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Introduzione
Lo scopo di questa ricerca è uno studio sulla strategia mediatica della cosca di
‘ndrangheta che negli ultimi trent’anni si è infiltrata nel tessuto economico e sociale di Reggio
Emilia. Con l’Operazione Aemilia, condotta dalla Procura di Bologna nel gennaio del 2015, che
ha portato ad un totale di 117 arresti, è stato smascherato il sistema di appalti, false fatture ed
estorsioni che garantiva al clan Grande Aracri, originario di Cutro (Kr), l’entrata di grandi
somme di denaro nelle proprie casse. Le indagini hanno rappresentato un punto di svolta nella
percezione, da parte della cittadinanza, della forte presenza di una cosca di ‘ndrangheta nel
Reggiano, alimentata precedentemente solo dalle inchieste dei giornalisti locali.
Dalle carte dell’Operazione è emerso, inoltre, il tentativo da parte dell’associazione
mafiosa di influenzare l’opinione pubblica reggiana e, in particolare, la sua componente cutrese,
considerevolmente radicata nel territorio di riferimento.
La strategia mediatica è stata progettata, coordinata e attuata dagli indagati sfruttando le
potenzialità del mezzo stampa e l’appoggio di un politico locale del centro-destra che, grazie
alla sua posizione ideologica e rilevanza sociale, poteva favorire l’inserimento delle tematiche,
o issue, all’interno del dibattito pubblico. Forti della convinzione che la comunità calabrese
fosse dalla loro parte, gli ‘ndranghetisti, in particolare il boss presente nel Reggiano Nicolino
Sarcone, hanno utilizzato, per la prima volta, la visibilità del mezzo mediatico per rispondere
allo strumento delle interdittive antimafia del prefetto di Reggio Emilia di allora, Antonella De
Miro, che ha danneggiato gravemente gli affari illeciti della cosca. La revoca del certificato
antimafia escludeva, di fatto, dalle gare per l’assegnazione degli appalti pubblici tutte quelle
imprese considerate in “odore” di mafia.
Dall’analisi delle interviste, lettere e comunicati riconducibili a questa strategia è
risultato che gli ‘ndranghetisti hanno cercato di difendersi dalle interdittive proponendo il
proprio punto di vista ideologico: le imprese calabresi vengono escluse dal mercato, attraverso
lo strumento prefettizio, perché concorrenti delle cooperative “rosse” emiliane con la scusa
della mafia. Il prefetto, dunque, è solo una figura manovrata dal partito egemone in Emilia e,
soprattutto, dalle cooperative per eliminare economicamente dal mondo dell’edilizia le imprese
meridionali, in particolare quelle cutresi: questo consentirebbe ai costruttori reggiani di
risollevarsi dal periodo di crisi del settore. Una lettura della realtà che fa leva sui temi del
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razzismo e criminalizzazione della comunità meridionale che però, come mostreranno le
indagini, si rivelerà del tutto menzognera.
Lo studio si propone di comparare questa strategia mediatica, che ha interessato la
stampa reggiana dal luglio 2012 al febbraio 2013, in prima analisi con le teorie dell’agenda
setting secondo cui i media non dicono cosa il lettore deve pensare ma hanno una certa efficacia
nel definire intorno a quali temi è importante che ognuno si faccia una propria idea, stabilendo
la rilevanza degli eventi.
Il primo capitolo, dedicato proprio a queste teorie, riporterà alcuni casi di studio in
materia e sarà utile per meglio comprendere in che modo l’associazione mafiosa,
comportandosi come un qualsiasi gruppo di pressione, abbia attuato queste pratiche.
Il secondo capitolo è invece incentrato sulla storia dell’infiltrazione mafiosa
‘ndranghetista nel Reggiano, cominciata nell’estate del 1982 con il soggiorno obbligato del
boss Antonio Dragone, fino all’attuale Operazione Aemilia che ha rivelato i metodi illeciti di
arricchimento della cosca.
Nel terzo capitolo verrà presentata l’evoluzione della strategia mediatica nei media
reggiani e il coinvolgimento del politico Giuseppe Pagliani come testimonial delle issue
‘ndranghetiste, prestando particolare attenzione al tipo di linguaggio utilizzato e alla posizione
di portavoce e opinion leader, all’interno della comunità cutrese, del boss e degli esponenti di
spicco della cosca a Reggio. Nella stessa sezione verrà confrontata la strategia mafiosa con le
principali teorie dell’agenda setting trattate, arricchito dalle interviste che i giornalisti Sabrina
Pignedoli, Davide Nitrosi e Luca Ponzi mi hanno gentilmente concesso e che si sono rivelate
molto utili per comprendere, direttamente dai protagonisti, il ruolo del giornalismo nella
gestione del fenomeno mafioso deciso a comunicare con la società attraverso la stampa.
Seguirà, nell’ultima parte, un’analisi più specialistica delle modalità di presentazione
delle issue di matrice mafiosa in un contesto mediatico e pubblico, che raggiungerà il suo apice
nell’intervista rilasciata dal boss Nicolino Sarcone a il Resto del Carlino. In questa sezione della
ricerca è stato utilizzato il programma di analisi del testo semi-automatica Nvivo 11 che ha
permesso di mettere in evidenza la strutturazione e composizione del linguaggio delle
personalità, secondo le indagini, riconducibili alla ‘ndrangheta coinvolte nella promozione delle
tematiche favorevoli agli intenti della cosca.
É importante ricordare che il processo conseguente all’Operazione Aemilia è, al
momento della scrittura, ancora in corso: tutte le persone citate in questo lavoro e coinvolte
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nell’ambito delle indagini sono da considerare innocenti sino alla sentenza di condanna,
confermata all'eventuale terzo grado di giudizio.
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Capitolo 1. Le teorie dell’agenda setting
1.1 Cos’è una notizia?
“Non bisogna commentare i fatti ma, nel raccontare la notizia, dare al lettore gli
strumenti per potersi creare una propria opinione”. Questa, insieme ad altre, è una delle prime
regole che si imparano entrando nella redazione di un giornale. Le notizie arrivano in redazione
una dopo l’altra come un fiume in piena: c’è il commento del politico alla dichiarazione di un
collega dell’opposizione; c’è il comunicato di una galleria per pubblicizzare l’imminente
rassegna d’arte contemporanea e c’è la telefonata di una delle maggiori fonti per un organo di
informazione: i lettori. Perché, tra tutte queste potenziali notizie, solo alcune vengono poi
pubblicate nell’edizione del giorno dopo? In base a quale criterio queste vengono scelte, trattate
e consegnate al lettore che, una volta lette, dovrà crearsi una propria opinione?
Esiste una definizione, coniata da John B. Bogart, caporedattore del New York Sun, che
ogni aspirante giornalista dovrebbe appuntarsi nel proprio taccuino: “Un cane che morde un
uomo non fa notizia, ma un uomo che morde un cane sì” (Randall 2009, 40). Il fattore di novità
risiede nell’insolito, nella anormalità del fatto, l’eccezionalità e l’improbabilità dell’evento: “É
notizia ciò che rompe il regolare corso delle cose”, scrive Carlo Sorrentino (2007, 73).
Nel raccontare qualunque tipo di fatto il giornalista modello dovrebbe tenere conto
dell’obiettività nell’esposizione quanto dell’eccezionalità, per rappresentare nel migliore dei
modi la realtà al lettore. Dal momento in cui ogni emittente è costretta a selezionare ciò che può
dire all’interno dei suoi formati, emergerà una realtà ricostruita, una realtà seconda, che
diventerà la realtà per il destinatario. Una realtà che il lettore è costretto ad accettare, per
decidere poi se farla propria o meno, in quanto gli sarebbe impossibile essere presente a tutti
gli eventi ed avere così una testimonianza diretta.
Il concetto di “agenda setting” cerca di dare un senso a questa selezione di notizie.
Sempre secondo Sorrentino, attraverso questo processo, i media non dicono cosa il lettore deve
pensare, non manipolano volontà e credenze dei destinatari; ma hanno una certa efficacia nel
definire intorno a quali temi è importante che ognuno si faccia una propria idea, stabilendo la
rilevanza degli eventi. Quante volte ci è capitato di leggere interi paginoni dedicati all’allarme
sicurezza? Di solito la issue si ripete per giorni, riportando fatti di cronaca come rapine, furti,
stupri e, nel peggiore dei casi, omicidi. Se poi di un fatto parlano tutti i giornali e tutte le
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televisioni, questo non soltanto diventa di dominio pubblico, ma aumenta la possibilità che
venga giudicato rilevante dai destinatari (Ibidem, 74).
1.2 L’effetto “agenda”
La teoria dell’agenda setting sostiene che la percezione da parte dei cittadini di ciò che
è più importante derivi direttamente dal modo in cui i temi, considerati rilevanti da chi li
propone, come partiti politici o gruppi d’interesse, vengono rappresentati dai mezzi
d’informazione. Questo insieme di questioni rilevanti o salienti viene chiamato “agenda”,
trasposizione italiana dall’inglese di “ordine del giorno”. Come suggerisce il concetto di
agenda, in essa è contenuta una lista di temi e problemi che possiamo descrivere come “un
insieme di temi, le issues, che vengono comunicati secondo una certa gerarchia di importanza
in un determinato momento” (Dearing e Rogers 1996, 2).
Secondo i teorici dell’agenda setting, nella percezione della realtà, il grado di
importanza che i lettori danno ad ogni tema dipende dalla quantità di informazioni prodotte in
un determinato periodo e l’enfasi con cui vengono presentati al destinatario. Questa
affermazione presuppone un lavoro di selezione nella massa di accadimenti quotidiani, per poi
dare maggiore rilevanza attraverso l’uso di grafica, titoli, immagini e lunghezza degli articoli.
La teoria non tralascia il ruolo del pubblico come mero consumatore di informazione
selezionata: sui temi, infatti, vi è l’assunto che i lettori percepiscano il grado di importanza delle
issues, riuscendo a ordinarle in una sorta di classifica. Ad esempio, nel caso di una competizione
elettorale, gli argomenti di dibattito a cui viene dato più risalto delineano l’agenda della
campagna dei candidati (McCombs e Shaw 1972).
La definizione dell’agenda, quindi, avviene in due fasi: selezione e gerarchizzazione dei
temi e questioni rilevanti. Sempre secondo i teorici il “postulato della selezione” afferma che
“la gente tende ad includere o escludere dalle proprie conoscenze ciò che i media includono o
escludono dal proprio contenuto” (Shaw 1979, 96); mentre per quanto riguardo il “postulato
della gerarchizzazione” “il pubblico tende ad assegnare a ciò che esso include un’importanza
che riflette da vicino l’enfasi attribuita dai mass media agli eventi, ai problemi, vicini alle
persone” (Ibidem, 96). Quindi l’agenda del pubblico, che racchiude i temi considerati
importanti per i fruitori dell’informazione, di fatto si sottomette a quella dei media, ne diventa
una copia similare.