La cooperazione tra imprese nella ricerca: un'analisi reticolare
Negli anni ’90 l’elevata competizione internazionale e i rapidi cambiamenti tecnologici, caratteristiche peculiari ma non esclusive dei settori Hi-Tech, hanno spinto le imprese ad intraprendere atteggiamenti collaborativi, spesso concretizzatisi in accordi di cooperazione. Questo fenomeno, a differenza di quanto si possa credere, non si è limitato alle sole multinazionali ma ha interessato organizzazioni di dimensioni variabili, assumendo così una sempre maggiore rilevanza nel quadro competitivo e obbligando le stesse imprese ad una revisione delle strategie competitive in essere.
La novità dell’evoluzione recente riguarda però il contenuto di tali accordi, che tendono ad interessare sempre di più non solo aree puramente pre-competitive ma anche e in misura crescente la realizzazione di prodotti e processi innovativi.
La collaborazione dà luogo ad un’ampia gamma di intese di tipo contrattuale che vanno dalle società in compartecipazione (joint-venture con capitale detenuto da più imprese) alle partecipazioni incrociate fino a semplici accordi di carattere contrattuale che non prevedono compartecipazione (non-equity, come licenze e brevetti, cessioni di tecnologia, ecc.). Non rientrano, naturalmente, nella fattispecie le acquisizioni e le fusioni poiché “portano alla nascita di un’unica entità e non più a relazioni fra due imprese differenti” (Balcet e Viesti, 1986).
La logica alla base degli accordi di cooperazione tecnologica sta nel riconoscimento da parte dell’impresa della necessità di entrare in possesso di determinati assets (materiali e immateriali) di cui essa non dispone, fondamentali per la crescita aziendale, e della contemporanea valutazione della maggior convenienza economica ad acquisire all’esterno queste risorse in alternativa allo sviluppo interno. Tale scelta può dipendere da molteplici fattori: l’aumento dei costi degli investimenti in Ricerca e Sviluppo (R&S), spesso su più frontiere tecnologiche, l’importanza sempre crescente del fattore tempo, visto l’aumento continuo dell’intensità concorrenziale ed il conseguente accorciarsi del ciclo di vita di molti prodotti, l’alta appropriabilità delle competenze necessarie, etc.
Inoltre, a fronte di mutate condizioni di mercato o di prospettive tecnologiche non attentamente valutate, può essere più semplice ritirarsi da una coalizione piuttosto che disinvestire dallo sviluppo interno (Porter, 1986).
Ovviamente, a caratterizzare gli accordi vi sono altresì rischi futuribili di insuccesso: comportamenti opportunistici, obiettivi divergenti, incapacità di evidenziare in modo chiaro la strategia da seguire, incompatibilità delle culture aziendali e conseguente incapacità di collaborazione proficua, asimmetria tra partners che porta a situazioni di dominanza di un’impresa su di un’altra.
Come già detto, risulta comunque che il numero di accordi siglati negli ultimi anni è crescente e mette in luce un sempre maggiore utilizzo di tale linea strategica, specialmente nei settori ad alta tecnologia.
L’industria chimica spende più di ogni altra in R&S (nel ‘97 circa il 18% dei suoi quasi 300 bilioni di dollari di introiti delle vendite); nonostante la cifra aumenti di anno in anno, il flusso di nuovi prodotti diminuisce e soltanto con una solida base di R&S si rendono possibili delle innovazioni: questa è una delle ragioni per cui le imprese chimiche sono sotto pressione dal punto di vista finanziario. La risposta può essere un cambiamento significativo nel modo di operare delle imprese, mediante un allargamento dei propri obiettivi e delle proprie frontiere proprio grazie ad una rete di accordi (il network) di natura tecnologica.
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Informazioni tesi
Autore: | Marco Salvadeo |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 1997-98 |
Università: | Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano |
Facoltà: | Economia |
Corso: | Economia Politica |
Relatore: | Franco Malerba |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 214 |
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