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La pubblicità ingannevole

La qualificazione del messaggio come persuasorio, anche se capace di esercitare la peggior violenza sulla autodeterminazione libera e consapevole del consumatore, non potrebbe mai costituire la premessa giuridicamente rilevante per l’imposizione di un divieto, sarebbe sicuramente un rimedio peggiore del male tutelare l’inconscio ponendolo al riparo da ogni attacco portato con mezzi di psicoanalisi di massa.
La suggestione crea problemi non risolvibili sul piano giuridico, ma tramite gli apporti che le scienze del comportamento potrebbero dare ai consumatori per istruirli e difenderli da tali aggressioni. Non si può chiedere alle norme autodisciplinari o a quelle dello Stato l’unica e completa difesa dall’inganno, dalle insidie della pubblicità o dalle sue possibili violenze, comprese quelle derivanti dagli eccessi suggestivi. E’ compito anche dei singoli consumatori, del mondo culturale, delle istituzioni educative affrontare il fenomeno pubblicitario nei suoi aspetti di pericolosità e disporre quelle difese che in sede deontologica e giuridica non possono risultare che parziali, sia per quanto riguarda i singoli messaggi, sia per ciò che concerne la pubblicità nel suo insieme.
Quindi, prendendo atto che la pubblicità persuasiva, sia che la si consideri negativamente quale forma di violenza sulla libertà personale all’autodeterminazione, sia, e a maggior ragione, che la si consideri positivamente quale specchio dei bisogni dell’uomo, non può essere vietata giuridicamente, non mi rimane che evidenziare quali forme patologiche il messaggio pubblicitario può assumere.
Alla luce dell’orientamento della giurisprudenza civile e penale e del D.lgs. 74/92, nonché del codice di autodisciplina pubblicitaria, che saranno esaminati nel corso della tesi, posso affermare che l’inganno pubblicitario assume rilevanza soprattutto nella violenza dei contenuti perché diretto a coartare la volontà del potenziale acquirente e fargli compiere un’attività economica che se non ingannato non avrebbe compiuto e ciò è tanto più rilevante tanto più è inconsapevole di subire un messaggio pubblicitario.
In questo modo il venditore approfitta nel modo più subdolo della sua superiorità rispetto al compratore, cioè dello squilibrio strutturale tra chi comunica, coadiuvato da esperti, e chi riceve, personalmente incompetente e in condizioni di inferiorità sul piano della comunicazione.
Anche le modalità di diffusione possono essere violente dove si consideri che tra i caratteri tipici della pubblicità vi sono l’invadenza, la persuasività, l’intensività, la ripetitività. In questi casi l’inganno assume la forma del camuffamento, cioè consiste nel far apparire una comunicazione pubblicitaria come non tale e quindi capace di debellare le naturali difese che il consumatore erge quando è consapevole di assistere ad un messaggio pubblicitario; esempi tipici sono la pubblicità redazionale, il product placement, le sponsorizzazioni.
In conclusione si deve notare che la patologia del messaggio pubblicitario assume rilevanza sotto un duplice profilo. Da un lato sarà idonea a ledere i consumatori, pregiudicando in questo modo l’interesse pubblico alla veridicità, trasparenza e correttezza della comunicazione pubblicitaria. Sotto un altro profilo la comunicazione ingannevole sarà idonea a pregiudicare i concorrenti che subiranno uno svantaggio economico derivante dalla sottrazione di clientela.

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3 Introduzione Negli anni ’60, in Italia, ci furono due eventi culturali di particolare importanza per lo studio della materia pubblicitaria. Il primo, ed il più importante per un giurista, fu la pubblicazione di un articolo di Adriano Vanzetti 1 , il quale per primo individuò nella menzogna pubblicitaria una forma di illecito. Dei problemi che questo Autore individuò in ordine alla patologia del messaggio pubblicitario mi occuperò nel corso della trattazione. Il secondo, fu la pubblicazione di un libro di Umberto Eco, “Apocalittici e integrati” 2 , nel quale si studiò il problema da un punto di vista sociologico. E’ da questo secondo saggio che vorrei partire per porre le premesse della mia tesi. Il libro di Eco fu infatti particolarmente importante perché applicò strumenti di indagine scientifica ad argomenti quali il fumetto, la canzone di consumo, la narrativa popolare, il che suonava negli anni ’60 quasi oltraggioso. Oggi nessuno potrebbe avanzare alcun dubbio sul fatto che l’enorme diffusione dei mezzi di comunicazione di massa abbia trasformato il cuore della nostra società, ne abbia permeato l’ideologia, e fornisca a tutti strumenti che fanno ormai parte del modo di parlare e di pensare quotidiano. Eco individuò tra gli intellettuali due categorie di soggetti: gli “apocalittici” e gli “integrati”. I primi si identificano in coloro che ritengono che la cultura sia un fatto aristocratico consistente nella gelosa coltivazione, assidua e solitaria, di una interiorità che si affina e si oppone alla volgarità della folla. Per questi soggetti la cultura di massa è l’anticultura; il pensiero di una cultura condivisa da tutti, prodotta in modo che si adatti a tutti, è un mostruoso controsenso. Ma siccome la “cultura di massa” nasce nel momento in cui la presenza delle masse nella vita associata diventa il fenomeno più evidente di un 1 A. Vanzetti, “La pubblicità menzognera”, in “Rivista di diritto civile”, 1964, parte I, p. 584 e ss.

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Parole chiave

pubblicità ingannevole
pubblicità menzognera
diritto industriale
articolo 2598 del codice civile
pubblicità
tutela dei consumatori
d. lgs. 74-1992
autodisciplina della comunicazione commerciale
pubblicità occulta
pubblicità redazionale
concorrenza sleale
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