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Il percorso filosofico di Gianni Vattimo dal nihilismo al cristianesimo

A partire dagli anni '90 la riflessione filosofica di Gianni Vattimo acquisisce una sfumatura via via più religiosa, inaspettata per i suoi lettori ed esegeti, che in parte stupisce lo stesso filosofo piemontese, come sembra testimoniare l'aneddoto, più volte raccontato, della telefonata al professor Gustavo Bontadini, esponente della filosofia cattolica neoclassica aristotelico-tomista e nell'occasione suo collega di commissione in un concorso a cattedre.
In quel pomeriggio afoso di molti anni addietro, in quella gelateria milanese di fronte alla fermata dell'Autostradale, quando Bontadini, di cui non condivideva le tesi teoriche ma a cui era legato da affetto e ammirazione, gli chiese all'improvviso, al momento dei saluti, se in fondo credeva ancora in Dio, rispose, forse influenzato dalla situazione un po’ paradossale, che «credeva di credere». Dalla meditazione su quelle parole Vattimo trae l’espressione «credere di credere», titolo del fortunato testo del 1996 che segna il suo riavvicinamento a tematiche religiose cristiane.

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6 1) PARS DESTRUENS - Nascita e dissoluzione della metafisica nel pensiero occidentale: la riflessione 12 ontologica e metafisica Per quanto concerne il primo nucleo tematico (che potremmo indicare come riflessione epistemico- ontologica), si può osservare come l'attenzione che Vattimo riserva alla filosofia tedesca di fine ‘800 si connoti per l'orientamento epistemologico: l'elemento cruciale non è tuttavia il problema della fondazione (e delle condizioni di possibilità) della conoscenza scientifica, che aveva appassionato i filosofi analitici di sponda anglo-americana, di derivazione neopositivista e ispirazione wittgensteiniana, quanto piuttosto il tema ontologico. In debito nei confronti di Nietzsche e di Heidegger, a cui si avvicina con premurosa attenzione, Vattimo ne allarga le conclusioni speculative da un ambito strettamente onto-teologico ad ogni sorta di sapere assolutamente certo. Abbeveratosi alla scuola ermeneutica di Pareyson, Gadamer e altri, il filosofo torinese ne esaspera e modifica gli assunti, fino a precludere alla conoscenza umana la possibilità di accedere a qualsiasi Verità assoluta, formulando così la propria rinuncia alla prospettiva della Ragione illuministica in parallelo alle posizioni, sul finire degli anni '60, dell'ermeneutica transalpina (Ricoeur, Derrida, Deleuze), da cui assorbe la lezione del decostruzionismo. Il pensiero debole, la fortunata collatio del 1983 che dà il nome 13 alla sua proposta filosofica, allinea la filosofia italiana alle ricerche ermeneutiche e post-moderne del pensiero contemporaneo occidentale, fondate sul rifiuto di ogni forma di verità universale, oggettivabile, scissa dal soggetto conoscente. Il monito kantiano - l'inconoscibilità del noumeno - viene così esasperato nel senso della prospettiva individuale di ogni conoscenza (la verità si dà nell’interpretazione), che esclude ogni forma di universabilizzabilità. La soluzione idealista tedesca (ma anche la riproposizione idealista crociana del primo '900), che nel tentativo di giungere all'universale riconduceva il tutto allo spirito, viene definitivamente abbandonata, e il relativismo a cui approda l’Autore veleggia sospinto anche dalla nuova antropologia culturale. Il passaggio dal rifiuto di una metafisica onto-teologica al rifiuto di ogni possibilità di conoscenza ultima della realtà - che si compie in Vattimo appunto nel segno di una negazione dell'intelligibilità della verità sostanziale, a cui perviene ponendo un fortissimo accento sul processo di secolarizzazione che permette all’uomo occidentale il distacco da Dio e l’accoglimento del nihilismo - si traduce necessariamente nell’accettazione della molteplicità delle interpretazioni della realtà («la verità si dà solo nelle interpretazioni») che riattualizza le sentenze del relativismo classico greco attraverso la mediazione della ermeneutica ottocentesca, ma che a ben vedere può venire rintracciata, sebbene flebile, in più momenti 14 della storia del pensiero occidentale. 12 La pluriennale (ed ormai esorbitante) produzione teoretica di Vattimo può essere ripercorsa sia attraverso la lettura diretta dei suoi scritti, sia scandagliando i molteplici commenti consegnati all’attenzione degli studiosi, frutto d’opera di accademici impegnati nell’agone filosofico ma anche di commentatori, studenti, giornalisti, esegeti che da prospettive diverse si confrontano con un pensiero divenuto a la page. Tra i vari commentatori citiamo: G. Giorgio, Il pensiero di Gianni Vattimo, op. cit.; C. Dotolo, La teologia fondamentale davanti alle sfide del ‘pensiero debole’ di G. Vattimo, Libreria Ateneo Salesiano, Roma 1999; W. Sützl, Emancipación o violencia. Pacifismo estético en Gianni Vattimo, tesi, Università Jaume I de Castellón, 2001; M. Piazza, Il pensiero di Vattimo, tesi, Università degli Studi di Milano 2006 reperibile sul sito Tesionline alla pagina www.tesionline.it/consult/pdfpublicview.asp?url=../__PDF/17868/17868p.pdf; D. Monaco, Gianni Vattimo. Ontologia ermeneutica, cristianesimo e postmodernità, Edizioni ETS, Pisa 2006. 13 G. Vattimo, P.A. Rovatti (a cura di), Il pensiero debole, Feltrinelli, Milano 1983. 14 Ovviamente il tema della conoscenza della realtà/verità si riallaccia al problema della corrispondenza tra essere e linguaggio, delineatosi in età contemporanea nella forma di filosofia del linguaggio, ma già presente in epoche filosofiche diverse: valgano come

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