bisogno si trasforma in domanda effettiva quando è
sorretto dal potere d’acquisto; diviene, quindi, domanda e viene
registrato dal mercato
2
.
Per domanda si intende l’insieme di beni e servizi che si vogliono
acquistare dando in cambio dei mezzi di pagamento, che possono
essere diversi, comunque associati da una caratteristica comune:
l’attribuzione ad essi di un valore condiviso
3
.
2
Cipolla, op. cit., p. 20.
3
P. Malanima, Economia preindustriale. Mille anni dal IX al XVIII secolo, Mondadori, Milano,
1995, p. 480.
12
Seguendo uno schema proposto da Cipolla nel suo manuale
4
si
può distinguere la domanda globale effettiva in: domanda di beni di
consumo, domanda di servizi e domanda di beni capitali. Questa
suddivisione si incrocia con un’altra che invece distingue la domanda
in: domanda interna privata, domanda interna pubblica, domanda
estera.
L’interesse di Cipolla per la domanda e anche per la sua
manifestazione più evidente, il consumo, ha aperto negli anni una
strada nuova per le ricerche di storia economica. Lo storico,
scomparso di recente, ha innegabilmente contribuito ad un mutamento
di rotta nella ricerca storico-economica tendente - soprattutto prima
degli anni Settanta – a privilegiare il campo dell’offerta, quindi i
settori della produzione e della distribuzione, mentre domanda e
consumo venivano considerati quasi conseguenze passive di questi
ultimi.
Il cambiamento di prospettiva ed il successivo interesse per il
settore della domanda hanno tuttavia origini lontane. La storiografia
del ventesimo secolo ha ampliato i suoi campi di indagine a cavallo
tra le due guerre mondiali; la rivista “Annales d’Histoire Economique
et Sociale”, fondata nel 1929 da Lucien Fèbvre e Marc Bloch,
nasceva con l’obiettivo di unire la storia e le scienze sociali; si
avvertiva l’esigenza di andare oltre la storiografia dei secoli passati,
che mirava a descrivere gli avvenimenti, a raccontarli tralasciando
quasi totalmente i tentativi di spiegazione.
4
Cipolla, op. cit., p. 39.
13
Nel secondo dopoguerra l’insegnamento delle “Annales” viene
raccolto dalla seconda generazione dei grandi storici francesi. La
personalità che spicca maggiormente è senza alcun dubbio quella di
Fernand Braudel. Egli ha rivoluzionato il concetto di storia, l’ha
scardinato e ha aperto nuove frontiere per la storiografia mondiale. E’
riuscito a farlo attraverso un profondo cambio di prospettiva, facendo
una distinzione tra i piani della storia, che secondo lui possono
scindersi in due: esiste una parte che egli definisce histoire
événementielle, un’altra che chiama Grande Storia, quella che indaga
le strutture profonde.
In un suo saggio metodologico, recentemente ripubblicato,
Braudel cerca di spiegare la fondamentale differenza tra questi due
modi di analizzare la storia, quando afferma: “la storia non è
narrazione di avvenimenti puri e semplici; non è soltanto misura
dell’uomo, dell’individuo, bensì di tutti gli uomini e della realtà della
loro vita collettiva”
5
. Dichiara ciò in aperta polemica con la
storiografia classica che esaltava le gesta eroiche di un personaggio di
spicco, tralasciando, però, l’analisi per privilegiare l’aneddoto senza
spiegarlo criticamente. Comincia quindi a spostare l’obiettivo
dall’individuo alla società e alle manifestazioni che caratterizzano
l’essere umano come un animale sociale: inizia ad analizzare la vita
quotidiana. L’indagine intorno alla civiltà materiale, alle abitudini di
un mondo che ha lasciato pochissime fonti da subito si è dimostrata
difficile. Braudel analizza il consumo ben conscio del fatto che gran
5
F. Braudel, Storia, misura del mondo, Il Mulino, Bologna, ed. 1998.
14
parte di ciò che era consumato entrava in un circuito parallelo:
l’autoconsumo. Per indagare il consumo analizza i luoghi dello
scambio attraverso cui i bisogni diventano domanda: i mercati
6
.
La storiografia attuale deve molto alla figura di questo grande
storico. Sulla scia del nuovo approccio metodologico, la storiografia
francese e quella italiana si sono dirette verso ricerche di argomento
comune. Il punto di riferimento degli ultimi anni della storiografia
francese sull’argomento è senza dubbio Daniel Roche
7
, che si è
occupato della vita quotidiana in numerosi saggi. Egli ha spostato il
suo interesse anche sui consumi privati meno legati alla necessità della
sopravvivenza, si è infatti occupato della moda, della produzione e del
consumo legato ad essa, dell’arredamento
8
. Nel contempo ha rivolto
l’attenzione anche ad altri ambiti: non si è limitato ad indagare ciò che
veniva consumato, distinguendo i generi di prima necessità da quelli
voluttuari, ma ha cercato anche di individuare la capacità di spesa dei
vari strati della popolazione.
Ma più in particolare sul consumo alimentare stimoli e
suggestioni vengono da un saggio degno di nota, comparso alla fine
degli anni ’90, curato da Jean Louis Flandrin e Massimo Montanari
9
,
in cui si indaga il consumo alimentare da molteplici prospettive,
poiché questa tipologia si presta ad essere esaminata sia dal punto di
vista strettamente economico che sociale.
6
F. Braudel, La dinamica del capitalismo, il Mulino, Bologna, 1988
2
.
7
Roche, Storia delle cose banali.., cit.
8
D. Roche, Il linguaggio della moda, Einaudi, Torino, 1991.
9
J. L. Flandrin, M. Montanari, Storia dell’alimentazione, a cura di J. L. Flandrin e M. Montanari,
Laterza, Roma-Bari, 1997.
15
Indubbiamente gli studi sul consumo hanno ricevuto un input
decisivo dopo questo tipo di ricerche condotte in maniera scientifica,
avvalendosi di fonti passate per anni sotto silenzio. Solo di recente
l’apertura della ricerca storica alle frontiere di nuove discipline,
largamente chiamate in causa nello studio dei consumi - la
demografia, la storia sociale, l’antropologia, la storia della mentalità –,
ha portato alla rivalutazione di queste fonti mettendo in luce nuovi
campi di indagine.
In anni recenti anche in Italia la ricerca si è spostata verso un
orizzonte esplorato, come ho detto in precedenza, sin dagli anni
Settanta da Cipolla. I saggi sui consumi e la vita quotidiana scritti da
Raffaella Sarti, Maria Antonietta Visceglia, Massimo Montanari, sono
la testimonianza di questo nuovo interesse degli storici
10
.
2. Le fonti della ricerca: l’archivio Sforza Cesarini.
I consumi privati di una famiglia nobile del Settecento romano –
gli Sforza Cesarini – costituiscono il nucleo centrale di questa tesi,
che si basa sul fondo conservato nell’Archivio di Stato di Roma. La
scelta di una famiglia patrizia è divenuta quasi obbligata, quando
l’obiettivo è una visione microanalitica del consumo. In alternativa
solo i luoghi di permanenza obbligata con presenze controllabili nel
tempo come conventi, ospedali, ospizi per i poveri possono garantire
allo storico una opportunità d’indagine, permettendo di individuare,
10
Vedi: Sarti, op. cit.; Visceglia, op. cit.; M. Montanari, Nuovo convivio. Storia e cultura della
tavola nell’Età moderna, Laterza, Roma-Bari, 1991.