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INTRODUZIONE
La presente indagine, come già esplicitato dal titolo, ha ad oggetto le società
fiduciarie ed il correlato sistema di vigilanza pubblica. Essa prende lo spunto dalla
recente novella legislativa che ha portato anche la Banca d’Italia a sorvegliare talune,
qualificate, categorie di fiduciarie.
Ai fini di una lettura il più possibile esaustiva, l’analisi è partita dal concetto base di
fiducia e si è conclusa con la comparazione di alcune regolamentazioni straniere.
Di conseguenza, il primo interrogativo che ci si è posti ha riguardato la disciplina
positiva della fiducia nel nostro ordinamento. Trattasi di un istituto assai antico, già
presente in epoca romana e della cui qualificazione civilistica si discute da tempo. Le
Institutiones di Gaio, difatti, già distinguevano tra negozio fiduciario a scopo di gestione
patrimoniale (fiducia cum amico) e negozio fiduciario a scopo di garanzia (fiducia cum
creditore). Cancellata dal Digesto perché desueta, la fiducia sopravvisse nel corso dei
secoli grazie al suo peculiare, duttile, carattere di segretezza. Specie in riferimento al
negozio mortis causa, tale negozio consentiva di aggirare i vari divieti successori posti
di volta in volta dal legislatore. Nel corso del XIX secolo, la dottrina recuperava
l’istituto fornendone due diverse chiavi interpretative. Da un lato la visione
“romanistica”, che ravvisava il trasferimento al fiduciario di una proprietà “piena” sul
bene, obbligandolo poi al ritrasferimento verso il fiduciante (c.d. pactum fiduciae).
Dall’altro quella “germanistica”, dove si riconosceva al fiduciario la sola legittimazione
ad esercitare in proprio nome un diritto del fiduciante, mentre questi ne conservava la
proprietà.
Caratterizzandosi come una proprietà limitata nei modi (v. raggiungimento di scopi
predeterminati per il fiduciario) e nei tempi (obbligo di ritrasferimento), il relativo
riconoscimento non poteva risultare agevole nei sistemi di Civil Law, fondandosi questi
ultimi su un concetto di proprietà piena ed assoluta, nonché sul principio del numerus
clausus dei diritti reali.
Difficoltà che spinsero il codice civile del ’42 a non effettuare alcuna scelta tra le tesi
sopra esposte. Infatti l’unico riferimento ivi presente è la disposizione fiduciaria
testamentaria dell’art. 627, norma che si limita ad escludere l’accertamento giudiziario
per provare che le disposizioni nel testamento siano effettuate solo a scopo fiduciario.
L’assenza di una disciplina positiva della fiducia ha dunque costretto dottrina e
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giurisprudenza ad un ruolo di supplenza. Da ciò è disceso il controverso istituto
denominato “negozio fiduciario”: macro categoria in cui vengono generalmente a
rientrare gli atti di trasferimento fiduciario dei beni, da un soggetto (fiduciante) ad un
altro (fiduciario). Un contratto atipico legittimato dall’autonomia contrattuale concessa
alle parti per realizzare interessi meritevoli di tutela (1322 c.c.).
Al contrario, l’elasticità delle norme consuetudinarie che caratterizza i Paesi di
Common law ne ha permesso una più diffusa applicazione mediante l’istituto del trust
(la cui traduzione significa, appunto, fiducia). Qui infatti il disponente non nutre alcun
titolo sui beni conferiti al trustee per proteggerli e destinarli a certi scopi o soggetti,
cosicché la vera controparte del trustee sono i beneficiari (e non il fiduciante).
Consapevole dell’ampio ricorso fatto dai concittadini di detto istituto, il nostro
legislatore è stato fra i primi, fra quelli di Civil Law, a ratificare nel ‘89 la
“Convenzione dell’Aja sugli effetti del trust”. In tal modo è divenuto ammissibile, salve
date condizioni, stipulare atti di trust in Italia basati su regolamentazioni estere.
Il problematico accoglimento del concetto giuridico di fiducia nell’ordinamento
italiano non ha comunque impedito di riconoscerne positivamente l’esercizio in forma
d’impresa dell’attività: di amministrazione, di gestione e di revisione contabile. In altri
termini le società fiduciarie. Infatti, la principale norma sulle stesse è la n. 1966 del ’39,
emanata cioè in pieno periodo di leggi razziali e collaterali inibizioni ai commerci. Con
essa il nostro Paese ha di fatto previsto uno dei primi casi di separazione della proprietà
sostanziale (rimanente in capo al fiduciante) e intestazione formale (trasferita in capo
alla fiduciaria). Si è dovuto invece aspettare fino al 16 gennaio ‘95, col Decreto del
Ministero dell’Industria (e quindi un provvedimento di natura secondaria) per vedere
scritto nero su bianco che per l’operatività di dette società fossero salve le norme del
mandato.
Ad ogni modo, il legislatore del ’39 non si limitò a prevederne una struttura
professionalmente qualificata, ma stabilì altresì un regime di controllo pubblico sulle
medesime, affidata all’ex Ministero delle Corporazioni (oggi MISE). Più precisamente,
predispose una vigilanza “bifasica”, svolta cioè tanto sulla verifica di predeterminate
condizioni per poter svolgere l’attività (come ad es. onorabilità e reputabilità degli
esponenti e dei partecipanti), quanto sull’esercizio ex post da parte delle fiduciarie (ad
es. tramite indagini sui bilanci e ispezioni in loco). Sostanzialmente, un compito assai
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complesso per una duplice ragione. Da un lato l’ampio numero di soggetti da vigilare
(281 società in data 12 ottobre 2017) e le scarse risorse a ciò deputate, dall’altro il fatto
che tale attività appare effettivamente ultronea rispetto ai compiti istituzionali del
Ministero. Tanto più che, di recente, la Cassazione sembrerebbe aver sancito il
“principio della responsabilità civile del vigilante” per i danni prodotti da omessa o non
corretta vigilanza. Tanto più che, di recente, la Cassazione sembrerebbe aver sancito il
“principio della responsabilità civile del vigilante” per i danni prodotti da omessa o non
corretta vigilanza. Infatti, alcune vicende processuali sul tema (v. fiduciarie Reno e
Previdenza S.p.A.) hanno inflitto per ben due volte - 2001 e 2009 - una condanna
risarcitoria multimilionaria proprio all’attuale Ministero dello Sviluppo Economico
verso i fiducianti danneggiati.
Tale quadro normativo, fino alla recente novella dell’art. 199 del d.lgs. 58/’98 – c.d.
T.U.F. - e dell’art. 106 del d.lgs. 385/’93 – c.d. T.U.B .-, è rimasto pressoché invariato,
eccetto per due aspetti. Il primo è che le fiduciarie esercitanti la revisione contabile sulle
società quotate (v. D.P.R. 316/’75) e anche quelle che si occupano di gestione
patrimoniale (fin dalla legge 1/’91) e comunemente dette “fiduciarie dinamiche” sono
state fatte uscire dal perimetro della Magna Charta del ‘39 e soggiacciono invece ad uno
speciale regime di sorveglianza della Consob. Il secondo è che le leggi 430/’86 e
148/’87 hanno imposto una particolare procedura concorsuale, ossia la liquidazione
coatta amministrativa. Ne sono soggette le imprese fiduciarie: insolventi, o che
esercitano l’attività senza preventiva autorizzazione, oppure quelle a cui è revocata
l’autorizzazione stessa a seguito di gravi irregolarità. Un intervento di rilievo, che ha
indotto ad un duplice riconoscimento: l’esistenza di una riserva legale nell’esercizio di
detta attività e la presa di coscienza dell’interesse pubblico sottostante. Quest’ultimo
aspetto è evidenziato anche dai numeri della massa fiduciaria amministrata da tali
società italiane, cresciuta dai 71 miliardi di € del 2008 ai 125 miliardi di € del 2015.
Nella permanente attesa di una riforma organica, pur più volte auspicata dallo stesso
legislatore – da ultimo nel novellato art. 199 T.U.F. -, dagli inizi degli anni ’90 si sono
affidati compiti di controllo sempre più incisivi in favore di Banca d’Italia nei confronti
delle fiduciarie di maggiore dimensione e rilevanza. La ratio è essenzialmente da
rintracciare in un corretto presidio antiriciclaggio su dette imprese. Ciò ha permesso di
effettuare una breve ricostruzione storica della vigilanza svolta dall’Autorità di Palazzo
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Koch, dapprima sulle banche e poi sugli intermediari finanziari, categoria dove sono
state fatte rientrare le fiduciarie della citata novella.
Il sistema di vigilanza pubblico su tali categorie di fiduciarie pare pertanto aver
raggiunto il suo massimo livello. Il loro controllo infatti, grazie alla suddetta joint
venture Banca e Mise, si avvale finalmente di adeguate esperienze e risorse, sia
professionali che informatiche.
L’esame terminerà con la valutazione comparata di due realtà estere a cui i nostri
concittadini, necessitanti di operazioni di schermo fiduciario, hanno fatto spesso ricorso:
la Svizzera e la Repubblica di San Marino. Il paragone tra questi e il nostro Paese è
apparso opportuno sulla base dei molteplici aspetti comuni presenti visto che, oltre alla
tradizione giuridica di Civil Law, sussistono anche elementi di vicinanza e di
condivisione linguistica, cui si aggiunge – rispetto al Titano - la circolazione persino
della stessa moneta. Le esperienze straniere si analizzeranno con speciale riferimento
agli istituti giuridici della “fiducia” e ai relativi impianti di vigilanza sull’esercizio
professionale dell’attività fiduciaria. Al termine, utili riflessioni sull’efficacia dei
controlli e della conseguente esistenza di arbitraggi normativi in favore di tali Stati
concluderanno questo lavoro.
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CAPITOLO I
DAL CONCETTO DI FIDUCIA
ALLA DISCIPLINA DELLE SOCIETÀ FIDUCIARIE
SEZIONE I - L’EVOLUZIONE STORICA DELLA “FIDUCIA”
1. LA FIDUCIA ED IL SUO RUOLO NELLA STORIA ECONOMICA
Una tesi che si prefigga lo scopo di passare in esame la disciplina delle società
fiduciarie non può esimersi da un'analisi di principio sul concetto stesso su cui esse si
fondano: la fiducia. La sua nozione, in Italia e nel contesto internazionale, è stata
oggetto degli approcci più disparati, non solo nel campo giuridico, ma anche in
quello sociologico, filosofico e politico. In generale, la “fiducia” nei rapporti tra
privati è definibile come l’affidamento di una persona sul comportamento leale,
probo e onesto dell’altra, capace di produrre un sentimento di sicurezza e tranquillità.
Nel campo del diritto, il termine è stato spesso utilizzato allo scopo di tutelare il
patrimonio sulla base della fiducia, appunto, attribuita ad un terzo legittimato ad
apparirne l’intestatario. Trattasi tuttavia, come meglio vedremo più avanti, di uno
strumento di tutela patrimoniale solo “indiretto”, in quanto la protezione che ne
deriva scaturisce più dall’obbligo di riservatezza circa l’identità dell’effettivo
proprietario di un bene, piuttosto che dall’apposizione di un vero e proprio vincolo di
natura patrimoniale sullo stesso
1
. Un’esigenza, quella della riservatezza, dalle origine
antiche e adattatasi volta per volta al mutamento dell’ambiente circostante: dalle
difesa delle terre nei momenti di belligeranza nel periodo classico, alla conservazione
delle ricchezze personali del re a favore della propria dinastia nell’età monarchica,
passando poi per la protezione del patrimonio delle famiglie ebraiche durante il
regime razziale, fino ai più recenti profili che caratterizzano i rapporti societari e
finanziari
2
. In un contesto socio-economico sempre più globalizzato e sensibile alla
trasparenza, alla dinamicità e all’innovazione, potrebbe apparire anacronistico lo
1
Cfr. LOCONTE S., Strumenti di pianificazione e protezione patrimoniale, Ipsoa, Assago (MI), 2016, II,
p. 3.
2
Ai fini di un’utile esamina storica dell’utilizzo della fiducia nella storia cfr. MARIANI A. e MUSCOLO M.,
Le società fiduciarie, Sistemi Editoriali, Napoli, 2013, II, Cap. 1.