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Lavorare con la differenza: uno sguardo antropologico sul ruolo degli operatori che lavorano con l'autismo

Il presente elaborato parte da un interesse personale e professionale nei confronti della disabilità; in particolar modo ho scelto di parlare dell'autismo in quanto rappresenta un disturbo complesso e poliedrico che da qualcuno è definito solamente un diverso modo di stare al mondo; a tel proposito mi sono proposta di indagare come si crea la differenza, intesa come devianza, illustrando a grandi linee cos'è l'autismo e i dsa, passando in rassegna le diverse tappe di sviluppo del trattamento della malattia mentale in Italia, arrivando infine a illustrare i limiti che si incontrano in un lavoro come quello dell'educatore o dell'operatore che lavora con l'autismo, limite creato da barriere sia fisiche e ambientali sia verbali, cioè di come lo stigma viene creato anche attraverso le parole.

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3 Introduzione “Gran parte della conoscenza del mondo non è una rappresentazione di ciò che è ma è una costruzione sovrapposta all’esperienza. La comprensione di questo concetto riesce piuttosto difficile a diverse persone. Il mondo dell’esperienza sensibile sembra così solido e reale, e la trama concettuale che lo interpreta è così coerente che, sembra fantasioso sostenere che la realtà percepita è in gran parte un sistema di metafore proiettato sul mondo, più che la sua fedele riproduzione” 1 . Il presente elaborato nasce da una volontà di riflessione personale su alcuni temi che mi sono cari e che riguardano la mia professione e i suoi riflessi sulla società e viceversa; da alcuni anni ormai lavoro come educatrice professionale con la disabilità in diversi ambiti, a scuola e nel tempo libero; sin dall’inizio, (e tuttora) quando mi sono trovata a parlare con la gente del mio lavoro ho sentito le frasi più svariate, dal “ brava, complimenti, al “ma come fai, io non lo farei mai” , ad alcune che mi hanno fatto capire che il lavoro dell’educatore non è ancora assimilato dalla gente e dalla società, e che quindi spesso gli altri, quelli al di fuori di questo contesto, i non esperti del mestiere, per semplificare le cose associano questa professione al “tenere dietro o “fare compagnia” alle persone con “problemi”; capita in questa confusione di ruoli, che anche per me sia stato difficoltoso collocarmi sulla scena sociale, ma per fortuna questo momento è già stato superato. Il lavoro educativo è un mestiere complesso e vario, che nonostante i numerosi testi di letteratura sull’argomento, si apprende solo attraverso l’esperienza, il fare e il ragionare insieme; inoltre a seconda del contesto e del percorso di studi seguito, cambiano anche i compiti, (che molto spesso, soprattutto nelle situazioni non strutturate, non sono sempre chiari). Ho scelto così di approfondire il tema della disabilità, in quanto ambito della differenza in cui è ancora forte la contrapposizione da parte della gente tra “noi” e “loro”, noi normali, loro non normali, come se fossimo due gruppi che vivono lontani e separati. In particolare ho deciso di prendere in considerazione la realtà dell’autismo, in quanto ha da sempre destato il mio interesse; essa può essere considerata una disabilità particolare, complessa e poliedrica, e soprattutto caratterizzata (come ci raccontano i numerosi esempi della letteratura sull’argomento) dal non provare interesse per i rapporti sociali in genere; per svolgere la mia ricerca mi sono avvalsa della collaborazione degli operatori del Centro autismo di Reggio Emilia: in questo centro, che è 1 D.E. Moerman, “Placebo”, Edizione Vita e Pensiero, Milano, 2004;

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Parole chiave

diversita
presenza
educatore
autismo
funzionalità
stigma
magic bullet
illness, disease, sickness
indeterminatezza
funzione soteriologica

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