La protezione internazionale dell'ambiente durante i conflitti armati: il caso del Kosovo
Da circa un trentennio la protezione dell’ambiente è una importante esigenza della comunità internazionale che dalla Dichiarazione di Stoccolma ha ufficialmente riconosciuto l’importanza ed il valore dell’ambiente naturale, preoccupandosi di stabilire delle linee programmatiche da seguire per garantirne la salvaguardia ed arginarne il deterioramento. La legislazione nazionale adottata in vari paesi e la protezione riconosciuta all’ambiente anche a livello costituzionale si è dimostrata ben presto insufficiente davanti ai danni causati dall’inquinamento, fenomeno che non conosce confini geografici. Da allora sono stati raggiunti significativi traguardi: la preoccupazione generale per lo stato di salute del pianeta ha indotto gli stati a stipulare convenzioni multilaterali, regionali, bilaterali e a predisporre strumenti di soft-law che proteggano l’ambiente nei suoi elementi più vari, le specie animali, l’ambiente marino, le aree oltre la giurisdizione nazionale, che vietino che le attività inquinanti di un paese danneggino il territorio di altri stati, che disciplinino le attività particolarmente pericolose, e la nostra esemplificazione potrebbe continuare.
Nonostante la protezione dell’ambiente a partire dagli anni ‘70 abbia ricoperto un ruolo sempre maggiore nella considerazione della comunità internazionale, non esiste ancora oggi una normativa specifica e unitaria, in questo nuovo settore del diritto internazionale, che vieti o imponga dei limiti ai disastri ambientali causati dalla guerra, fatta eccezione per alcune statuizioni di soft-law.
Nel trattare della protezione dell’ambiente durante i conflitti armati abbiamo esaminato in primo luogo i due contesti normativi rilevanti, cioè le norme di diritto bellico e di diritto internazionale ambientale, per verificare se e quali di esse siano sufficienti a garantirne la tutela.
Quanto al primo ambito normativo occorre innanzitutto distinguere fra norme di ius ad bellum (che disciplinano l’uso della forza) e norme di ius in bello (che regolano lo svolgimento delle attività belliche), focalizzando l’attenzione su quest’ultimo, tenendo però presente che l’interazione fra i due può svolgere un ruolo fondamentale al momento di determinare la responsabilità per i danni ambientali.
Nel considerare lo ius in bello abbiamo analizzato la protezione che potrebbe derivare sia dalle norme consuetudinarie (in particolare dai principi di necessità militare e proporzionalità) sia dalle norme convenzionali, specialmente dalla Convenzione relativa al divieto di utilizzare tecniche di modificazione ambientale per scopi militari o altri scopi ostili del 1977 (ENMOD), dal I Protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra e dalle convenzioni che disciplinano l’uso delle armi convenzionali, chimiche e batteriologiche, nonchè dagli accordi esistenti sulle armi nucleari.
Quanto al secondo ambito normativo rilevante, quello del diritto internazionale ambientale, stante il principio della generale sospensione dei trattati applicabili in tempo di pace a causa del carattere di eccezionalità che lo stato di guerra comporta, abbiamo tentato di verificare se esistano disposizioni di diritto ambientale che possano continuare ad essere comunque applicabili, in quanto facenti parte di quel ristretto gruppo di norme che ‘resistono’ agli effetti della guerra (norme di jus cogens, norme sulla neutralità, diritti umani), o in quanto irrilevanti per il contesto militare.
Delineato il quadro normativo esistente, cercheremo di stabilire se, una volta causato il danno ambientale, sia possibile attribuire ai responsabili un obbligo di riparazione. La questione è abbastanza complessa per l’assenza di precedenti (unico caso di condanna al risarcimento è quello in cui è stata riconosciuta la responsabilità dell’Iraq, nella guerra del Golfo, per i danni ambientali causati a seguito dell’invasione e dell’occupazione del Kuwait, caso di cui si sta tuttora occupando la Commissione per la riparazione dei danni appositamente istituita dal Consiglio di Sicurezza) e per i problemi nell’esatta individuazione di quali siano i tipi di danno risarcibili e nella valutazione degli stessi. Valuteremo in primo luogo se si possa ottenere un risarcimento dei danni ambientali causati durante i conflitti armati tramite l’affermazione della responsabilità degli Stati per gli atti compiuti dai propri organi, in questo caso gli ufficiali e i comandanti militari, per la violazione del divieto di aggressione, come è avvenuto nel caso dell’Iraq, e se sia possibile alla luce del Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati della Commissione di diritto internazionale ammettere una responsabilità per crimini ambientali. Secondariamente analizzeremo l’eventualità di incriminare gli individui che abbiano ordinato o condotto le azioni militari.
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Informazioni tesi
Autore: | Emmanuela Bertucci |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2001-02 |
Università: | Università degli Studi di Siena |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Francesco Francioni |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 226 |
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