Presentazione
quelle, facenti capo al MAC, che si ebbero a Torino, in Liguria, in
Toscana, a Roma, a Napoli ed a Catania, si è tenuto conto in
riferimento alla situazione del gruppo di Milano.
Negli anni Cinquanta fu infatti particolarmente vitale a Milano il
dibattito relativo alla professione di designer ed alla disciplina del
design, che si stava affermando in Italia trovando proprio nel capoluogo
lombardo il terreno favorevole sul quale svilupparsi; è parso pertanto
interessante osservare come gli artisti del MAC tentassero di introdursi
in questo discorso, cercando di stabilire un rapporto diretto con tale
disciplina, che sembrava dischiudere agli artisti la possibilità di
impegnarsi concretamente nella produzione, recuperando un ruolo
attivo all’interno della società contemporanea. Tale aspetto non è stato
mai affrontato in modo specifico dai precedenti studi sul MAC, che
analizzano il movimento dal punto di vista prevalentemente pittorico,
limitandosi a constatare l’esistenza di un interesse da parte del
movimento nei confronti del design.
Tentando di delineare il percorso compiuto dal movimento, sono
stati messi in luce in modo particolare quegli aspetti di
interdisciplinarietà che lo caratterizzarono, tra i quali si colloca la
tensione verso il design. Non si è ritenuto opportuno seguire una
scansione rigidamente cronologica, che sarebbe risultata dispersiva e
scarsamente significativa al fine di mettere in luce le principali
caratteristiche del gruppo e soprattutto quegli elementi che si
intendevano approfondire; il percorso cronologico è stato pertanto
integrato con una trattazione tematica, che affronta per argomenti gli
aspetti salienti della vita e dell’attività del movimento. Il decennio in
Presentazione
cui il MAC fu attivo è stato suddiviso in due fasi, la prima dal 1948 al
1952 e la seconda dal 1953 al 1958, sia per motivi di comodità
storiografica sia per gli effettivi cambiamenti avvenuti all’interno del
gruppo a cavallo degli anni 1952-1953.
2
Per quanto riguarda il primo periodo, è sembrato interessante
tracciare il percorso di chiarificazione teorica tentato dai membri del
MAC, in particolare da Gillo Dorfles e da Gianni Monnet,
relativamente al concetto di “concretismo”, esperienza di ambito
europeo, scarsamente conosciuta in Italia. Prendendo le mosse dalla
mostra “Arte astratta e concreta”, tenutasi a Milano nel Ex Palazzo
Reale nel 1947, che fece da stimolo alla costituzione del MAC, il
concretismo approdò in Italia, dove si ritenne necessario distinguerlo e
giustificarlo rispetto alle altre correnti artistiche allora presenti,
soprattutto da quelle di matrice astrattista, con le quali poteva venire
confuso. Ripercorrendo gli scritti di Monnet e Dorfles relativi a questo
tema, emerge una concezione estremamente fluida di arte concreta,
fluidità sulla quale si fondarono le origini stesse del movimento, che
infatti non elaborò mai una poetica netta ed unitaria. La diversa
personalità artistica ed il differente iter formativo che caratterizzò i
quattro fondatori impedì che il MAC stabilisse attorno a sé confini
definiti troppo precisamente, ponendosi fin dall’inizio come
2
Già gli studiosi Luciano Caramel e Marco Meneguzzo, occupandosi della storia del MAC,
la suddivisero in due fasi: Caramel dal 1948 al 1952 e dal 1953 al 1958, mentre
Meneguzzo, con lieve scarto, dovuto probabilmente al considerare gli avvenimenti accaduti
nel 1953 come conclusione di un ciclo invece che come avvio di una nuova fase, dal 1948
al 1953 e dal 1954 al 1958. Si confronti in proposito: L. CARAMEL (a cura di), M.A.C.
Movimento Arte Concreta 1948-1958, Electa, Milano, 1984, e M. MENEGUZZO, Il M.A.C.
1948-1958. Direzioni, contraddizioni e linee di sviluppo di una poetica aperta, D’auria, Ascoli
Piceno, 1981.
Presentazione
organizzazione catalizzatrice di esperienze gravitanti nell’orbita
dell’avanguardia astrattista. Nel contempo, il concretismo, che
rappresentava il nucleo sul quale il gruppo si era aggregato, sembrava
caricarsi di quelle valenze progettuali, il cui sbocco naturale era
rappresentato dalla produzione dell’oggetto utile, che già
caratterizzavano il concretismo svizzero di Max Bill e Max Huber.
Durante la seconda fase di attività del movimento, il concretismo,
come ideale di riferimento, venne progressivamente sostituito da quello
di sintesi delle arti, che si proponeva di integrare le varie forme d’arte
sotto l’egida dell’architettura, in modo da dare luogo ad una sorta di
opera d’arte totale che circondasse ed accogliesse ogni aspetto delle vita
quotidiana. Tale concezione presupponeva un ampliamento delle
competenze dell’artista, che, nello sforzo di realizzare tale sintesi, doveva
rendersi disponibile al confronto ed al dialogo con architetti e tecnici
da una parte e sensibilizzarsi alle esigenze del pubblico dall’altra, fino ad
assumere le caratteristiche di designer, figura di ponte tra le istanze
dell’industria e quelle della committenza. Parallelamente aumentavano
gli aderenti al MAC, cooptati in numerose città della penisola, che
portarono in alcuni casi alla costituzione di sedi decentrate del
movimento.
Particolare attenzione è stata dedicata alle pubblicazioni del MAC,
ovvero alla copiosa serie di bollettini, annuari ed opuscoli che il
movimento produsse nei suoi anni di attività. Il gruppo prestò sin dai
suoi esordi molta attenzione all’aspetto della comunicazione, dalle
pubblicazioni, all’importanza attribuita all’allestimento delle mostre,
fino alle trasmissioni radiofoniche di Monnet e alle riprese televisive dei
Presentazione
vernissages.
In questo discorso si inseriscono organicamente gli interessi che il
MAC nutrì nei confronti della divulgazione e della didattica artistica,
che si concretizzarono sia nelle pubblicazioni edite dal movimento, sia
nell’attività di alcuni membri, quali Nino Di Salvatore, Gianni Monnet
e Galliano Mazzon. Tali interessi presupponevano una concezione del
fare artistico simile a quella che stava alla base della tensione verso il
design, ovvero la volontà da parte degli artisti di partecipare attivamente
alla vita sociale, contribuendo ad un miglioramento del generale tenore
di vita.
Mentre nei capitoli precedenti l’attenzione verso il design ha
costituito l’angolo prospettico privilegiato attraverso cui guardare
l’intera vicenda del MAC, nel quarto capitolo sono stati evidenziati in
maniera specifica gli interventi, sia concreti che teorici, che il
movimento operò al fine di stabilire un rapporto tra arte e design, tra
gli ambiti di competenza dell’artista e del tecnico. Il MAC organizzò
alcune mostre, che sono state definite “di design”, riprendendo la
valutazione che ne diede Enrico Bordoni, ultimo presidente del
movimento,
3
anche se esse furono più propriamente dei tentativi
operati in tale direzione. Oltre a quelle organizzate direttamente dal
gruppo, gli artisti del MAC parteciparono inoltre ad altre mostre aventi
per tema i rapporti tra arte e produzione industriale, che testimoniano
come le istanze portate avanti dal movimento fossero
contemporaneamente condivise anche da altre realtà. Non si è potuto
3
Si confronti in proposito: E. BORDONI, presentazione per la mostra delle edizioni del
MAC 1948-1958, in “Documenti d’arte d’oggi 1958”, p.83.
Presentazione
inoltre prescindere dal ricordare il contributo apportato alla questione
del design da alcuni suoi membri, quali Gillo Dorfles, attivo soprattutto
dal punto di vista divulgativo e teorico, Bruno Munari, che stava
conducendo, contemporaneamente alla sua partecipazione al MAC,
concrete esperienze di progettazione per l’industria, e Nino Di
Salvatore, che si occupò del problema relativamente all’aspetto
didattico e disciplinare. Dopo aver apportato gli elementi ed i dati
relativi al dibattito interno al movimento sulla questione del design, si è
infine tentato di fornire un bilancio di questo particolare aspetto della
vita del movimento, delineandone il significato in rapporto ad una
valutazione complessiva dell’esperienza.
Per quanto riguarda le fonti utilizzate nella realizzazione di questo
studio, si è fatto largamente ricorso, dopo un attento esame della
bibliografia esistente sul MAC e di quella utile ad inquadrare la
questione del design relativamente alle date che rappresentano i limiti
cronologici della presente ricerca, ai materiali dell’epoca, quali riviste e
cataloghi di mostre. Inoltre, ci si è avvalsi del prezioso ed abbondante
materiale direttamente edito dal MAC; si tratta di pubblicazioni a
carattere divulgativo realizzate, con scarsi mezzi, dal momento che il
gruppo non si sentiva adeguatamente rappresentato da giornali e riviste
esistenti. Questo tipo di materiale è stato esaminato sotto due aspetti:
quello dei contenuti e quello, non meno importante, della forma. Nelle
pubblicazioni del MAC infatti sono riportate informazioni riguardanti
le iniziative e le attività del movimento, insieme a testi critici tesi a
chiarire, se non una linea comune, per lo meno le diverse posizioni che
nel MAC potevano trovare ospitalità. Tuttavia esse rappresentano
Presentazione
anche la concretizzazione, una delle poche e forse la più riuscita,
dell’aspirazione, interna al MAC, a dilatare il campo operativo
dell’artista dall’arte pura a quella applicata, nella quale rientra a pieno
titolo la grafica. Soprattutto per quel che riguarda la serie dei quindici
bollettini di “Arte Concreta”, infatti, la veste grafica, curata da Monnet
e Munari, riveste un’importanza almeno pari a quella dei testi scritti.
I quindici bollettini di “Arte Concreta” sono stati facilmente
reperiti, in quanto ne venne fatta una ristampa nel 1981, a cura di
Silvio Spriano. I restanti testi editi dal MAC, sono stati rintracciati in
parte presso la biblioteca della Civica Galleria d’Arte Moderna di
Gallarate, dove si trova l’Archivio Storico Nazionale dedicato al MAC,
formato in gran parte da materiali raccolti in occasione della mostra
dedicata al movimento, realizzata nel 1984 a cura di Luciano Caramel e
successivamente arricchitosi, anche se al momento versa in uno stato, se
non proprio di abbandono, di oblio. Ciò che non è stato possibile
reperire a Gallarate, è stato esaminato presso l’abitazione di Luciano
Berni Canani, a Roma, che da circa vent’anni colleziona opere di artisti
del MAC e materiale documentario relativo al movimento.
Sono state inoltre esaminate le testimonianze dirette degli ex
membri del movimento che è stato possibile intervistare, ovvero Gillo
Dorfles, Adriano Parisot e Carlo Perogalli (il testo delle interviste è
riportato in appendice al volume). Poter conoscere le opinioni di chi
fece parte del movimento artistico oggetto della propria ricerca è
un’esperienza entusiasmante; tuttavia, tali testimonianze non sono state
accolte passivamente, ma sottoposte a verifica e vaglio critico. Infatti si
chiedeva agli intervistati di fare un balzo indietro nella memoria di più
Presentazione
di cinquant’anni ed è probabile e comprensibile che ricordi così lontani
nel tempo possano contenere imprecisioni. Inoltre, la prospettiva
attraverso la quale un artista valuta la propria esperienza può essere
parziale e comunque non necessariamente coincidente con quella dello
studioso, che ha il compito di ricostruirla oggettivamente.
Infine, si è ritenuto opportuno sottoporre all’attenzione del lettore
una breve antologia di testi, elaborati nell’ambito del MAC, scelti tra i
più significativi tra quelli inerenti la questione del design. Si tratta di
scritti estrapolati da vari contesti che, per la loro importanza al fine di
illuminare il dibattito relativo al design all’interno del MAC, sono stati
citati nel corso del presente studio; presentarli integralmente, uno di
seguito all’altro ed in ordine cronologico, può contribuire ad offrire
una verifica ed un riepilogo di quanto affermato nelle pagine
precedenti, ma anche lo spunto per un’ulteriore riflessione.
Capitolo 1. MAC 1948-1952
Capitolo 1. MAC 1948-1952
Il Movimento Arte Concreta si costituì alla fine del 1948 e fu, tra i
numerosi gruppi artistici sorti nell’immediato dopoguerra, uno dei più
longevi, dal momento che la sua attività si protrasse per un decennio,
sebbene con maggior vivacità nei primi anni rispetto agli ultimi.
Nel momento della formazione del MAC, la vita culturale italiana
stava attraversando una fase estremamente particolare e delicata, ancora
fortemente segnata dall’eredità della guerra. Dopo la tragica esperienza
bellica ed il ventennio fascista, il paese aveva attraversato un periodo di
euforia, motivata dal fatto che, dopo i rivolgimenti che avevano
coinvolto l’Europa ed il mondo intero, la costituzione di un ordine
sociale rinnovato, più equo, sembrava finalmente un obiettivo
raggiungibile e prossimo. Il mondo culturale ed artistico partecipò a
questo clima di ottimismo post bellico e gli stessi artisti sentirono
l’esigenza di collaborare, secondo i propri mezzi e le proprie possibilità,
alla ricostruzione civile.
Tale impegno assunse in più casi connotati politici, come avvenne
per il movimento dei realisti, incoraggiato dal partito comunista
italiano, che si proponeva di offrire un contributo alla lotta di classe
utilizzando un linguaggio figurativo, spesso non privo di accenti
espressionistici e patetici, per rappresentare la condizione delle classi
lavoratrici, in modo conforme alle direttive provenenti dall’Unione
Sovietica, patria del comunismo internazionale. Si riteneva che tale
modalità espressiva fosse più vicina e comprensibile al popolo, quindi
Capitolo 1. MAC 1948-1952
più adatta a comunicargli sentimenti ed ideali.
4
Polemicamente con i realisti ed il partito comunista, anche gruppi
di pittori astrattisti, come Forma
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e gli astrattisti classici
4
Il partito comunista italiano, seguendo le direttive provenienti da Mosca, si adoperò per
promuovere, attraverso un’apposita Commissione Culturale, un’ arte populista e
propagandistica, totalmente subordinata alle esigenze della politica ed ispirata a modelli
inattuali. I critici allineati alle direttive del partito, come Antonello Trombadori, si
scagliavano dalle colonne del quotidiano “l’Unità” e del mensile “Rinascita” contro ogni
individualismo in arte ed a favore dell’adesione alle lotte popolari. Il realismo sociale, come
venne chiamato il realismo di ispirazione sovietica, si chiuse sempre di più in se stesso:
sotto l’egida del partito comunista si formò in Italia un mercato artistico “protetto” e
parallelo, con le sue mostre, i suoi premi, il suo pubblico di amatori; questo sistema
artificiale, che aveva tagliato tutti i ponti con la vita artistica e culturale esterna ad esso,
morirà per asfissia intorno alla metà degli anni cinquanta. Molti intellettuali di sinistra,
tuttavia, osteggiarono questo tipo di politica culturale: si ricordi in proposito la posizione di
Elio Vittorini, che sulle pagine de “Il Politecnico” riprese un importante intervento di
Roger Garaudy, esponente del partito comunista francese e teorico del marxismo, nel quale
suggeriva di superare il dilemma tra formalismo e realismo, poiché considerava impossibile
stabilire quale fosse il più consono all’ideologia comunista, ed esortava gli artisti a non
fermarsi a Picasso, ma ad elaborare un proprio linguaggio ed a lavorare quindi in piena
libertà. Vittorini, introducendo questo testo, sottolineava la pericolosità di instaurare un
regime culturale di partito e ribadiva la necessità di diffondere la cultura tout court. (Testo
parzialmente ripubblicato in: L. CARAMEL, “La premessa e l’eredità di Corrente, i
‘realismi’ a Milano e a Roma, il Fronte Nuovo delle Arti”, in L. CARAMEL (a cura di), Arte
in Italia 1945-1960, Vita e Pensiero, Milano, 1994, p.19-20.)
5
Il gruppo Forma, costituitosi a Roma nel 1947, sostenne la possibilità di coniugare
ideologia marxista ed astrattismo. Il manifesto del gruppo comparve sul primo numero del
mensile “Forma”, sottoscritto da Accardi, Attardi, Consagra, Dorazio, Guerrini, Perilli,
Sanfilippo e Turcato: “Noi ci proclamiamo FORMALISTI e MARXISTI, convinti che i
termini marxismo e formalismo non siano INCONCILIABILI, specialmente oggi che gli
elementi progressivi della nostra società debbono mantenere una posizione
RIVOLUZIONARIA e AVANGUARDISTICA e non adagiarsi nell’equivoco di un
realismo spento e conformista che nelle sue più recenti esperienze in pittura e in scultura
ha dimostrato quale strada limitata ed angusta esso sia. La necessità di portare l’arte italiana
sul piano dell’attuale linguaggio europeo ci costringe ad una chiara presa di posizione
contro ogni sciocca e prevenuta ambizione nazionalistica e contro la provincia pettegola e
inutile quale è la cultura italiana odierna.” (Manifesto del gruppo Forma, in “Forma 1”, Roma,
aprile 1947, ripubblicato in T. SAUVAGE, Pittura italiana del dopoguerra, Schwarz, Milano,
1957, p.248). Su “Forma 1” si prendeva polemicamente posizione anche nei confronti
dell’astrattismo milanese, ed in particolare nei confronti del MAC, con il quale per altro il
gruppo romano intrattenne frequenti rapporti, come anche con altri astrattisti provenienti
da altre zone d’Italia. Col trascorrere del tempo, gli interessi degli artisti del gruppo
conversero sempre più verso l’aspetto formale dell’opera d’arte. Forma si sfalderà nel 1951.
Capitolo 1. MAC 1948-1952
fiorentini,
6
si richiamarono all’ideologia marxista, alla quale si
riteneva di poter esprimere fedeltà anche attraverso un linguaggio
lontano dal figurativismo, ancora legato a matrici ottocentesche,
praticato dai realisti.
Le ottimistiche aspettative nate dopo la guerra ed incoraggiate
dall’esperienza eroica della resistenza, furono tuttavia destinate a
rimanere in gran parte deluse; conseguentemente, si ebbe un
progressivo allontanamento degli artisti dalla vita politica. Prima però
del ripiegamento individualistico, proprio della tendenza informale, si
colloca l’esperienza del MAC. Il movimento, infatti, non ritenne
opportuno prendere posizione nei confronti della vita politica, nei
confronti della quale non manifestò interesse; tuttavia, l’esigenza di
6
Come il gruppo Forma, anche quello degli astrattisti classici fiorentini, che si raccolsero
intorno al movimento “Arte d’oggi”, sentì l’esigenza di coniugare impegno politico ed
astrattismo, e di esprimersi attraverso un linguaggio moderno ed europeo. La prima
occasione espositiva del movimento fu costituita dalla mostra “Contenuto e forma della
nuova realtà” del 1947, che tuttavia, nonostante le premesse, espresse una situazione
provinciale, tra post-cubismo ed espressionismo. In seguito i pittori fiorentini riuscirono ad
abbandonare questo isolamento: alcuni di essi, come era consuetudine, si recarono a Parigi
per aggiornare il proprio bagaglio culturale, mentre il gruppo si confronterà con altre realtà
operanti in quel periodo nell’ambito dell’astrattismo. Alcuni astrattisti fiorentini si
attestarono sempre più su posizioni concretiste e intrattennero rapporti col MAC milanese.
Le posizioni di questo gruppo vennero espresse nel Manifesto dell’Astrattismo classico, redatto
a Firenze dal filosofo Ermanno Migliorini nel 1950. Questo documento, sottoscritto da
Berti, Brunetti, Monnini, Nativi e Nuti, esprimeva l’esigenza da parte dell’artista di
intervenire nella realtà, di abbandonare ogni isolamento “per scendere fra gli uomini vivi”,
badando però al fatto che “l’esigenza morale e politica vale solo se trasportata sul piano
concreto di una raggiunta espressione”.“La logica conseguenza stilistica, maturatasi in una
più chiara coscienza morale, dei movimenti interventistici dell’arte moderna è l’astrattismo
classico. In esso si può cogliere la fine della volontà di distruzione dell’oggetto e l’inizio di
un intervento attivo e costruttivo, di una integrazione del reale”, laddove la “volontà di
distruzione dell’oggetto” è identificata col cubismo. Interessanti inoltre alcuni accenni ad
uno “spirito razionalista”, al “funzionalismo”, che lasciano intravedere la possibilità di
intervenire nel reale, uscendo dallo spazio della tela dipinta per abbracciare nuovi e meno
codificati ambiti artistici, nell’aspirazione a quell’unità delle arti che tanta importanza avrà
all’interno del MAC. (Manifesto dell’astrattismo classico, ripubblicato in T. SAUVAGE,
Pittura italiana del dopoguerra, Schwarz, Milano, 1957, pp.251,252,257.)
Capitolo 1. MAC 1948-1952
impegnarsi attivamente a favore della società non svanì del tutto, ma si
convertì, scevra da ogni connotazione di parte, nell’interesse verso il
design, la didattica e la divulgazione artistica, l’aspirazione ad un’arte
che fosse in grado di coinvolgere e permeare di sé tutti gli aspetti della
vita umana, contribuendo così ad innalzare il livello estetico, morale ed
infine il benessere della collettività.
Le radici di questo atteggiamento risalivano al riferimento, operato
da parte del MAC, al concretismo internazionale di Wassily Kandinsky
e Theo Van Doesburg ed in particolare al concretismo svizzero di Max
Bill e Max Huber, legatosi nel corso della sua storia alle vicende ed allo
spirito della Bauhaus.
Tuttavia, quando in MAC si costituì, queste tensioni erano
presenti soltanto in nuce all’interno del movimento, che si proponeva
prima di tutto come gruppo di artisti concretisti, ovvero professanti
quella particolare declinazione dell’astrattismo che prevedeva il totale
abbandono di qualsivoglia riferimento, anche puramente simbolico, al
mondo reale, ma anche emozionale, all’interno dell’opera artistica, che
doveva risolversi in una concretizzazione di forme e colori sulla tela,
secondo uno schema più o meno geometrico.
Il movimento si proponeva di risolvere la situazione di isolamento
culturale che affliggeva l’Italia, conseguentemente al ventennio fascista,
richiamandosi ad un’esperienza europea, a dire il vero già datata, che il
paese non aveva avuto modo di conoscere compiutamente a tempo
debito. Il MAC intravedeva, riferendosi al concretismo e facendolo
proprio, la possibilità di raggiungere quell’aggiornamento culturale,
quell’ideale di modernità che rappresentava l’ambizione di molti che, in
Capitolo 1. MAC 1948-1952
quegli anni, cercavano ansiosamente di recuperare il tempo perduto.
Alla fine degli anni Quaranta, quando la vita culturale italiana era
ancora per lo più legata a canoni post-cubisti e post-novecentisti ed il
dibattito critico spesso era confinato nell’hortus conclucus delle
polemiche tra astrattismo e realismo, il professarsi concretisti,
ereditando una tradizione europea consolidata, costituiva
effettivamente un passo in avanti. Tuttavia, si trattava di una strada che
non avrebbe potuto essere percorsa a lungo, poiché troppo strettamente
legata ad un’esperienza che, a livello internazionale, aveva già compiuto
il suo corso.
1.1. Mostra “Arte astratta e concreta”
Il termine “arte concreta” non aveva in Italia una lunga tradizione,
tuttavia venne utilizzato nel 1947 in occasione di una mostra
organizzata dal gruppo culturale “L’Altana”, in particolare da Lanfranco
Bombelli Tiravanti,
7
Max Huber e Max Bill, nell’ex Palazzo Reale di
Milano, che fu infatti intitolata “Arte astratta e concreta”.
8
7
Come si apprende da una recente intervista, nelle intenzioni di Lanfranco Bombelli
Tiravanti, la mostra avrebbe dovuto diffondere la conoscenza dell’arte concreta, alla quale
si era appassionato durante i suoi studi in Svizzera, e che nella sua concezione era basata
sulla geometria e sulla matematica. Dietro consiglio di Max Bill, venne inserita anche l’arte
astratta, più familiare al pubblico italiano; il confronto diretto avrebbe inoltre dovuto
giovare ad evidenziarne le differenze. Si confronti in proposito:L. BERNI CANANI (a cura
di), Intervista a “Lanfranco Bombelli Tiravanti”, in L. BERNI CANANI, G. DI GENOVA
(a cura di), MAC/Espace Arte Concreta in Italia e in Francia 1948/1958, Bora, Bologna,
1999, pp. 47-48.
8
La mostra “Arte astratta e concreta” fu la prima di un certo rilievo ad occuparsi di arte
concreta in Italia, ed è la più significativa al fine di contestualizzare l’esperienza del MAC;
tuttavia venne preceduta cronologicamente da due altre mostre, tenutesi a Milano, dedicate
al concretismo, la prima presso la Galleria Bergamini nel 1945, la seconda presso la
Galleria Ciliberti nel 1946.
Capitolo 1. MAC 1948-1952
Alla mostra esposero Jean Arp, Franco Bassi, Max Bill, Walter
Bodmer, Ezio Filippo Bonini, Camille Graeser, Jean Herbin, Hans
Hinterreiter, Max Huber, Wassily Kandinsky, Paul Klee, Leo Leuppi,
Osvaldo Licini, Richard Paul Lohse, Galliano Mazzon, Bruno Munari,
Manlio Rho, Ettore Sottsass jr, Sophie Taeuber-Arp, Georges
Vantongerloo, Luigi Veronesi, Friedel Vordemberge-Gildewart
(immagine II, p.183).
Come si lamenta a p.3 del catalogo edito per l’occasione, mancavano
tra le opere esposte il materiale raccolto in Francia da Léonce
Rosemberg, i lavori di Piet Mondrian, Theo Van Doesburg, Laszlo
Moholy-Nagy, Anton Pevsner, Constantin Brancusi e di artisti inglesi,
americani e russi. Ben rappresentata fu invece la Svizzera, paese rimasto
neutrale durante la seconda guerra mondiale, forse anche in ragione del
fatto che gli organizzatori stessi erano svizzeri, o per nascita o per
formazione. Da notare la partecipazione di alcuni artisti italiani che
avrebbero dato vita al MAC l’anno seguente o che vi avrebbero aderito
in seguito, ovvero Galliano Mazzon, Bruno Munari, Manlio Rho e
Luigi Veronesi.
Obiettivo della mostra fu quello di affermare la natura dell’arte
concreta contrapponendola all’astrattismo, dal quale si differenziava per
essere completamente slegata da suggestioni provenienti dal mondo
reale. L’opera d’arte concreta, infatti, si costituiva unicamente in base
agli elementi costruttivi di forma e colore, libera da ogni sudditanza
rappresentativa, configurandosi come oggetto autonomo.
Nel catalogo, curato da Lanfranco Bombelli Tiravanti, si trovano testi
di Wassily Kandinsky (L’arte concreta), Max Bill (Dall’arte astratta all’arte
Capitolo 1. MAC 1948-1952
concreta), Ettore Sottsass jr (Per qualcuno può essere lo spazio) e Georges
Vantongerloo, relativi alla definizione del concetto di concretismo.
Questa mostra, che fu verosimilmente uno stimolo importante per la
formazione del Movimento Arte Concreta nel 1948, non riuscì tuttavia
a dissipare, come si proponeva, le ambiguità che aleggiavano intorno al
concetto di “concretismo”,
9
tant’è vero che tale compito si ripresentò ai
membri del MAC all’indomani della sua formazione.
1.2. Definizioni di “arte concreta”elaborate all’interno del
MAC
Sin dai primi anni di attività del MAC emerse, da parte di quei
membri che più intensamente vi svolgevano anche un impegno critico,
l’esigenza di fornire una definizione chiara e definitiva del termine
“concretismo”, che ci si auspicava di far subentrare a quello di
“astrattismo”, impropriamente usato anche per definire quelle opere
che non rappresentavano l’astrazione di alcunché. Tale operazione non
sortì l’effetto sperato: infatti il termine, riesumato dal MAC, che si
intendeva promuovere, non ebbe la forza di imporsi e cadde presto in
disuso, tanto più che dal movimento non ne venne elaborata una
definizione rigorosamente univoca e ciò contribuì senz’altro ad
accrescere la confusione che aleggiava intorno ad esso.
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Secondo Martina Corgnati, infatti, la mostra non riuscì nell’intento di chiarire al
pubblico cosa fosse l’arte concreta e come si differenziasse dall’astrattismo: ne emerse
invece una sostanziale continuità tra le due tendenze. Si confronti in proposito:
M.CORGNATI (a cura di), M.A.C. e dintorni. Concretismo, sintesi delle arti, problemi di
percezione visiva. Arte a Milano 1946-1959, Credito Valtellinese, Comune di Sondrio,
Assessorato alla Cultura, Sondrio, 1997, p.12.