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CAPITOLO 1
Cenni di storia politico – industriale di Taranto.
Dalla costruzione dell’Arsenale Militare ad oggi
La città di Taranto, situata nell’omonimo golfo sul mar Ionio, è il secondo
comune della regione Puglia per popolazione (195.882 abitanti
2
). La «Città
dei due mari» ha una storia millenaria, che parte secondo la storiografia
ufficiale dal 706 a.C e si dipana attraverso i domini di Spartani, Romani,
Bizantini e Aragonesi. Numerose sono le testimonianze architettoniche ed
etnografiche situate in tutto il territorio provinciale, che da sempre hanno fatto
di Taranto una città permeata di un’affascinante storia.
Ma ad un certo punto del suo percorso storico è come se Taranto si
sdoppiasse. Una ‘città sulla città’, nata per giustapposizione, si estende
sempre più fino a soppiantare l’antico nucleo identitario, eliminando ogni
traccia del modus vivendi del territorio. Inizia un nuovo corso storico che
cambia l’impronta sociale di Taranto, la cui economia si radica soprattutto
sulle attività del settore primario.
Il punto di rottura indirizza l’identificazione della città con la monocultura
dell’industria pesante.
La favola diffusa ormai da decenni, e assimilata dagli stessi tarantini, che
parla di una ‘città storicamente a vocazione industriale’ nasce in seguito a
interventi esogeni in un territorio la cui economia s’identificava soprattutto
con il rapporto con il mare e la miticoltura. L’economia tarantina è
tradizionalmente legata al mare, molto più di quanto possa dirsi di altre
cittadine della costa pugliese che, pur marittime, solo in tempi recenti hanno
sviluppato un’economia più strettamente legata alle attività alieutiche. Basti
pensare al ruolo della molluschicoltura praticata in Mar Piccolo, tra fine ‘800
e inizio ‘900 capace di produrre annualmente 20 – 30 milioni di ostriche e 10
– 20.000 quintali di mitili
3
.
2 Fonte: Censimento 2012 Istat
3 G. Fenicia, Mercato ittico e amministrazione civica a Taranto tra ‘800 e ‘900, Cacucci Editore,
Bari, 2011, p. 17
4
Ma Taranto nel giro di pochi decenni si trasforma, parallelamente ad altre
realtà mondiali, in una «Steel city», tanto da meritarsi l’appellativo di
Poisonville (la città dei veleni) coniato dal giallista Giancarlo De Cataldo.
Il primo evento che muta profondamente l’organizzazione formale e
funzionale della città si può identificare con la costruzione dell’Arsenale
Militare, decisa dal Parlamento Italiano con la legge n. 833 del 29 giugno
1882 e inaugurato il 21 agosto 1889 dopo circa 6 anni di lavori alla presenza
del re Umberto I.
L’Arsenale si trova ad assumere di fatto una funzione pilota nei confronti
dell’intero sistema socio - economico tarantino. Nascono diverse strutture
«satellite» militari e la sistemazione urbanistica della città inizia a mutare
profondamente per accogliere i flussi di operai provenienti da tutta Italia. Nel
1914 la struttura industriale della città viene ulteriormente rafforzata
dall’installazione dei Cantieri Tosi, nati sull’onda della prospettiva bellica
colonialista
4
.
Nel 1923 Taranto diviene capoluogo di Provincia e viene iniziata una lunga
serie di lavori per renderla idonea ad ospitare gli uffici della Provincia, della
Prefettura e della Questura.
Il 7 settembre 1934 Benito Mussolini da anche avvio al piano di risanamento
per la città vecchia, il più antico nucleo residenziale che testimoniava un
degrado sempre crescente. In piena sintonia con la politica di espansione
demografica fascista, Taranto figurava ai primi posti per indici di natalità tra i
capoluoghi italiani. Nel settembre 1938 la città raggiunse i 150.000 abitanti,
ponendosi al quindicesimo posto tra i grandi centri urbani italiani. Gli
interventi messi in opera non fanno che rovinare irrimediabilmente l’antico
tessuto urbano; tutta la popolazione della città vecchia viveva accalcata in un
insieme densissimo di vecchi fabbricati, in prevalenza di tre piani, sempre
privi di criteri igienici, fittamente appoggiati l’uno all’altro e separati da una
sessantina di strette viuzze, la maggior parte delle quali non più larghe di un
metro. Le abitazioni, tranne che alcuni palazzi nobiliari o appartenenti alla
ricca borghesia, erano prevalentemente composte da uno o due ambienti,
4 A.Rinella, Oltre l’acciaio. Taranto: problemi e progetti, Progedit, Bari, 2002, pp. 15 – 18.
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poveri di luce ed aria, privi di acqua e servizi igienici, in cui vivevano in
promiscuità gruppi famigliari piuttosto numerosi. A tal proposito scriveva
Giuseppe Petrilli, presidente dell’Iri (Istituto Ricostruzione Industriale) dal
1960 al 1979, che «l’aumento demografico abbia rappresentato per la città di
Taranto un carico superiore a quello che la progressiva diversificazione della
sua struttura economica avrebbe consentito»
5
.
Gli anni ’30 del ‘900 sono tra i più tristi per la storia di Taranto. E’ in questo
periodo che si fa strage di una mole spropositata di beni culturali. Nell’arco di
cinque anni viene stravolto l’antico tessuto urbano della Città Vecchia,
vengono abbattuti il Conservatorio delle Verginelle del 1120, la Chiesa della
Madonna della Pace del 1695, l’ultima parte della cinta muraria spagnola del
1598, il Convento dei Fatebenefratelli del 1591
6
.
Durante il periodo della Ricostruzione successivo alla disfatta della Grande
Guerra, l’Arsenale Militare, core industriale tarantino, vede dimezzarsi la
propria capacità occupazionale e si avvia ad un triste declino, rimanendo
tuttavia ancora oggi, con più di 2.400 dipendenti, il principale apparato
produttivo militare italiano
7
.
5 G. Fenicia, Mercato ittico e amministrazione civica a Taranto, (cit. nota 3), pp. 94 - 96
6 A. Rinella, Oltre l’acciaio (cit. nota 4), pp. 33 – 35.
7 Fonte: Arsenale Marittimo Militare Taranto
6
E’ di nuovo l’intervento pubblico ad imprimere una nuova svolta
nell’impostazione
industriale di Taranto.
Fin dal 1957 il
Governo italiano
aveva preso in
considerazione la
possibilità di
posizionare un
importante
stabilimento
siderurgico in una zona
meridionale,
d’influenza quindi della Cassa per il Mezzogiorno. Così il 2 giugno 1959 il
Comitato dei Ministri per le Partecipazioni Statali delibera la costruzione a
Taranto del IV
Centro Siderurgico
nazionale Finsider,
dopo quelli di
Bagnoli, Piombino
e Cornigliano. Tra
il 1963 e il 1965,
sei grandi industrie
(Tabella 1
8
) e una
miriade di piccole
e medie imprese
complementari
decidono
d’insediarsi
nell’Area di
Sviluppo
8 Fonte: Consorzio A.S.I. Taranto
Figura 1 - L'area industriale di Taranto e il molo polisettoriale. 1: porto
commerciale; 2: sbarco materie prime; 3: imbarco prodotti siderurgici; 4:
imbarco cemento sfuso; 5: imbarco materie prime; 6: imbarco raffinati; 7:
imbarco petroli; 8: molo polisettoriale; 9: campo petroliere
Tabella 1 - Industrie insediatesi nell'Area di Sviluppo di Taranto tra il 1963 e il 1965.
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Industriale di Taranto, creando una zona industriale di dimensioni
spaventose, con lo stabilimento siderurgico immediatamente a ridosso della
città (Figura 1).
Inoltre nel 1967 l’Ufficio del Genio Civile per le Opere Marittime di Bari
ridisegna l’assetto del Porto Mercantile lungo la striscia di costa a ridosso del
demanio ferroviario tra Punta Rondinella ed il Ponte di Porta Napoli,
delineando «una configurazione polifunzionale ripartita tra i settori
commerciale, industriale e petrolifero»
9
.
Il periodo tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 è per Taranto tra i
più felici del Novecento. La città è uno degli esempi Italiani in quanto ad
organizzazione sindacale, dove i lavoratori vedono rispettate le regole dei
contratti collettivi nazionali. Taranto è in questi anni l’unica città meridionale
in cui cambia davvero la struttura socio - economica, dove il reddito non è più
concentrato nelle mani di poche famiglie, ma orizzontalmente distribuito fra
tutta la popolazione. Parrebbe la storia di una vera e propria isola felice,
grazie all’acciaio e all’industrializzazione.
In «L’età dell’acciaio, Taranto negli anni 70», Roberto Nistri fotografa
lucidamente la situazione del periodo:
«Dopo un lungo periodo di ristagno economico e di continua emigrazione,
l’Italsider era stato accolto come il “nuovo arsenale”, con posto fisso e buoni
salari: una manna dal cielo, la soluzione logica e ottimale di tutti i problemi del
territorio, una gigantesca mammella che avrebbe nutrito inesorabilmente la città
e tutto il suo hinterland. Il mito italsiderino per molti anni avrebbe impedito di
fare seriamente i conti con le debolezze evidenziate da una società civile
impreparata, da una borghesia priva di un’autentica progettualità
imprenditoriale, da una classe dirigente culturalmente sprovveduta, in quel
cataclismico impatto con il Colosso: il centro siderurgico finì con l’occupare
prima 600 e poi 1500 ettari, più del doppio della città, con il costo di quasi
quattrocento miliardi»
10
.
9 A.Rinella, Oltre l’acciaio. Taranto: problemi e progetti, (cit. nota 4), p.23
10 R. Nistri, V. De Marco, C. Di Fonzo, A. Basile, F. Terzulli, L’età dell’acciaio. Taranto negli anni
Settanta, a cura di Roberto Nistri, Mandese Editore, Taranto, pp. 21 – 22.
8
Nel corso del 1968, in seguito alle incoraggianti prospettive di espansione
della siderurgia italiana, il Cipe (Comitato Interministeriale per la
Programmazione Economica) delibera il potenziamento dello stabilimento di
Taranto ed il suo raddoppio. Vengono così costruiti nuovi impianti di cokeria,
altri due altoforni, un’altra acciaieria, tre impianti di colata continua, due
laminatoi, due tubifici per tubi di grandi dimensioni. Il IV Centro Siderurgico di
Taranto arriva ad occupare un’area di 1500 ettari, più del doppio del nucleo
cittadino di Taranto, e nel 1976 sfonda per la prima volta la capacità
occupazionale di 20.000 unità, contando un’occupazione diretta totale di
20.935 unità
11
.
Il boom economico comporta picchi di espansione demografica e urbanistica.
Dalla fine degli anni ’70 lo spazio urbano de «la città dell’Italsider» si assesta
con inarrestabile disarticolazione a causa del binomio ‘espansione edilizia &
abusivismo’. Una vera e propria diaspora prende il via dalla Città Vecchia,
ormai abbandonata a sé stessa, verso i nuovi quartieri, teatro della massima
disarmonia. Taranto diventa proprietà dei signori della dilagante mala edilizia
e del basso affarismo, che ostacolano piani regolatori, idee e progetti. E’
emblematica a tal proposito l’idea, datata 1968, dell’istituzione di un
consorzio per far nascere una Università a Taranto, nonché la messa in
opera del pregevole piano Blandino per il risanamento del centro storico. «Il
progetto di Università con facoltà di Sociologia e Urbanistica voluto dal
sindaco Curci viene “suicidato” da tutti i partiti politici e, in particolare, dai
maggiorenti dello stesso partito di Curci (sindaco di Taranto dal 1965 al
1970, ndr.)»
12
. Un centro universitario veniva considerato superfluo o
addirittura pericoloso dagli speculatori e dai signori del mattone. «Quanto al
piano Blandino, meritevole di lusinghieri riconoscimenti sul piano
internazionale, ma in maniera sotterranea avversato dai vagheggiatori di
grattacieli sulla Marina, venne avviato con iniziali entusiasmi (almeno di
facciata) ma procedette faticosamente esaurendosi in un contesto di
progressiva desertificazione del quartiere».
13
11 Fonte:Italsider
12 R.Nistri, L’età dell’acciaio (cit. nota 10) p.2
13 R.Nistri, L’età dell’acciaio (cit nota 10) p.2