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Latino e italiano attraverso i secoli

Linguistica storica. La tesi tratta del passaggio dall'indoeuropeo al latino, e quindi tratta del passaggio dal latino all'italiano.

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2 LATINO E ITALIANO ATTRAVERSO I SECOLI Roma, 62 dopo Cristo. Seneca scrive una lettera al suo amico Lucilio. «Arpaste, quella pazza che conosci, e che mia moglie teneva per passatempo, è rimasta nella mia casa come onere ereditario». Devi sapere che questa pazza ha perduto all’improvviso la vista. (Haec fatua subito desiit videre). Ebbene, cosa incredibile ma vera, essa non sa di essere cieca. (Illa nescit se esse caecam). Prega continuamente il suo custode di portarla via. (Subinde rogat paedagogum suum ut migret). Dice che la casa è scura. (Ait domum tenebricosam esse). La moglie di Seneca aveva dunque una pazza in casa, per divertimento personale. (Seneca, “Lettere a Lucilio”, Rizzoli). Il buffone di casa era un’abitudine dei grandi romani. (Paoli, Calonghi). Chi però assistesse, oggi, a qualche casting per cercare comparse, si accorgerebbe che il livello morale della società non è molto cambiato da allora. Ma vediamo qualche aspetto della lingua dell’epoca. Seneca «è l’unico scrittore che ci parli ancora come fosse vivo, nella lingua morta di Roma». (Concetto Marchesi). L’accento di frase «è irrimediabilmente perduto», e non possiamo ricostruirlo. (Giorgio Bernardi Perini, “L’accento latino”). Possiamo però sostenere che Arpaste, benchØ cieca e folle, rispettava le desinenze di nomi e verbi. Avvertiva con valore distintivo la differenza tra vocali brevi e lunghe. Conciliava accento intensivo e quantità vocalica. Metteva quasi sempre il verbo alla fine della frase. Erano caratteristiche che venivano da molto lontano. Gli antichi Indoeuropei vivevano nell’attuale Ucraina, quattromila anni avanti Cristo. Mille anni dopo, gli Indoeuropei occidentali occupano un vasto territorio, comprendente la costa baltica e la valle del Danubio. Andando da nord verso sud, troviamo Germani, Celti, Osco-Umbri, Protolatini. (AndrØ Martinet, “L’indoeuropeo”, Laterza editore). Ancora mille anni, e troviamo gli abitanti delle palafitte nella zona dei laghi centrali della Svizzera, da dove poi scenderanno in Val Padana. Secondo l’archeologo Giovanni Patroni, i Palafitticoli erano Liguri, mentre i Villanoviani erano Latini. (“La voce porticus e la latinità dei villanoviani”, Rendiconti dell’Accademia archeologica di Napoli). Per Martinet, invece, i Palafitticoli e i Terramaricoli erano Latini (Italici della prima ondata), mentre i Villanoviani erano Osco-Umbri (Italici della seconda ondata). Nel secondo millennio avanti Cristo, i Protolatini, dall’Emilia, scendono verso sud. Gli Osco-Umbri li seguono, qualche tempo dopo. Verso il mille, i Latini sono nel Lazio, mentre gli Osco-Umbri sono sparsi tra l’Appennino tosco-emiliano e la Calabria. L’unità del blocco indoeuropeo occidentale è ormai spezzata. A nord restano i Germani. Sono piø isolati, per cui la loro lingua rimane la piø vicina all’indoeuropeo. I Celti, dall’Europa centrale, si diramano in molti gruppi, uno dei quali arriva in Irlanda. La sede antica dei Latini fu forse la Boemia, o l’Ungheria occidentale (Palmer, Hawkes, Martinet). Certo, prima di arrivare in Val Padana, e poi nel Lazio, essi incontrano diversi popoli indigeni. La loro lingua, così, acquisisce molte voci preindoeuropee. La parola indoeuropea, per indicare il concetto di amare, era forse *leubh. In gotico, troviamo liufs (caro) e lubains (speranza). In tedesco abbiamo liebe, in inglese love. Il latino ha lubet > libet. (Meillet). L’osco ha la congiunzione “loufir” (oppure, se vuoi). A un certo punto, però, presso i Protolatini, l’atto di amare trovò una nuova parola (amāre), che alla fine prevalse, relegando “lubēre” ad un ruolo secondario. Ditela a quest’uom savio la novella Di lei che cerca il suo perduto amor. La nuova parola (amāre) fu forse presa da un altro popolo. (I Liguri? I Reti? Gli Etruschi?). Se così fosse, sarebbe uno di quei termini prelatini, che definiamo mediterranei. Bolelli e Kretschmer pensano ad Aminth, nome di una divinità etrusca. Giovanni Flechia esamina una radice *cham (sanscrito chama, amore), ma scarta l’ipotesi. Anche una radice *īsmah (greco ìmeros) è da escludere. Flechia conclude quindi che amāre non è parola indoeuropea, ma un prestito dal mediterraneo. (Lezioni di linguistica - Testo raccolto da Stefania Spina).

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bruno migliorini
latino e italiano
clemente merlo
carlo tagliavini
alfonso traina
giulio bertoni
antoine meillet
leonard palmer
giovanni alessio
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