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Evoluzione tecnologica e organizzazione del lavoro alla Fiat Auto tra apogeo e crisi del fordismo (1971-1985)

La definizione del termine «modello americano», o «fordista», che utilizzeremo è quanto mostrato a livello produttivo dai principali costruttori americani, artefici di quelle soluzioni organizzative e tecnologiche note come «produzione di massa», finalizzate a produrre in serie beni in quantità enormi a costi decrescenti. Tutto ciò, definito attraverso la «Detroit automation», si fonda sull’uso generalizzato delle macchine a trasferta (transfer) e sulla concezione della produzione a flusso continuo (continuous flow production), vale a dire della lavorazione di un unico prodotto senza interruzioni per un periodo indeterminato. L’idea di razionalizzazione che la sottende è quella della fluidità e della linearità dei processi produttivi secondo la classica immagine fordiana del fiume che riceve acqua da classi e sottoclassi di affluenti, designando il primo il montaggio vetture e la seconda i diversi cicli di lavorazione dei componenti. Tendenzialmente ogni operazione produttiva deve essere collegata a monte e a valle senza soluzione di continuità.
La razionalizzazione produttiva per giungere a questo stadio era passata attraverso la specializzazione delle macchine utensili e delle capacità operaie; aveva significato la fine del sapere artigiano sul controllo della produzione, il declino degli operai qualificati nelle lavorazioni e l’ingresso nelle fabbriche di migliaia di lavoratori dequalificati di provenienza rurale. Ora con l’automazione di alcune fasi del ciclo produttivo si tende alla sostituzione degli addetti alle macchine utensili attraverso il collegamento e l’integrazione delle stesse, aumentando enormemente la produttività. Il pezzo da lavorare viene trasferito da apparecchi speciali (linking devices) attraverso varie stazioni di lavoro costituite da macchine utensili monouso. Si tratta, in fondo, della estensione dei metodi di trasporto dei materiali già adottati nei reparti di montaggio, a quelli di lavorazione dove si impiegano macchine automatiche specializzate.
Infatti proprio il vice presidente della Ford Motor Company Delmar Harder a proposito del termine automation da lui coniato nel 1947, non si riferiva ai
"sophisticated electronic communications and servo systems developed during the war, much less to the advances in computer control. He simply meant an increase in the use of electro-mechanical, hydraulic, and pneumatic special-purpose and parts-handling machinery which had been in existence for some time." [Noble 1984, p.66].
I principi adottati nei processi di automazione non costituiscono alcun balzo in avanti concettuale ma una estensione, appunto, di quan-to praticato da Henry Ford in materia di organizzazione del lavoro.

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1 INTRODUZIONE Obiettivo di questa ricerca è di fornire un contributo alla ricostruzione storica dell’evoluzione tecnologica e impiantistica nel suo intrecciarsi con i temi dell’organizzazione del lavoro fordista alla Fiat in un periodo di enormi mutamenti nei mercati e nelle relazioni industriali. Sono stati individuati ai fini della periodizzazione il 1971 e il 1985. Entrambi questi momenti presentano i germi dell’apogeo e della crisi del modello fordista. Nel 1971 la Fiat, forte del primato produttivo europeo, mette in produzione il modello «127» che rappresenta lo stadio più avanzato dell’adeguamento ai criteri fordisti classici. Ma il 1971 è anche l’anno del cristallizzarsi della rigidità operaia, il costituirsi di una sorta di potere di veto entro le officine. Nel 1985 l’avviamento dello stabilimento di Termoli 3 rap- presenta l’avviamento verso l’apogeo di un fordismo «informatizzato», l’aspirazione alla unmanned factory che ricorda certe soluzioni impiantisti- che fordiane degli anni cinquanta. Tuttavia con quelle realizzazioni inizia ir- reversibilmente la crisi del paradigma fordista evidenziandosi le contraddi- zioni tra l’adozione di complesse tecnologie di processo e un’organizzazione del lavoro inadeguata, rimasta sostanzialmente immutata. Il problema delle contraddizioni in seno al rapporto tra tecnologie e organizzazione, emerso chiaramente negli anni ottanta, era già presente tut- tavia, anche se in forme meno evidenti, sin dai primi anni settanta, solo che la risoluzione di questo contrasto era sovraddeterminata dalla ricerca di neu- tralizzazione del conflitto e delle rigidità operaia. Queste contraddizioni de- rivano dal fatto che alla Fiat l’esplosione dei tre fattori di crisi - complessità tecnologica, conflitto industriale e mutamenti nei mercati – sono compressi in un arco temporale estremamente limitato.

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