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Il lavoro giornalistico: profili giuridici ed evoluzione giurisprudenziale della professione

Giornalista: un termine oggi abusato, che indica il cosiddetto professionista del settore dell’informazione. Scoprire notizie per poi diffonderle, analizzarle, descriverle e sceglierle. Il giornalista si occupa di redigere articoli, inchieste, editoriali o reportage. Ma, spesso e volentieri, tramite l’influenza di un singolo giornalista o di importanti testate giornalistiche o agenzia di stampa, si fa molto di più. I mezzi di comunicazione di massa, oggi, sono cambiati, così come il modo di fare informazione in generale. Oggi, fare giornalismo è molto di più. Il quarto potere, l’ultimo baluardo, secondo molti, della reale democrazia, ma anche la reale capacità di influenzare l’opinione pubblica, facendo un po’ il gioco delle parti politiche e non solo. Il lavoro giornalistico in molte zone d’Europa non ha la stessa considerazione che viene data in Italia, sia per un substrato culturale totalmente differente dal nostro, sia per la condizione lavorativa di tali zone. Nel Bel Paese, l’attività giornalista ha una sua regolamentazione risalente al 1925, quando venne istituito per la prima volta l’istituzione dell’Albo dei Giornalisti. Con l’avvento della costituzione e lo scioglimento del precedente ordinamento (monarchia inclusa) si dovette aspettare fino alla storica legge n. 69 del 3 febbraio 1963 per istituire il nuovo ordine professionale dei giornalisti. Ordine per cui è previsto l’obbligo di iscriversi a tutti coloro i quali esercitano l’attività giornalista, tanto come professione principale, quanto come attività secondaria. Proprio per questo, come analizzeremo in queste pagine, l’albo dei giornalisti è stato diviso in due elenchi: giornalisti professionisti e giornalisti pubblicisti. Il notevole ritardo nel fornire di nuovo una regolamentazione, dal momento in cui è stata costituita la Repubblica Parlamentare, è chiaro sintomo di una condotta, da parte del legislatore, che si perpetuerà negli anni avvenire, fino ai giorni nostri. La distanza tra il legislatore italiano e il sentire comune è cosa ben nota, una distanza che va ad acuirsi in determinati campi, tra cui troviamo sicuramente quello del lavoro giornalistico. A partire dall’iniziale divieto per i giornalisti pubblicisti di diventare direttori di una testata regolarmente registrata, passando per la figura controversa del collaboratore, fino alla figura dell’addetto stampa per la pubblica amministrazione. Ma non solo: il concetto di subordinazione attenuata, l’obbligatorietà dell’iscrizione all’albo, il mobbing e il giornalismo online con la prolificazione dei blog. Micro settori dell’ambito giornalistico in cui la giurisprudenza ha cercato, nei limiti del possibile, di colmare quei vuoti colpevolmente lasciati dal nostro legislatore e per cui l’intera categoria continua a pagare pegno oggi. Soprattutto negli ultimi dieci anni, la sezione lavoro della cassazione civile, così come la sezione lavoro della Corte di Appello di Roma, la circoscrizione più impegnata in tale ambito, hanno prodotto parecchio materiale giurisprudenziale, aiutando la figura del giornalista ad evolversi, in un mondo dell’informazione quanto mai mutevole e incerto.

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6. L’addetto stampa Dopo aver elencato e speso qualche rigo per le qualifiche che ogni giornalista può ricoprire all’interno dell’Ordine dei Giornalisti, nonché di ogni singola azienda giornalistica, passiamo ad una figura particolarmente diffusa in questo mercato del lavoro ma non sempre chiara ai più. L’addetto stampa, è bene chiarirlo sin da subito, è (solitamente) un giornalista che non stipula un contratto di lavoro con un’azienda giornalistica, ma che in virtù delle sue capacità comunicative, nonché del titolo di cui (solitamente) gode, grazie al possesso del tesserino, sia che faccia parte dell’elenco dei pubblicisti, sia che faccia parte dell’elenco dei professionisti, presta le proprie abilità e la propria esperienza a servizio di un’azienda, privata o pubblica, un’organizzazione o ancora un personaggio pubblico, in modo tale che possa comunicare al meglio possibile nei confronti dei vari organi di stampa. L’addetto stampa può essere visto come un intermediario tra giornalisti e organizzazioni (che siano aziende, organi pubblici o personaggi pubblici). I primi stanno a stretto contatto con l’addetto stampa in modo tale da reperire quante più informazioni e dichiarazioni possibili da poter utilizzare nei propri servizi, nei propri articoli. Le organizzazioni, in un certo senso, utilizzano le prestazioni dell’addetto stampa in modo tale che possa essere data voce alle azioni e alle dichiarazioni delle organizzazioni stesse. Come già detto per organizzazioni possiamo intendere aziende private, aziende o organi pubblici o ancora personaggi pubblici. Primo grande discernimento che può essere fatto per tale categoria è dunque quello degli addetti agli uffici stampa della pubblica amministrazione e gli addetti agli uffici stampa delle organizzazioni private. Nel privato gli uffici stampa non necessitano, formalmente, di alcun requisito. Solitamente provengono dal mondo del giornalismo o, più in generale, da una formazione di tipo umanistico. Differentemente, invece, l’entrata in vigore della legge 7 giugno 2000, n.150 ha finalmente disciplinato le attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni, affidate ai singoli uffici stampa pubblici. Scavando più all’interno della legge 150/ 2000, possiamo notare come all’interno del settore pubblico possano convivere due figure che facilmente possono essere confuse sul piano funzionale, mentre la distinzione è abbastanza marcata su quello soggettivo: il già citato addetto stampa e il portavoce. A proposito del piano funzionale, la legge n. 150 colloca su piani differenti informazione e

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Parole chiave

giornalisti
diritto del lavoro
diritto civile
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addetto stampa
ordine dei giornalisti
odg
lavoro giornalistico

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