L'armoriale Archinto
L’armoriale Archinto è una raccolta di stemmi araldici, commissionata dal conte Ottaviano Archinto di Milano. Elaborata fra XVI e XVII secolo. Raccoglie per la gran parte armi di famiglie e comuni della Lombardia visconteo-sforzesca. Lo studio che ho approntato su di esso, in particolar modo sulle scale cromatiche – ovverosia sui colori – e sulle figure in esso presenti mi è servito da base mediante la quale muovere critiche al taglio interpretativo che, da alcuni anni a questa parte, è venuto in auge fra alcuni araldisti contemporanei. Ho in particolar modo messo in evidenza come l’applicazione di determinati luoghi comuni araldici abbia generato veri e propri paralogismi – nell’accezione moderna del termine. L’araldica o meglio coloro i quali se ne occupano possono essere suddivisi in due categorie: classici o "nuovi". Essi partano da presupposti affatto differenti che, volendo essere brevi, possiamo così delineare: l’araldista classico è normalmente più attento, nel tentare di assegnare un significato all’arma che si trova di fronte, alla speculazione degli antichi ovvero alle teorie secondo cui i colori e le figure avrebbero anzitutto un valore psicologico o morale, considerando l’arma quale elemento di distinzione – in questo rispettando la tesi accreditata secondo cui l’arma araldica è nata per questioni distintive militari; gli araldisti "nuovi", normalmente più attenti al contesto storico in cui l’arma nacque, tendono però ad assegnare o a voler riconoscere alle armi anzitutto un valore politico-ideologico – si portava l’arma per determinarsi politicamente – e ritenendole accomunanti più che distintive. Questo approccio però ha a mio avviso generato errori di portata molto vasta, in quanto il tentativo di vedere nelle migliaia di armi esistenti la semplice rappresentazione di una eventuale adesione politica basandosi sulla comunanza o meno di determinati colori e figure presenti nelle armi dei poteri politici preminenti è non solo astorico ma decisamente limitante dell’autonomia della quale godevano normalmente gli armigeri – e lo sosteneva già Bartolo da Sassoferrato nel secolo XIV. Queste tesi limitanti, come quella ad esempio che vedendo nelle armi dell’Imperatore del Sacro Romano Impero il rosso-argento, ritiene che qualsiasi rosso argento sia imperiale; il leone, come segno di contrapposizione alle pretese dell’aquila, etc. non tengono conto innanzitutto della instabilità delle adesioni, delle fazioni e innanzitutto del fatto che se si ritiene che solo determinati colori e figure fossero stati effettivamente adottati come significante ideologico-politico si finisce per interpretare i colori che si discostano da quelli ritenuti significativi, come anti-imperiali o anti-papali, etc. senza minimamente verificare caso per caso, ovvero arma per arma, luogo per luogo e anzitutto tenendo conto della evoluzione storica alla quale anche l’araldica andò soggetta. Per fare un esempio lampante dell’assurdità insita nella astoricità di certe asserzioni quasi apodittiche, sia reso noto che le fazioni che supportavano il Ducato e l’Impero nell’Ossola antica si dotavano di colori affatto differenti da quelli comunemente imperiali e quelli ritenuti comunemente imperiali erano adottati dalle fazioni avverse. L’applicazione di un metodo più puntuale e della critica all’induzione avrebbe già da tempo dimostrato quanto poco corrette siano moltissime delle tesi che vengono normalmente prese per vere. Senza entrare eccessivamente in dettaglio si pensi a cosa potrebbe accadere, alla catastrofe storica, se un araldista cresciuto alla scuola di questi araldisti "nuovi" m’interpretasse il rosso-argento delle fazioni Spelorcie dell’Ossola come imperiale, senza nemmeno prendersi la briga di fare una breve ricerca storica per sincerarsi di come il rosso-argento invece che imperiale era in quelle zone filo-papale. La mia tesi dimostra la non fondatezza scientifica e metodologica di tutte queste asserzioni, dimostra come andrebbe condotta una ricerca caso per caso, senza tentare assurde ed ingiustificate generalizzazioni indimostrabili e che, come si è visto, non reggono ad una sola delle prove della teoria della falsificabilità che Popper suggerì in ambito disciplinare umanistico. L’araldica necessita di approfondimenti storici e non di inferenze ingiustificate che generano parologismi. L’araldica non necessita di astoricità ma di studi approfonditi, condotti, non su migliaia o decine di migliaia di armi – dimenticandosi che non appartennero ad automi ma ad esseri umani che si evolsero nel tempo – ma su ogni arma presa come unità. L’arma araldica è un esemplare unico e raro di una specie estinta, andrebbe trattato con il dovuto riguardo. Qui si è indicata la via mediante cui farlo.
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Informazioni tesi
Autore: | Luca Giambonino |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2002-03 |
Università: | Università degli Studi di Torino |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Filosofia |
Relatore: | Giuseppe Sergi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 68 |
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