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Disuguaglianza e Sustainable Development Goals: progressi e contraddizioni nell’ottica dello sviluppo sostenibile

Quando si guarda al problema di come cercare di creare le condizioni per una società più giusta, equa e che fornisca alle persone risorse adatte e sufficienti per far fronte alle loro difficoltà e migliorare le loro condizioni di vita, risulta quasi inevitabile non pensare a problematiche complesse e radicate, nella nostra storia, quali povertà e disuguaglianza. Il mondo in cui viviamo è diventato estremamente complesso e interconnesso, motivo per il quale, per trattare determinate problematiche, prime fra tutte il basso sviluppo umano e la disuguaglianza globale, le odierne soluzioni che vengono elaborate dai principali organismi internazionali non possono più essere concepite secondo modalità e metodologie a compartimenti stagni: il presente lavoro parte proprio da questo assunto.
La ragione per cui penso che questo sia un punto di interesse fondamentale per gli anni a venire è che la politica debba partire da una più realistica e scientifica concezione ed analisi della natura umana e di come si possa agire su alcune variabili che influenzano il comportamento nel tentativo, in parte utopico ma comunque degno di essere perseguito, di costruire una società globale nella quale la popolazione mondiale possa prosperare. Purtroppo, per adesso, ciò pare non succedere praticamente mai: quasi sempre, le definizioni delle politiche, economiche e sociali, hanno come base punti e valori ideologici, spesso anche anacronistici, i quali corroborano la loro elaborazione e ne inficiano i risultati, che spesso finiscono per essere scarsi e poco efficaci, o semplicemente sono frutto del mero interesse delle parti, e ciò ovviamente significa che il beneficio derivante dalle stesse andrà a favore di pochi.
Si preferisce sempre parlare di “uguaglianza dei punti di partenza” e di “pari opportunità”, invece che di mera e, paradossalmente, iniqua "equality of outcomes", uguaglianza assoluta di tutti gli individui, come se comunque tali espressioni rappresentassero un salvacondotto per giustificare qualsiasi tipo di politiche, sociali ed economiche, molto spesso dimenticandosi però di considerare come anche la sola e completa conquista di un tale traguardo non sia affatto un compito semplice, e la quasi palese impossibilità di raggiungerla è però un’ambizione per la quale lo sforzo, che è enorme e richiede sacrifici e politiche ben più radicali di quelle alle quali siamo abituati, vale sicuramente la pena.
L’uguaglianza delle opportunità, ad esempio, è ciò che conferisce la possibilità di competere l’uno con l’altro in modo equo, e se ciò sembra un concetto apparentemente semplice, per attuarlo bisogna considerare una moltitudine di variabili: il proprio hardware/software mentale, e il temperamento o il carattere che una persona possiede, non sono dati soltanto dal tipo di background scolastico che ha avuto o dalla comunità nella quale è cresciuta, ma anche dal grado di severità del proprio controllo degli impulsi, da quanto risulta resiliente e ferma nel prendere decisioni difficili, magari di medio o lungo periodo, e che richiedono una più o meno lunga procrastinazione della propria soddisfazione, da quanto è esteso il proprio intervallo di memoria a breve termine per le sue funzioni esecutive di apprendimento, da quanti traumi ha avuto nel suo vissuto e con quale confidenza è in grado di risolvere i problemi di tutti i giorni, nella sua vita privata e professionale.
Ecco che allora le variabili sulle quali agire diventano molte, variegate e interconnesse, e mentre valori ed ideologie che indottrinano la maggioranza dei policy maker di oggi sono rimasti più o meno immutati nell’arco di trent’anni, il mondo accademico e scientifico è andato avanti: si hanno sempre più dati e informazioni sul funzionamento del sistema economico, del comportamento umano, sulla biologia di quest’ultimo e su come questi fattori si influenzino vicendevolmente, ma le politiche odierne spesso danno l’impressione di ignorarli, di non considerare l’insieme, e si mantengono sugli stessi vecchi binari, in un’ostinata perpetuazione e aggravamento dei problemi che affliggono le moderne società.
Il presente lavoro nasce e si sviluppa partendo da queste considerazioni.

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49 Capitolo 2 AFFRONTARE LA DISUGUAGLIANZA: IL PROGRAMMA DELLE NAZIONI UNITE PER LO SVILUPPO (UNDP) E GLI OBIETTIVI DI SVILUPPO SOSTENIBILE (SDGS) 2.1 Il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Adesso che si ha un quadro molto generico del problema e di come questo vada ad avvilupparsi su tematiche solo in apparenza molto diverse tra loro, si ritiene opportuno andare ad analizzare il maggior organo internazionale che si occupa di farvi fronte e con quali modalità esso stesso si è prefissato di farlo, dunque è necessario spostare il nostro focus su uno dei maggiori organi dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. L’United Nation Development Programme (UNDP) è un organismo, nella dimensione di programma, appartenente alle Nazioni Unite e si può definire come la maggiore rete globale di sviluppo. Esso propone e sostiene un cambiamento positivo dell’intero assetto internazionale, rafforzando l’interconnessione tra paesi tramite la diffusione di conoscenze, esperienze e risorse per migliorare il tenore di vita della popolazione mondiale. Fornisce consulenze tecniche, tirocini, forme di supporto per i paesi in via di sviluppo con particolare attenzione per i paesi meno avanzati, e promuove la cooperazione tecnica e nel settore degli investimenti tra Stati. Con sede a New York, lo status dell’UNDP è quello di comitato esecutivo all’interno dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. È stato fondato il 22 Novembre del 1965, con la fusione dell’EPTA (Expanded Programme of Technical Assistance) e lo Special Fund, per scongiurare l’eventualità che questi

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