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Rapporto tra guerra e democrazia

Nell’analisi del rapporto tra guerra e democrazia ci si chiede quale sia la causa che spiega il perché di certi fenomeni come, ad esempio, il fatto che gli stati democratici non si fanno la guerra tra loro mentre la fanno contro gli stati non democratici. Le guerre che si sono avute in questi ultimi secoli sono tantissime anche se dobbiamo considerare che molti autori non considerano nel novero le guerre civili, così come quelle di colonizzazione e di liberazione.
Gli stati democratici sono in genere più pacifici di quelli autoritari e ricorrono alla guerra solo quando sono costrette per difendersi dagli attacchi di altri stati o perché la congiuntura è loro favorevole per cui, a volte, utilizzano la guerra per portare a termine i loro fini utilitaristici.
I regimi autoritari sono in grado di estrarre coercitivamente più risorse dalle rispettive società di quanto siano in grado di fare i paesi democratici e ciò causa molte distorsioni.
Tuttavia, alla luce di quanto è accaduto dopo la seconda guerra mondiale, gli stati hanno per molto tempo vissuto in uno stato di equilibrio del terrore o anche di guerra fredda. In questo periodo non ci sono state guerre di lunga durata in quanto gli stati (almeno quelli democratici), hanno stabilito degli accordi in base ai quali gli stati che possedevano armi atomiche, si dovevano astenere dall’uso, data la pericolosità di tali strumenti per l’intero sistema planetario; inoltre, abbiamo assistito in questo periodo, all’attuazione di una politica del disarmo di Russia e Stati Uniti che fino ad allora ne erano stati i principali costruttori.
Quando la pace tradizionale regnava tra le unità politiche rivali, la potenza di ciascuna di esse si definiva in base alla sua capacità di imporre la propria volontà all’altra con l’uso della forza o con la minaccia. La perfezione della pace del terrore comunque si raggiunge solo quando si ha la consapevolezza assoluta che nessuno dei belligeranti potrà, attaccando di sorpresa, eliminare i mezzi di rappresaglia del nemico.
Dato che le certezze della pace sono così esigue, gli stati sono ricorsi ad una strategia che viene detta di persuasione cioè, l’insieme dei procedimenti che mirano a modificare o a consolidare i sentimenti, le opinioni o le convinzioni degli uomini, è un elemento della strategia di sovversione e di quella di repressione che, sono volte a impedire che ogni singolo stato agisca nei confronti di un altro attraverso l’uso dell’arma atomica.
Dal punto di vista giuridico, l’impegno degli stati a voler mantenere la pace, favorire il disarmo, migliorare la cooperazione internazionale in campo economico e sociale, ha trovato risposta dapprincipio nel patto della Società delle Nazioni, fallito in seguito all’estinzione della stessa nel 1946 e, successivamente nella Carta dell’ONU. In questo documento è evidenziato come gli stati siano disposti a mantenere la pace anche mediante il ricorso al disarmo pur di non scatenare l’orrore di una guerra termonucleare che di sicuro non realizzerebbe il fine comune ossia la prosperità sul piano economico e sociale.
Dopo aver trattato dell’equilibrio del terrore, è giusto volgere l’attenzione alla definizione di guerra. Clausewitz la definisce come un atto di violenza la cui manifestazione non ha limiti in quanto ciascun avversario vuole imporsi all’altro e da ciò risulta un’azione reciproca che in quanto concetto deve andare alle estreme conseguenze.
E’ attraverso la politica che si delineano quelli che sono i piani di battaglia, i rischi che un capo deve accettare, i limiti che lo stratega deve fissare alle iniziative del tattico.
Tuttavia, e qui subentrano le teorie della psicoanalisi, la guerra è vista, agli occhi di molti, come qualcosa di affascinante perché è frutto degli istinti violenti che nell’uomo, in periodo di pace sono latenti, ma che, durante una guerra si scatenano in tutta la loro furia omicida.
Ed è su questo terrore della bomba e, in modo particolare di quella atomica, che si richiamano le teorie contenute nel saggio di Bobbio a proposito del problema della guerra e le vie della pace. L’autore, approfondisce la problematica della guerra termonucleare e si interroga sull’efficacia dell’equilibrio del terrore, di come di fronte ad esso sia ormai decaduta la teoria della guerra giusta e della guerra vissuta come un male necessario al quale bisogna, a volte, ricorrere perché è l’unico mezzo per raggiungere un fine desiderabile che potrebbe essere: il progresso morale; il progresso civile e, infine, il progresso tecnico.

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Introduzione La nostra tesi vuole essere un modesto tentativo per spiegare quale relazione intercorra tra la democrazia che aspira alla pace per realizzare i suoi fini politici quali il benessere sociale ed economico della popolazione, e la guerra vista qui come uno strumento per mantenere questa condizione, anche se, resta comunque uno strumento di morte. Abbiamo iniziato il nostro discorso parlando proprio delle democrazie, del perché gli stati democratici generalmente non si fanno mai la guerra tra loro mentre ricorrono ad essa contro stati non democratici per difendere la propria libertà. Ci siamo soffermati poi, ad analizzare la dialettica della pace e della guerra, di come oggi, dopo l’esperienza della bomba atomica della seconda guerra mondiale, parliamo di pace “bellicosa” o equilibrio del terrore, dato il pericolo sempre incombente dell’arma atomica che porterebbe, se usata, alla distruzione totale del pianeta e, di come ogni stato utilizzi una strategia di dissuasione per scoraggiare gli altri dall’uso di questo strumento di morte. Tale strategia di dissuasione trova risposta a livello giuridico prima nel patto delle Società delle Nazioni che comunque è fallito in seguito all’estinzione ufficiale delle SdN del 18 aprile 1946 e poi, nella vigente Carta dell’ Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). Il secondo capitolo, invece, si occupa di definire la guerra, il suo scopo politico, il fattore biologico che spinge l’uomo a farsi la guerra, l’analisi psicoanalitica di Freud e di altri autori su questo fenomeno nonché, il dualismo amico-nemico di Carl Schmitt e il suo concetto sulla neutralità.

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