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Le società fiduciarie e il controllo pubblico. La vigilanza di Banca d’Italia.

La presente indagine prende lo spunto dalla recente novella legislativa che ha portato - anche - la Banca d’Italia a sorvegliare talune, qualificate, categorie di fiduciarie. Più precisamente, questa innovazione è stata operata tramite la riformulazione dell’art. 199 T.U.F. (intitolato “Società fiduciarie”) e dell’art. 106 T.U.B. (“Albo degli intermediari finanziari”). L’opportunità della riscrittura normativa è stata colta dal nostro legislatore a seguito della riforma del titolo V e VI del T.U.B., effettuata con i d.lgs. n. 141 del 2010 e n. 169 del 2012. Limitatamente all’oggetto di studio, è stato imposto a quelle svolgenti l’attività di custodia e amministrazione di valori mobiliari e o controllate da una banca/intermediario finanziario oppure aventi la forma di S.p.A. e capitale minimo di 100.000€, di iscriversi nella “nuova” sezione separata del suddetto albo degli intermediari finanziari (ex art. 106 T.U.B.) tenuto dalla Banca d’Italia. In data 12 ottobre 2017, risultano qui iscritte ben 36 fiduciarie aventi le suddette caratteristiche.
Tale riforma è divenuta operativa all’inizio del 2016, tramite la circolare n. 288 del 2015 emanata dall’Autorità di Palazzo Koch. In essa l’Ente citato si premura di voler salvaguardare le relative norme ministeriali in materia di vigilanza e di voler agire solo per un più stringente presidio antiriciclaggio. Resta il fatto che, in presenza di due organi di vigilanza che esercitano la stessa attività sugli stessi soggetti, gli aspetti di coordinamento verranno ad assumere un ruolo, davvero, fondamentale.
Un livello di sorveglianza mai registrato in passato, che palesa la sua forza quando comparata con gli ordinamenti a noi vicini e a cui i nostri concittadini, necessitanti di operazioni di schermo fiduciario, hanno fatto spesso ricorso.
Nella Svizzera, ad esempio, occorre distinguere la normativa nei suoi due livelli, federale da un lato e cantonale dall’altro. La prima ha imposto solo degli oneri antiriciclaggio: il problema qui è che il vigilato può decidere il soggetto vigilante, ossia se la FINMA (equivalente alla nostra Consob) o gli Organismi di Autodisciplina (in cui vi fanno parte gli stessi vigilati, con evidenti rischi di conflitto di interessi). Superfluo specificare dove ricadono la maggioranza delle richieste. Pertanto, la regolamentazione dell’attività fiduciaria non è stata ritenuta sufficientemente importante da giustificare una normativa federale, cosicché i ventisei cantoni scelgono autonomamente se provvedervi. Solo uno, il Ticino, ha legiferato – “Lfid” del ’09 - tanto la professione fiduciaria (stabilendone l’obbligo di autorizzazione a carattere strettamente individuale), quanto la correlata vigilanza pubblica (rimessa all’Autorità di Bellinzona, la quale dedica un sola ispettore per quasi 1500 fiduciari). La mancanza di adeguate risorse vigilanza e il “tenue” contrasto all’esercizio abusivo della professione, punito quest’ultimo con una mera sanzione amministrativa, ne rappresentano gli aspetti maggiormente critici. Non stupisce perciò la frequente emersione di scandali sui fiduciari svizzeri nella stampa specializzata.
A San Marino la competenza è affidata alla Banca Centrale e si estende ad aspetti ulteriori rispetto agli “ordinari” presidi antiriciclaggio. In particolare, tale vigilanza assume carattere bifasico. Esiste perciò sia una riserva di attività con connesso obbligo di autorizzazione, sia una vigilanza post autorizzazione, effettuata tramite indagini ispettive contabili e gestionali. Tuttavia, i recenti sforzi finalizzati ad una migliore trasparenza della piazza finanziaria del Titano si scontrano con la mancata indipendenza del vertice della Banca Nazionale rispetto all’esecutivo. In particolare, è notizia recente come sia stato qui dimissionato in un solo giorno il Direttore della stessa per volere del Governo. Situazione –finora- impensabile in Italia, visto che nel nostro Paese il Governatore della Banca d’Italia è sì una nomina sostanzialmente politica (è proposta su consiglio del Governatore della nostra Banca Centrale, nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri “sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d’Italia”), ma è sostanzialmente immune da ogni ingerenza altrui nell’esecuzione del suo incarico. Un paragone, questo, volto a sottolineare come ad una normativa formalmente adeguata di controllo sull’attività fiduciaria debba corrispondere, per una sua effettiva valenza pratica, un’azione autonoma e indipendente degli organi di vigilanza.
Concludendo, la normativa italiana, pur caratterizzandosi in negativo per i suoi aspetti di disorganicità e lacunosità, è riuscita a sviluppare un concreto e innovativo sistema di controllo pubblico sulle società fiduciarie, capace altresì di non pregiudicarne il crescente ricorso.

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VII INTRODUZIONE La presente indagine, come già esplicitato dal titolo, ha ad oggetto le società fiduciarie ed il correlato sistema di vigilanza pubblica. Essa prende lo spunto dalla recente novella legislativa che ha portato anche la Banca d’Italia a sorvegliare talune, qualificate, categorie di fiduciarie. Ai fini di una lettura il più possibile esaustiva, l’analisi è partita dal concetto base di fiducia e si è conclusa con la comparazione di alcune regolamentazioni straniere. Di conseguenza, il primo interrogativo che ci si è posti ha riguardato la disciplina positiva della fiducia nel nostro ordinamento. Trattasi di un istituto assai antico, già presente in epoca romana e della cui qualificazione civilistica si discute da tempo. Le Institutiones di Gaio, difatti, già distinguevano tra negozio fiduciario a scopo di gestione patrimoniale (fiducia cum amico) e negozio fiduciario a scopo di garanzia (fiducia cum creditore). Cancellata dal Digesto perché desueta, la fiducia sopravvisse nel corso dei secoli grazie al suo peculiare, duttile, carattere di segretezza. Specie in riferimento al negozio mortis causa, tale negozio consentiva di aggirare i vari divieti successori posti di volta in volta dal legislatore. Nel corso del XIX secolo, la dottrina recuperava l’istituto fornendone due diverse chiavi interpretative. Da un lato la visione “romanistica”, che ravvisava il trasferimento al fiduciario di una proprietà “piena” sul bene, obbligandolo poi al ritrasferimento verso il fiduciante (c.d. pactum fiduciae). Dall’altro quella “germanistica”, dove si riconosceva al fiduciario la sola legittimazione ad esercitare in proprio nome un diritto del fiduciante, mentre questi ne conservava la proprietà. Caratterizzandosi come una proprietà limitata nei modi (v. raggiungimento di scopi predeterminati per il fiduciario) e nei tempi (obbligo di ritrasferimento), il relativo riconoscimento non poteva risultare agevole nei sistemi di Civil Law, fondandosi questi ultimi su un concetto di proprietà piena ed assoluta, nonché sul principio del numerus clausus dei diritti reali. Difficoltà che spinsero il codice civile del ’42 a non effettuare alcuna scelta tra le tesi sopra esposte. Infatti l’unico riferimento ivi presente è la disposizione fiduciaria testamentaria dell’art. 627, norma che si limita ad escludere l’accertamento giudiziario per provare che le disposizioni nel testamento siano effettuate solo a scopo fiduciario. L’assenza di una disciplina positiva della fiducia ha dunque costretto dottrina e

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