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L'evoluzione del concetto di "momento decisivo" nella Street Photography contemporanea

La fotografia di strada per eccellenza è stata utilizzata come mezzo (medium) di comunicazione e relazione con il mondo esterno a noi. Ed è stata altresì intesa dagli artisti come un modo di riflettere sulla realtà concepita nella sua dimensione temporale di successione di momenti, un flusso continuo in cui si può cogliere un'epifania. Il reportage sulla strada è stato l'esito più tipico: può essere intenzionalmente e tendenzialmente oggettivo o soggettivo, formale o informale, serio o ironico. Ma è sempre caratterizzato dall'elemento della "mondanità". Quel concetto di presenza e relazione fisica con il mondo è definito referenza, come ci dice R. Barthes.
Mentre a inizio Novecento abbiamo visto la nascita del genere e dello stile documentario che è assurto a categoria artistica grazie all'apporto di tre grandi artisti come Atget, Sander ed Evans, a partire dagli anni Quaranta, con l'età d'ora del fotoreportage, si è aperta maggiormente la tematica della contrapposizione arte / documentario come centrale nella fotografia di strada. Nel Dopoguerra soprattutto negli Stati Uniti si afferma sempre più il concetto di Street Photography. E con l'avvento di quel fenomeno che è stato definito "ubiquità" del digitale la fotografia documentaria è stata ancor più messa in discussione. Nel suo valore indicale, come documento, testimonianza vera.
Il medium fotografico è legato ad un concetto di istantaneità, ad un'idea del tempo fugace, al caso, al perturbante freudiano, alla bellezza convulsiva di Breton. Al momento decisivo di Cartier-Bresson che sfrutta l'oggettività della macchina lasciando l'unica soggettività possibile al momento dello scatto. La pittura, a differenza di ciò, è un modo di riflettere, anche in senso estremamente realistico, come traccia, come atto, ma sempre derivante da un processo lungo, da una durata, trattandosi di una meditazione. Nell'era post-moderna non ha più senso il discorso sul valore documentaristico opposto a quello artistico: nulla è più reale nel senso di verità assoluta, ma la verità è sempre maggiormente contaminata dall'irrealtà, dall'assurdità, dall'ambiguità, dall'artificialità, dalla rielaborazione in chiave soggettiva e dalla decostruzione dei significati. L'ubiquità dei media ha consentito di vedere foto ovunque, anche se tra di loro diverse. Il valore documentale residuo come conseguenza deve essere sottoposto maggiormente al senso critico rispetto a prima. La fotografia post - moderna in tutti i luoghi allora, funzionando non più solo come indice né solo come icona, non racconta più significati oggettivi che unificano la struttura dell'opera. Ma riducendo l'organicità della forma e il contesto storico temporale apre la strada a delle realtà romanzate in cui non c'è capo né coda, non c'è inizio e fine di una storia, ma solo un flusso di eventi decostruiti. D'altronde, sembra essere la possibilità di una risposta emotiva a costituire un'esperienza autentica, a prescindere dal contesto e dalla storia. La street photography e Internet come media di diffusione oggi attivano un movimento di sviluppo locale, nazionale e internazionale in un modo trasversale e permettono l'espressione di narrazioni visive che contrastano le dominanti esperienze spaziali e le concezioni tradizionali di patrimonio culturale.

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5 INTRODUZIONE Fin dagli esordi la fotografia ha rappresentato per l’uomo un mezzo di comunicazione con il mondo esterno che lo circonda. Ha stimolato nei fotografi la curiosità per la vita e per il reale, di cui è divenuta testimonianza concreta, neutrale e diretta. Oltre a questo, la fotografia è stata utilizzata come un modo originale di riflettere sulla realtà della “strada”, colta nella sua istantanea bellezza o nella sua dirompente drammaticità, e il suo nuovo linguaggio si è prestato altresì per un utilizzo più creativo del medium. Il primo elemento caratterizzante, quello oggettivo e scientifico, si ricollega allo “stile documentario” 1 che compare sulla scena della fotografia negli anni Venti del Novecento e la cui idea centrale, quella appunto di produrre un “documento” dalla forma impersonale e scevro di contenuto narrativo, affonda le sue radici nel lontano Ottocento. Tuttavia, solo con Walker Evans sarà definito “stile” 2 ed entrerà a pieno titolo nei generi artistici. Dunque, secondo il critico Olivier Lugon, prima degli anni Venti il termine “documentario” è la negazione dell’arte. Poi, negli anni Trenta, invece, vediamo il fiorire di una tendenza opposta che li porta a concepirli come inscindibili: nasce l’“arte documentaria”. Tuttavia, si tratta ancora di una posizione piuttosto ambigua in quanto si vuole far assurgere la fotografia al rango dell’arte accettando l’automatismo del medium, la sua meccanicità, tenendo fede alla finalità della registrazione del reale, in linea con le Avanguardie e in controtendenza con il pittorialismo ancora dominante. Questo “approccio” conduce ad esiti confusi sia nella forma sia nella missione dell’arte documentaria. Viene accettata la concezione della pratica documentaria in generale come arte, ma non si spiega come mai solo per certi lavori artistici. Soltanto nel corso degli anni Trenta, dopo la riscoperta di Eugène Atget e con il lavoro di Walker Evans e di August Sander, avviene finalmente la dissociazione tra “documento” e “documentario” e l’arte documentaria entra a pieno titolo nella categoria estetica, anche se ancora in modo dibattuto 3 . A partire dalla fine degli anni Quaranta, quest’arte a poco a poco 1 O. LUGON, Le style documentaire. D’August Sander a’ Walker Evans 1920-1945, Editions Macula, Paris 2001; tr. It. (a cura di Caterina Grimaldi) “Lo stile documentario in fotografia. Da August Sander a Walker Evans 1920-1945”, Mondadori Electa S.p.A. Milano 2008, pp. 15-17 2 Ivi, p. 19. Lugon riprende un’intervista di Walker Evans in cui sostiene: “Un documento ha un’utilità, mentre l’arte è davvero inutile. Perciò l’arte non è mai un documento, anche se può adottarne lo stile.” 3 Ivi, p. 26: “Da qualsiasi angolazione la si voglia guardare, l’idea di “arte documentaria” rimane un paradosso. Perché volersi avvicinare ad una visione puramente meccanica dovrebbe essere il mezzo più sicuro per fare della

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