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Il distretto biologico come modello di sviluppo locale: analisi del caso "Filo di Luce in Canavese"

Le recenti dinamiche di ri-territorializzazione e le nuove forme di ruralità, che si riferiscono a una generazione di nuovi contadini (Van der Ploeg, 2009), hanno restituito centralità al rapporto territorio-agricoltura-sviluppo (Meloni e Farinella, 2013). Le produzioni e le filiere agroalimentari, infatti, essendo ancorate ai luoghi, incorporano al loro interno le modalità specifiche con cui gli attori locali hanno imparato, nel corso del tempo, a dialogare con l’ambiente circostante (Diamond, 1998). Ponendo al centro dei processi produttivi le specificità territoriali si possono individuare dei veri e propri vantaggi comparati naturali (Dematteis, 2002; Casavola et al., 2011), che permettono di competere tramite una via “alta” allo sviluppo, basata sulla differenziazione, piuttosto che una via “bassa”, coincidente con la standardizzazione e lo sfruttamento delle risorse (Meloni e Farinella, 2013). L’agricoltura diventa così un’attività non più distaccata dal territorio e impegnata esclusivamente nella produzione di beni, bensì torna a rivestire il suo ruolo storico di generatrice di territorio (Ferraresi, 2011) con l’aggiunta di un carattere innovativo multifunzionale.
L’agricoltura, da settore solamente produttivo, si trasforma, dunque, in uno strumento di sviluppo territoriale, il cui ruolo è stato ampiamento riconosciuto attraverso l’istituzione dei distretti rurali, di quelli agro-alimentari di qualità e, più recentemente, di quelli biologici. Un biodistretto può essere inteso come un’area geografica in cui si stabilisce un’alleanza tra diversi attori (agricoltori, cittadini, operatori turistici, associazioni e pubbliche amministrazioni) per la promozione dell’agricoltura biologica, il recupero delle tradizioni e delle tipicità locali, la tutela ambientale e la valorizzazione del territorio. Nelle esperienze biodistrettuali la sinergia tra la produzione biologica, la tipicità e la qualità ambientale costituisce un valore aggiunto territoriale (Dematteis, 2001) e rappresenta un’opportunità di sviluppo locale. In particolare, i biodistretti, in virtù della loro trasversalità, possono essere proposti come un modello di gestione del territorio in cui la valorizzazione delle produzioni biologiche contribuisce allo sviluppo locale in maniera sostenibile.
Su queste premesse si basa il presente lavoro di tesi, che intende applicare le teorie e le esperienze esposte ad un caso specifico, il biodistretto “Filo di Luce in Canavese” localizzato in Piemonte. Il progetto, nato nel 2015 su iniziativa locale, intende coordinare attori e risorse del territorio per sostenere la conversione al biologico, promuovere la produzione vitivinicola di Erbaluce e la canapicoltura e riscoprire il patrimonio naturale, culturale e storico in un’ottica di sviluppo sostenibile.
La prima parte del presente lavoro di tesi è dedicata alla definizione del quadro teorico di riferimento. Nel primo capitolo si affronta la questione dello sviluppo locale attraverso l’approccio territorialista. Il secondo capitolo è dedicato all’importante ruolo svolto dall’agricoltura tra multifunzionalità, diversificazione e valorizzazione delle specificità locali. Nel terzo capitolo l’agricoltura viene trattata in chiave territoriale soffermandosi sul tema dei distretti biologici e trattandone gli aspetti definitori, le finalità e le modalità di istituzione.
La seconda parte del lavoro è interamente dedicata all’analisi del caso del biodistretto "Filo di Luce in Canavese". Inizialmente è stato esaminato il contesto del Canavese relativamente alle principali risorse materiali e immateriali, al settore agricolo, alle produzioni tipiche. In seguito, si è posta l’attenzione sul biodistretto descrivendone la struttura, le finalità e le dinamiche interne. Infine, attraverso l’elaborazione di un’analisi SWOT, si è tentato di identificare le strategie più adatte per il suo sviluppo e di riflettere sui limiti e sulle potenzialità dello strumento biodistrettuale per lo sviluppo locale.

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19 2. ELEMENTI DI NEOAGRICOLTURA E SVILUPPO RURALE 2.1 Ritornare alla terra per rigenerare il territorio Riferendoci al territorio come al prodotto della millenaria opera di territorializzazione non si può fare a meno di riconoscere il ruolo fondamentale rivestito dall’agricoltura in questo processo. L’attività agricola, infatti, ha “governato nei secoli gli atti di antropizzazione, di civilizzazione e gli stessi atti insediativi e di urbanizzazione nei rapporti tra città e campagna: di ciò che ha presieduto quindi alla costruzione lenta della complessità territoriale e dei caratteri distintivi del territorio come “luogo”, che era “colere”, radice semantica sia di coltivazione che di cultura.” (Ferraresi e Coviello, 2007) Il territorio, dunque, è stato plasmato dal ritmo lento e necessario dell’attività primaria che, oltre a produrre cibo, è stata in grado di governare i cicli ambientali, trasformare i paesaggi e, in un certo senso, addomesticare la natura anche negli ambienti più ostili. Tale ruolo storico, tuttavia, è stato misconosciuto a fronte del processo di deterritorializzazione, trattato nel primo capitolo, in virtù del quale l’agricoltura ha progressivamente perso il legame con i luoghi di produzione e di consumo tanto da determinare la creazione di non-luoghi (Hard e Negri, 2000). Al processo di deterritorializzazione è strettamente correlato quello di industrializzazione, che ha trasformato l’agricoltura tradizionale contadina in un’agricoltura industriale. La prima coincide con le aziende agricole a conduzione famigliare in cui l’agricoltura rappresenta la fonte primaria di sussistenza e la produzione è destinata principalmente all’autoconsumo o alla vendita in mercati locali o di filiera corta (Shanin, 1987). Si tratta di un’agricoltura che trova il suo fondamento nel rispetto dei principi ecologici di funzionamento degli ecosistemi conservando la sostanza organica nel suolo attraverso, ad esempio, la rotazione delle colture e l’utilizzo di concimi naturali, favorendo la biodiversità e utilizzando quasi esclusivamente l’energia solare (Bagliani e Dansero, 2011). L’agricoltura industriale, invece, trova espressione nelle imprese capitalistiche e/o di larga scala altamente

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