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L'inglese a portata di Clil - potenzialità e criticità di una metodologia per l’apprendimento della lingua inglese alla Scuola Primaria

In questa tesi, si è cercato di portare avanti una riflessione sulla lingua inglese puntando i riflettori su una metodologia che potrebbe rappresentare una svolta rispetto alle attuali prassi didattiche. Per dimostrarlo sono partita da lontano, sia in termini temporali che spaziali. Sono partita dalla visione della Comunità Europea di creare una comunità di Paesi e culture che cooperano per la crescita sociale, economica e culturale di ognuno. Una visione di ampie prospettive, all’interno delle quali, operano i singoli Paesi, le singole culture. Solo questa idea mi sembra un motivo valido per applicare la metodologia combinando aspetti scientifici e umanistici.
Questa tesi si compone di quattro capitoli nei quali sono stati esaminati gli aspetti teorici e pratici relativi al Clil, integrando tra loro nozioni afferenti a più discipline.

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6 INTRODUZIONE La nostra quotidianità è costellata di parole straniere che ogni giorno vediamo nelle insegne dei, negozi, dei bar, in tutti luoghi socialmente frequentati. I bambini crescono andando al Mc Donald e conoscono bene ‘fonologicamente’ le parole ‘Chicken nugget’, ‘chips’, ‘hamburger’ che utilizzano in maniera spontanea e con un accento italiano. Nel linguaggio frammentato e compulsivo dei ragazzi si sono fatte strada parole come: boomer, cringe, ghosting, mood, bro- ther , sister, (solo per citarne alcune) che sono oramai parte integrante del loro lessico. Eppure, a livello scolastico i risultati Invalsi non riportano sempre risultati gratificanti. La riflessione personale che ha dato lo spunto per questa tesi si basa sulla semplice domanda: Perché pur avendo così tanti input non riusciamo a comunicare con gli stranieri se non gesticolando o cer- cando in qualche modo, arrancando, di farci capire alimentando il luogo comune secondo il quale “gli italiani gesticolano quando devono farsi capire o far capire”? Il linguaggio del corpo, la mimica della faccia e del viso aiutano ma perché in generale si fatica a comunicare in un’altra lingua. L’inglese che rappresenta la lingua comunicativa usata nella maggior parte degli ambiti lavorativi sembra rimanere un traguardo lontano per molte persone. Eppure, l’inglese come altre lingue sono insegnate nel nostro Paese da diversi anni. Queste domande che avevano fatto sempre parte delle mie riflessioni personali hanno acquisito maggiore enfasi durante lo scoppio della guerra in Ucraina. Un giorno ascoltando le interviste ai profughi mi colpì particolarmente la capacità comunicativa in lingua inglese di un ragazzo di 13 anni. La prima domanda che mi sono posta è stata: “come fa un ragazzino di quella età ad essere così fluente con la lingua?” Si è insinuata in me la curiosità di capire qualcosa in più rispetto all’apprendimento delle lingue guidata anche dalla passione che nutro verso l’inglese. Nelle varie esperienze personali che mi hanno portato a contatto con persone straniere sono sempre stata affascinata dall’utilizzo naturale che ne facevano mentre io, mi trovavo sempre a disagio per timore che la struttura grammaticale fosse scorretta, che l’accento non fosse “ma- drelingua”, che usassi solo poche parole. Si è sempre ripetuto che se non lo si pratia sempre è difficile impararlo. Luoghi comuni? Verità? L’ aspetto critico della non esposizione giocava a mio sfavore. Il risvolto era una continua sensazione di inadeguatezza. Sicuramente la respon- sabilità era della mia parte emotiva che bloccava qualcosa all’interno del mio cervello. La pro- pensione all’apprendimento delle lingue, nonostante i miei indubitabili limiti, e la curiosità verso la metodologia Clil che sempre più frequentemente ho ritrovato nei libri di testo a partire dalla Primaria, mi ha condotto a cercare un filo conduttore che rispondesse, senza alcuna pretesa

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