Il MAC ed il dibattito sul design
La tesi si propone di fornire una lettura del Movimento Arte Concreta (MAC) che ponga particolare attenzione al dibattito ed agli interessi che vi si svilupparono relativamente al tema del design industriale.
Il Movimento Arte Concreta si formò a Milano nel dicembre del 1948 per iniziativa di Gillo Dorfles, Gianni Monnet, Bruno Munari ed Atanasio Soldati e protrasse la sua attività sino al 1958. Nacque come gruppo di artisti gravitanti nell’orbita dell’astrattismo, o meglio praticanti quella particolare tendenza dell’astrattismo che veniva identificata con il nome di Arte Concreta o Concretismo.
Da questa premessa, il MAC sviluppò sin dai suoi esordi un’insofferenza nei confronti dell’opera artistica concepita come oggetto unico, concluso in se stesso, e manifestò la volontà di intervenire ad ampio raggio all’interno di tutti quegli ambiti interessati da una qualche valenza estetica. Il movimento si proponeva di ristabilire un diretto legame tra arte e società, che si riteneva fosse andato progressivamente deteriorandosi, attraverso l’affermazione di una nuova figura di artista moderno, che avesse la volontà e le capacità di soddisfare le esigenze estetiche della società industriale: all’interno di questo scenario appunto si colloca organicamente la tensione sviluppata dal movimento nei confronti del design.
Il dibattito relativo al design era in quegli anni, soprattutto in ambito milanese, di particolare attualità, come dimostra l’interessamento che vi dedicarono numerose riviste, come “Domus” e “Stile Industria”, enti, quali la Triennale ed il Museo della Scienza e della Tecnica, e che si manifestò anche a livello istituzionale, coinvolgendo il Ministero della Pubblica Istruzione. Entro questo contesto si inserisce quindi l’apporto del MAC alla questione, che si concretizzò principalmente in una serie di mostre le quali da una parte manifestavano e riassumevano il dibattito del MAC relativo al design, dall’altra fornivano uno spunto di ulteriore riflessione.
Tali mostre sono state definite “mostre di design”; in realtà esse non esponevano progetti tecnici effettivamente realizzabili, né oggetti prodotti industrialmente in serie a partire da un progetto originario. Tali manifestazioni, che si proponevano soprattutto di rendere noto al pubblico ed agli industriali in che modo il capitale di creatività proprio dell’artista fosse in grado di piegarsi a soddisfare le esigenze estetiche della collettività, si mantennero sempre su di un piano propositivo e sperimentale: gli artisti del MAC (a parte Munari) non avevano infatti le capacità tecniche né l’esperienza professionale per porsi come veri e propri designer.
La visione del design che ne emerge è quella di un terreno d’incontro tra le esigenze dell’arte e quelle dell’industria, di uno strumento attraverso il quale sarebbe stato possibile ricomporre la frattura tra arte e società. Tuttavia il ruolo dell’artista in questo processo venne sopravvalutato, trascurando quello giocato dall’industria, per lo più disinteressata al discorso culturale portato avanti dal movimento e legata ad una logica di profitto.
L’interesse verso il design, all’inizio coerente con l’impostazione artistica del MAC, con l’avvento dell’informale determinò una contraddizione interna che portò sia alla fine del gruppo, sia al mantenimento su di un piano superficiale del dibattito sul design.
Il contributo apportato dal MAC al design italiano si situa ad un livello culturale piuttosto che esplicitamente formale: il suo merito fu quello di aver contribuito ad aggiornare la cultura italiana su temi che a livello europeo avevano già fatto il loro corso.
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Informazioni tesi
Autore: | Elisabetta Barone |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2001-02 |
Università: | Università degli Studi di Torino |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Lettere |
Relatore: | Francesco Poli |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 274 |
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