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Quando l'industrializzazione massiva inibisce lo sviluppo di un territorio. Storia della "questione ambientale" di Taranto

Dalla crisi dell’acciaio degli anni ’80 ad oggi Taranto è divenuta simbolo globale del fallimento di un modello di sviluppo obsoleto, che vedeva lo sviluppo industriale come mezzo immortale per raggiungere la ricchezza, rendendo secondarie, superficiali, le dinamiche della società più nascoste, il fermento culturale alla base della valorizzazione del territorio, nonché la qualità dell’ambiente ed il turismo da essa derivante.
Nella storia moderna di Taranto il destino è sempre stato «scritto» dagli attori politici nazionali, che già a partire dagli albori del ‘900 hanno determinato il graduale cambiamento socio – economico della città dei due mari, con la creazione di un’area industriale più grande della città stessa. Dalle ciminiere come simbolo di progresso e ricchezza si è passati negli ultimi decenni ad una monocultura opprimente, che vede l’industria e l’arruolamento nella Marina Militare come uniche possibilità lavorative concrete realizzabili nel breve periodo.
Le ciminiere del siderurgico sono diventate simbolo di morte e contaminazione alimentare, la magistratura ha stabilito che se gli impianti non verranno messi a norma, l’Ilva dovrà chiudere, ma ad oggi i giovani tarantini che non proseguono la carriera universitaria, che sia rimanendo in città o diventando «fuorisede», hanno ben pochi scenari di realizzazione ipotizzabili.
Qual è oggi il simbolo di Taranto? Come si può essere campanilisti quando la cruda realtà è la falda acquifera contaminata, i capi di bestiame uccisi per l’inquinamento nei pascoli, la mitilicoltura uccisa da diossine e Pcb?
Taranto annaspa in un inesistente scontro tra diritto al lavoro e diritto alla salute, frutto della degenerazione della «questione ambientale», con decenni di ammiccamenti e sotterfugi messi in atto dagli attori politici per proteggere Emilio Riva, che acquisì l’Ilva dallo stato nel 1995.
Taranto, alla luce dell’azione della magistratura, che lo scorso 26 luglio ha posto un punto esclamativo alla questione ambientale del capoluogo Jonico disponendo il sequestro di sei impianti dello stabilimento siderurgico senza facoltà d’uso a fini produttivi, si ritrova oggi ad essere un laboratorio di soluzioni ipotizzabili per un cambiamento di modello di sviluppo.
Se la politica sarà lungimirante Taranto potrà tornare ad essere terra di miticoltura, potrà divenire un incubatore di progetti di riconversione industriale. La classe dirigente potrà sfruttare un enorme potenziale turistico e culturale per ridisegnare il futuro della popolazione.
Ma l’unica certezza è che Taranto non può più essere una «steel city».

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3 CAPITOLO 1 Cenni di storia politico – industriale di Taranto. Dalla costruzione dell’Arsenale Militare ad oggi La città di Taranto, situata nell’omonimo golfo sul mar Ionio, è il secondo comune della regione Puglia per popolazione (195.882 abitanti 2 ). La «Città dei due mari» ha una storia millenaria, che parte secondo la storiografia ufficiale dal 706 a.C e si dipana attraverso i domini di Spartani, Romani, Bizantini e Aragonesi. Numerose sono le testimonianze architettoniche ed etnografiche situate in tutto il territorio provinciale, che da sempre hanno fatto di Taranto una città permeata di un’affascinante storia. Ma ad un certo punto del suo percorso storico è come se Taranto si sdoppiasse. Una ‘città sulla città’, nata per giustapposizione, si estende sempre più fino a soppiantare l’antico nucleo identitario, eliminando ogni traccia del modus vivendi del territorio. Inizia un nuovo corso storico che cambia l’impronta sociale di Taranto, la cui economia si radica soprattutto sulle attività del settore primario. Il punto di rottura indirizza l’identificazione della città con la monocultura dell’industria pesante. La favola diffusa ormai da decenni, e assimilata dagli stessi tarantini, che parla di una ‘città storicamente a vocazione industriale’ nasce in seguito a interventi esogeni in un territorio la cui economia s’identificava soprattutto con il rapporto con il mare e la miticoltura. L’economia tarantina è tradizionalmente legata al mare, molto più di quanto possa dirsi di altre cittadine della costa pugliese che, pur marittime, solo in tempi recenti hanno sviluppato un’economia più strettamente legata alle attività alieutiche. Basti pensare al ruolo della molluschicoltura praticata in Mar Piccolo, tra fine ‘800 e inizio ‘900 capace di produrre annualmente 20 – 30 milioni di ostriche e 10 – 20.000 quintali di mitili 3 . 2 Fonte: Censimento 2012 Istat 3 G. Fenicia, Mercato ittico e amministrazione civica a Taranto tra ‘800 e ‘900, Cacucci Editore, Bari, 2011, p. 17

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