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INTRODUZIONE
La nostra quotidianità è costellata di parole straniere che ogni giorno vediamo nelle insegne
dei, negozi, dei bar, in tutti luoghi socialmente frequentati. I bambini crescono andando al Mc
Donald e conoscono bene ‘fonologicamente’ le parole ‘Chicken nugget’, ‘chips’, ‘hamburger’
che utilizzano in maniera spontanea e con un accento italiano. Nel linguaggio frammentato e
compulsivo dei ragazzi si sono fatte strada parole come: boomer, cringe, ghosting, mood, bro-
ther , sister, (solo per citarne alcune) che sono oramai parte integrante del loro lessico. Eppure,
a livello scolastico i risultati Invalsi non riportano sempre risultati gratificanti. La riflessione
personale che ha dato lo spunto per questa tesi si basa sulla semplice domanda: Perché pur
avendo così tanti input non riusciamo a comunicare con gli stranieri se non gesticolando o cer-
cando in qualche modo, arrancando, di farci capire alimentando il luogo comune secondo il
quale “gli italiani gesticolano quando devono farsi capire o far capire”? Il linguaggio del corpo,
la mimica della faccia e del viso aiutano ma perché in generale si fatica a comunicare in un’altra
lingua. L’inglese che rappresenta la lingua comunicativa usata nella maggior parte degli ambiti
lavorativi sembra rimanere un traguardo lontano per molte persone. Eppure, l’inglese come
altre lingue sono insegnate nel nostro Paese da diversi anni. Queste domande che avevano fatto
sempre parte delle mie riflessioni personali hanno acquisito maggiore enfasi durante lo scoppio
della guerra in Ucraina. Un giorno ascoltando le interviste ai profughi mi colpì particolarmente
la capacità comunicativa in lingua inglese di un ragazzo di 13 anni. La prima domanda che mi
sono posta è stata: “come fa un ragazzino di quella età ad essere così fluente con la lingua?” Si
è insinuata in me la curiosità di capire qualcosa in più rispetto all’apprendimento delle lingue
guidata anche dalla passione che nutro verso l’inglese.
Nelle varie esperienze personali che mi hanno portato a contatto con persone straniere sono
sempre stata affascinata dall’utilizzo naturale che ne facevano mentre io, mi trovavo sempre a
disagio per timore che la struttura grammaticale fosse scorretta, che l’accento non fosse “ma-
drelingua”, che usassi solo poche parole. Si è sempre ripetuto che se non lo si pratia sempre è
difficile impararlo. Luoghi comuni? Verità? L’ aspetto critico della non esposizione giocava a
mio sfavore. Il risvolto era una continua sensazione di inadeguatezza. Sicuramente la respon-
sabilità era della mia parte emotiva che bloccava qualcosa all’interno del mio cervello. La pro-
pensione all’apprendimento delle lingue, nonostante i miei indubitabili limiti, e la curiosità
verso la metodologia Clil che sempre più frequentemente ho ritrovato nei libri di testo a partire
dalla Primaria, mi ha condotto a cercare un filo conduttore che rispondesse, senza alcuna pretesa
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di esaustività, ad alcune domande che mi sono posta: cos’è il Clil, perché viene così incentivato?
Ha realmente le potenzialità per risolvere i problemi relativi all’apprendimento della lingua
inglese?
In questo elaborato che si compone di quattro capitoli nei quali sono stati esaminati gli aspetti
teorici e pratici relativi al Clil, integrando tra loro nozioni afferenti a più discipline.
Nel primo capitolo si sviluppa la cornice normativa all’interno della quale è germinata e
sviluppata l’idea del Clil come metodologia capace di realizzare gli obiettivi che la Comunità
Europea; cioè la valorizzazione del multilinguismo come strumento per la comunicazione, la
comprensione reciproca e la cooperazione tra i popoli. A tale proposito verranno prese in esame
le politiche linguistiche della Comunità Europea che hanno portato all’elaborazione dei livelli
di competenza degli apprendimenti in lingua comuni a tutti gli stati membri. Nel paragrafo
successivo si prende in esame la politica linguistica dell’Italia con particolare riferimento alla
lingua inglese e le conseguenze sul sistema d’Istruzione. Il capitolo prosegue con la visione
della Comunità Europea sull’apprendimento integrato per il raggiungimento degli obiettivi lin-
guistici.
Il secondo capitolo prende in esame il Clil partendo dagli aspetti teorici che affondano le
radici nella glottodidattica e fanno da impalcatura alla metodologia. Verranno prese in esame
le caratteristiche che lo rendono peculiare e lo definiscono. Nel paragrafo successivo si affron-
tano quelli che possono essere gli aspetti favorevoli al suo utilizzo per lo sviluppo delle com-
petenze e dell’apprendimento linguistico in particolar modo osservando come incide su alcuni
aspetti dell’apprendimento linguistico. Nei successivi paragrafi si analizzano alcune delle po-
tenziali criticità per la sua attuazione pratica.
Nel terzo capitolo appoggiandomi agli studi della psicologia e delle neuroscienze si tenterà
di mettere in luce quelli che sono i processi che sottostanno all’acquisizione del linguaggio e
dell’apprendimento del bambino focalizzandosi sul funzionamento fisiologico della memoria.
Si prenderanno in esame gli stili di apprendimento e le intelligenze multiple, e la loro correla-
zione con il funzionamento della memoria. Il capitolo prosegue mettendo in luce il ruolo che
giocano le emozioni e su quali aspetti del cervello incidono.
Alla luce di questo nell’ultimo paragrafo si cercherà di capire se, l’apprendimento esperienziale
possa sostenere la scelta dell’introduzione del Clil alla Primaria, evidenziandone i punti di con-
tatto.
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Nel quarto capitolo si affronta l’aspetto pratico. Nel primo paragrafo si cercherà di eviden-
ziare quali aspetti dell’organizzazione didattica saranno influenzati dall’adozione di questa me-
todologia, analizzando gli effetti sugli insegnanti, e le ricadute sulle scelte metodologiche –
didattiche della prassi in aula. Nel secondo paragrafo verranno messi in luce gli aspetti più
salienti di una programmazione in Clil, illustrando quali procedure si potrebbero seguire. Ven-
gono prese in considerazione le linee guida stilate per la regolamentazione delle prassi didatti-
che e progettazione di un modulo in Clil. Queste linee guida che prendono il nome dal progetto
Erasmus+, Clil 4 children, sono nate dalla collaborazione di paesi europei tra cui l’Italia su
commissione della Commissione Europea.
Il capitolo si chiude presentando alcuni dei progetti pilota nelle scuole del Trentino e della
Lombardia dove verranno mostrate alcuni esempi di progettazione in Clil.
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Capitolo I – Cornice normativa
Quest’anno si festeggiano i trent’anni dall’entrata in vigore del trattato di Maastricht avvenuta
il 1 novembre del 1993 con il quale sono state poste le basi fondanti dell’Unione Europea. Il
documento viene più spesso ricordato per le basi istituzionali, relative ai principi economici del
pareggio di bilancio, il patto di stabilità, per la politica monetaria ma, all’interno di questo im-
portante atto vengo stabilite le norme relative all’istruzione, alla cultura e ai diritti umani in una
visione di progetto socio-culturale oltre che politico-economico.
L’art. 126 del trattato sancisce:
«La Comunità contribuisce allo sviluppo di un'istruzione di qualità incentivando la cooperazione tra Stati membri
e, se necessario, sostenendo ed integrando la loro azione nel pieno rispetto della responsabilità degli Stati membri
per quanto riguarda il contenuto dell'insegnamento e l'organizzazione del sistema d'istruzione, nonché delle loro
diversità culturali e linguistiche. 2 . L' azione della Comunità è intesa: — a sviluppare la dimensione europea
dell'istruzione, segnatamente con l'apprendimento e la diffusione delle lingue degli Stati membri; — a favorire la
mobilità degli studenti e degli insegnanti, promuovendo tra l'altro il riconoscimento accademico dei diplomi e dei
periodi di studio; — a promuovere la cooperazione tra gli istituti d'insegnamento »
1
1.1. L’Europa e la politica linguistica
Il progetto Europa fin dai suoi primi passi ha fatto della pluralità culturale e linguistica uno dei
suoi principi guida, vedendo in queste ultime la possibilità di una integrazione dei cittadini
attraverso la promozione e conoscenza di altre lingue degli Stati membri oltre alla propria. Per
tale ragione è stata importante una riflessione sulle modalità di educazione al plurilinguismo
ritenuto, a ragion veduta, una caratteristica fondamentale dell’Europa in quanto importante per
la comunicazione, la comprensione reciproca e la cooperazione tra i popoli. Una sfida per l’Eu-
ropa che vede nel plurilinguismo e nella diversità culturale una via percorribile per una crescita
unitaria. Come affermato nel Libro Bianco del 1995:
«L'istruzione e la formazione trasmettono i capisaldi necessari all'affermazione di qualsivoglia identità collettiva,
consentendo nel contempo nuovi progressi scientifici e tecnologici. L'autonomia conferita agli individui, se con-
divisa da tutti, consolida il senso della coesione e radica il sentimento di appartenenza. La diversità culturale
dell’Europa, la sua antichità, la mobilità fra culture diverse sono grandissime opportunità di adattamento al nuovo
1
Trattato sull’Unione Europea – Gazzetta delle Comunità Europee -1992 Maastrich
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mondo che si profila all'orizzonte. Essere europei significa beneficiare di conquiste culturali di una varietà e di una
profondità ineguagliate»
2
Viene già dall’ epoca sottolineata l’importanza dell’istruzione e in particolare lo studio delle
lingue come collante per raggiungere gli ambiziosi obiettivi sociali ed economici che rappre-
sentavano l’idea dell’Europa nascente. Nel tempo sia gli studi di sociologia della comunica-
zione che di glottodidattica hanno sostenuto che l’educazione linguistica fosse in grado di con-
tribuire al loro raggiungimento e che attraverso di essa fosse possibile formare personalità
adatte a vivere adeguatamente nella società globalizzata. Il vertice di Barcellona 2002 pose tra
gli obiettivi la garanzia di estensione dell’insegnamento di due lingue straniere fin dall’infanzia.
Per indirizzare questo percorso, la Commissione Europea ha varato negli anni una serie di riso-
luzioni che hanno contribuito come più volte ribadito, alla promozione e al sostegno dello svi-
luppo del multilinguismo in Europa attraverso l’implementazione di strumenti tra i quali:
Il CEFR o in italiano QCERT ovvero il quadro comune europeo di riferimento per le lingue che
stabilisce un sistema comune di descrizione delle competenze linguistiche; si basa su una scala
di sei livelli da A1 a C2 che stabiliscono cosa è in grado di fare una persona in ciascun livello.
Alla maggioranza degli studenti europei viene richiesto di raggiungere, al termine dei percorsi
dell’istruzione secondaria, il livello B2 del Quadro comune europeo di riferimento per le lingue
(QCER) nella loro prima lingua straniera.
Il programma Erasmus+ che ha sostituito il Programma di Apprendimento Permanente (PAP),
ha lo scopo di promuovere e sostenere la mobilità di studenti e lavoratori, consentendo di ac-
quisire nuove competenze e conoscenze in un contesto internazionale; rafforzare la cittadinanza
europea promuovendo la comprensione e la cooperazione tra i cittadini europei; contribuire alla
crescita economica e sociale cercando di creare un mercato del lavoro più flessibile e competi-
tivo.
Il portafoglio delle lingue (PEL) che consente alle persone di certificare, sulla base dei livelli
descritti dalle griglie del QCER, il livello di competenze linguistiche raggiunte ha come obiet-
tivo di: favorire la conoscenza e coesione sociale tra i cittadini europei, facilitare la mobilità
2
Libro Bianco su Istruzione e Formazione –Insegnare e apprendere verso una società conoscitiva -Bruxelles,
29.11.1995 COM(95) 590 def.
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all’interno dei confini europei con una auspicata ricaduta a livello economico delle competenze
dei cittadini.
Risulta chiaro che la tendenza è quella di considerare le competenze linguistiche come uno
stimolo per il miglioramento della mobilità e dell’occupazione, come risposta alle richieste del
mercato del lavoro. Vengono privilegiate le competenze comunicative pratiche e le competenze
cosiddette “trasversali”. Infatti, le linee guida indicate dalla Commissione si basano su dei
principi che hanno come focus il fatto che l’utilizzo di più lingue rappresenta una competenza
chiave per la cittadinanza europea in quanto permette di rafforzare la tolleranza e la compren-
sione reciproca. L’insegnamento delle lingue deve essere inclusivo e basato su un apprendi-
mento attivo e significativo che punti al coinvolgimento globale della persona e caratterizzi
ogni sua esperienza come possibile fonte di educazione. Formazione e istruzione, lungo tutto
l’arco della vita, sono il requisito fondamentale per esercitare la cittadinanza attiva e democra-
tica intesa come partecipazione, coinvolgimento e impegno nella vita sociale, conoscenza dei
propri diritti ed esercizio dei propri doveri. Nella società pensata dai fondatori, le competenze
linguistiche devono essere potenziate e ampliate, in quanto determinanti per la realizzazione e
il consolidamento del pensiero fondante dell’Unione Europea e cioè l’unicità attraverso la va-
lorizzazione delle diversità.
Il parallelismo con l’educazione cosmica della Montessori intesa come processo socializzato
orientato al riconoscimento e alla valorizzazione dell’individuo nelle sue differenze e unicità è
un debito di riconoscimento che ritengo sia dovuto nei riguardi di questa grande pedagoga che
non ha mai parlato di inter-cultura ma grazie ai suoi innumerevoli viaggi all’estero ne assapo-
rava l’importanza.
Sulla base di questo piano di azione i diversi paesi in concomitanza con le proprie pedagogie
e pratiche didattiche si sono adeguati per poter raggiungere gli obiettivi auspicati. Le iniziative
in tal senso hanno portato, in Italia: ad un maggiore numero di ore di insegnamento di un’altra
lingua; ad un’offerta maggiore di lingue da imparare; ad una formazione iniziale ed in itinere
degli insegnanti; ad un maggiore uso di strumenti tecnologici; a metodi innovativi per l’appren-
dimento delle lingue.
Alla competenza linguistica viene riconosciuto il medesimo status che viene accordato allo svi-
luppo delle capacità individuali, culturali e sociali, in una prospettiva long life learning. Come
lo sviluppo della persona viene curato dalla nascita anche l’apprendimento delle lingue deve
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avvenire in età precoce. Questo è uno dei principali obiettivi formulati nel vertice di Barcellona
2002, cioè l’abbassamento dell’età per l’insegnamento delle lingue straniere.
Un principio ribadito nella raccomandazione del Consiglio del maggio 2019. “[…] offrire oppor-
tunità di contatto con le lingue e apprendimento linguistico precoci attraverso attività ludiche;”
3
.
1.2 I documenti quadro per i livelli di competenza
Il documento che inizialmente è stato elaborato per fornire delle indicazioni da perseguire
nell’ambito dell’apprendimento della lingua straniera è Il Common European Framework of
Reference for Language (CEFR) o Quadro Europeo, è stato rimaneggiato e perfezionato negli
anni al fine di rendere specifico cosa valutare nei diversi livelli di apprendimento. Si è arrivati
al più recente Companion Volume with new Descriptors del 2020, nel quale sono stati introdotti
anche i livelli che si riferiscono all’ Infanzia e alla Primaria. Fin dalla sua prima stesura il
Quadro aveva come scopo lo sviluppo della consapevolezza verso il processo di insegnamento-
apprendimento. In esso vengono esplicitati degli obiettivi, dei metodi e dei risultati che non
determinano un obbligo ma forniscono delle indicazioni. L’ insegnante o lo studente può uti-
lizzare liberamente la cornice di riferimento proposta.
La novità e la peculiarità di questo strumento è il riconoscimento del ruolo di “attore sociale”
dell’apprendente.
Per questo motivo nel contesto educativo lo sviluppo dello studente non è finalizzato al solo
apprendimento linguistico ma, prevede una promozione della persona a tutto tondo in un pro-
cesso di apprendimento-insegnamento che riguarda oltre alla sfera cognitiva anche quella psico-
affettiva. Ne consegue che ogni utente come: i docenti, gli autori di libri, chi redige i programmi
dovrà essere consapevole che nel processo di apprendimento linguistico è coinvolta l’identità
dello studente in costante divenire.
3
Raccomandazioni del Consiglio del 22 maggio 2019 relativa ai sistemi di educazione e cura di alta qualità
della prima infanzia - Gazzetta ufficiale dell'Unione europea C 189/4 del 5.6.2019
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1.3 L’insegnamento della lingua inglese in Italia
Nella maggior parte del mondo, la prima lingua studiata, dopo la lingua madre è l’inglese. Molti
sistemi d’istruzione, hanno introdotto l’obbligatorietà dell’insegnamento. La scelta ricaduta
sulla lingua inglese come prima lingua straniera si deve alla sua diffusione e utilizzo nella mag-
gior parte degli ambiti strategici dell’economia e delle scienze applicate. Secondo il rapporto
Eurydice del 2017 a livello UE, quasi il 97,3% degli alunni studiava nel 2014 l’inglese durante
l’istruzione secondaria inferiore, mentre si è registrata nel tempo un aumento degli alunni che
iniziano a studiarlo dalla primaria.
In Italia l’esperienza della seconda lingua a scuola si ritrova a partire dagli anni ’70 del secolo
scorso e fa riferimento a sperimentazioni didattiche proposte da Istituti lungimiranti. Il primo
sviluppo normativo in questa direzione si ha nel 1985 con i Programmi della Scuola Elemen-
tare D.P.R. n. 104 del 12 febbraio 1985. L’insegnamento di una lingua straniera diventa obbli-
gatorio con la “Riforma dell'ordinamento della scuola elementare”, Legge n. 148 del 5 giugno
1990, che all’art. 10 recita:
“Nella scuola elementare è impartito l'insegnamento di una lingua straniera”
4
,
non viene dunque specificato quale lingua. Sarà definita una scelta in tal senso con il D.M. del
28 giugno 1991 intitolato” Insegnamento delle lingue straniere nella scuola elementare” in cui
vengono individuati: i criteri per la scelta della lingua, la classe da cui iniziare e le modalità di
utilizzo dei docenti. Sarà con la riforma Moratti del 2003 che si procederà ad introdurre in
maniera più generalizzata l’alfabetizzazione informatica e la lingua inglese in base a quanto
disposto nelle Indicazioni Nazionali. Al D.M. 61/2003 verrà data attuazione attraverso le indi-
cazioni metodologico didattiche fornite dalla C.M. n. 69 del 29 agosto 2003 nella quale viene
affermato:
‘ […] l’alfabetizzazione della lingua inglese configura un ambiente di apprendimento prima che un oggetto di
studio.
5
4
Legge 5 giugno 1990, n. 148 Riforma dell'ordinamento della scuola elementare. (GU Serie Generale n.138 del
15-06-1990) note: Entrata in vigore della legge: 30/6/1990
5
Circolare Ministeriale 29 agosto 2003, n. 69 -Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Dipartimento per lo sviluppo dell’istruzione Direzione generale per gli ordinamenti scolastici