L'integrazione dei cittadini dei paesi terzi in Europa
Il Trattato di Amsterdam del 1997 per la prima volta ha fornito la base giuridica per la creazione di una nuova politica comune nel settore dell’immigrazione. Nulla è stato invece previsto in modo specifico in tema di politiche a favore dell’integrazione degli stranieri nella società di accoglienza, anche se alcune indicazioni possono essere dedotte dall’attuale ordinamento comunitario. Attualmente la Comunità condivide con gli stati membri una competenza di tipo concorrente in materia di gestione e di controllo dell’immigrazione sia legale che irregolare, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità.
L’attuazione di una simile politica ha richiesto un lungo periodo di gestazione, soprattutto a causa delle resistenze di alcuni Stati membri a cedere parte della loro sovranità in questo delicato settore della politica interna a favore della Comunità. Il Trattato di Roma del 1957 non conteneva specifiche disposizioni relative alla gestione dei flussi migratori verso il nostro continente, ed in generale disciplinava la politica sociale in modo molto generico. I padri fondatori delle Comunità europee erano infatti convinti che il miglioramento delle condizioni sociali sarebbe stato una logica conseguenza dell’integrazione economica europea. Nel tempo si è venuta affermando una pur limitata competenza delle istituzioni comunitarie in materia migratoria, la quale però è stata ricondotta, con l’assenso della giurisprudenza della Corte di giustizia, nell’ambito della politica sociale (ex art. 117 e ss. del Trattato CEE) . In particolare l’intervento del legislatore europeo in questo settore è stato favorito dalla progressiva instaurazione in Europa del mercato interno, che l’art. 14 del Trattato CE (ex art.7A) definisce come uno “spazio senza frontiere interne nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali”. L’interpretazione che è stata data a questo concetto ha infatti consentito che il fenomeno migratorio iniziasse ad essere trattato a livello comunitario come un tema complementare rispetto a quello della piena realizzazione della libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione. Infatti, in vista del raggiungimento di questo obiettivo previsto per il 1993, l’ordinamento comunitario ha cercato di ampliare la sfera soggettiva di applicazione di questa libertà, giungendo a comprendere qualunque cittadino comunitario a prescindere dall’esercizio di un’attività lavorativa. Alla luce di questa situazione è emersa la necessità di stabilire una chiara distinzione tra cittadini comunitari ed i soggetti non comunitari come possibili beneficiari del diritto alla libera circolazione, disponendo una serie di politiche ad hoc per questi ultimi. Inoltre, nell’ottica dell’instaurazione di un vero mercato interno, la piena realizzazione della libera circolazione per i cittadini comunitari presupponeva necessariamente il riconoscimento di un’analoga libertà a favore dei cittadini non comunitari legalmente presenti sul territorio europeo. Ma un simile obiettivo ha allarmato i governi nazionali, i quali hanno temuto che un’eventuale soppressione dei controlli interni alla Comunità, nel rispetto dell’art.14 TCE, potesse essere la causa di una pericolosa diminuzione della sicurezza all’interno del territorio dell’Unione. Dunque la piena realizzazione della libertà di circolazione delle persone ha richiesto l’elaborazione di una strategia concordata tra gli Stati membri e le istituzioni comunitarie, al fine di adottare una serie di misure di accompagnamento in tema di lotta alla criminalità, di controllo delle frontiere esterne e di politiche relative all’ingresso e al soggiorno degli stranieri in Europa.
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Informazioni tesi
Autore: | Paolo Guelfi |
Tipo: | Tesi di Master |
Master in | Diritto europeo|
Anno: | 2003 |
Docente/Relatore: | |
Istituito da: | Università degli Studi Roma Tre |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 75 |
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FAQ
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