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Introduzione
“Gran parte della conoscenza del mondo non è una rappresentazione di ciò che è ma è una
costruzione sovrapposta all’esperienza. La comprensione di questo concetto riesce piuttosto
difficile a diverse persone. Il mondo dell’esperienza sensibile sembra così solido e reale, e la
trama concettuale che lo interpreta è così coerente che, sembra fantasioso sostenere che la realtà
percepita è in gran parte un sistema di metafore proiettato sul mondo, più che la sua fedele
riproduzione”
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.
Il presente elaborato nasce da una volontà di riflessione personale su alcuni temi che mi sono cari
e che riguardano la mia professione e i suoi riflessi sulla società e viceversa; da alcuni anni ormai
lavoro come educatrice professionale con la disabilità in diversi ambiti, a scuola e nel tempo
libero; sin dall’inizio, (e tuttora) quando mi sono trovata a parlare con la gente del mio lavoro ho
sentito le frasi più svariate, dal “ brava, complimenti, al “ma come fai, io non lo farei mai” , ad
alcune che mi hanno fatto capire che il lavoro dell’educatore non è ancora assimilato dalla gente e
dalla società, e che quindi spesso gli altri, quelli al di fuori di questo contesto, i non esperti del
mestiere, per semplificare le cose associano questa professione al “tenere dietro o “fare
compagnia” alle persone con “problemi”; capita in questa confusione di ruoli, che anche per me
sia stato difficoltoso collocarmi sulla scena sociale, ma per fortuna questo momento è già stato
superato.
Il lavoro educativo è un mestiere complesso e vario, che nonostante i numerosi testi di letteratura
sull’argomento, si apprende solo attraverso l’esperienza, il fare e il ragionare insieme; inoltre a
seconda del contesto e del percorso di studi seguito, cambiano anche i compiti, (che molto spesso,
soprattutto nelle situazioni non strutturate, non sono sempre chiari).
Ho scelto così di approfondire il tema della disabilità, in quanto ambito della differenza in cui è
ancora forte la contrapposizione da parte della gente tra “noi” e “loro”, noi normali, loro non
normali, come se fossimo due gruppi che vivono lontani e separati. In particolare ho deciso di
prendere in considerazione la realtà dell’autismo, in quanto ha da sempre destato il mio interesse;
essa può essere considerata una disabilità particolare, complessa e poliedrica, e soprattutto
caratterizzata (come ci raccontano i numerosi esempi della letteratura sull’argomento) dal non
provare interesse per i rapporti sociali in genere; per svolgere la mia ricerca mi sono avvalsa della
collaborazione degli operatori del Centro autismo di Reggio Emilia: in questo centro, che è
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D.E. Moerman, “Placebo”, Edizione Vita e Pensiero, Milano, 2004;
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collocato all’interno di un’ ospedale, afferiscono sia il “programma aziendale autismo” del
dipartimento di salute mentale, sia il centro “spoke” a valenza provinciale e facente parte della
rete regionale con ruolo di consulenza e coordinamento rispetto ai distretti, e il centro “hub” che
ha valenza di area vasta e coordina le quattro province dell’Emilia Nord. L’èquipe del centro è
multidisciplinare e composta da operatori dei diversi distretti dell’azienda USL di Reggio Emilia
che hanno seguito un programma di formazione basato sulle metodiche più consolidate
nell’esperienza nazionale e internazionale per il trattamento dell’autismo e degli DSA;
l’obbiettivo del centro è quello di una diagnosi precoce e corretta di autismo o DSA per avviare e
sostenere un sistema di interventi, che vede al centro la famiglia, coordinando istituzioni e servizi
che intervengono nella cura e nella abilitazione del bambino, il cosiddetto “sistema curante”. Le
attività del centro sono: valutazione, diagnosi e follow up, predisposizione e attuazione di
trattamenti individuali e di gruppo, di tipo psico-educativo e logopedico, presa in carico e
sostegno alla famiglia, parent training, consulenza nelle scuole […].
Durante la mia esperienza di campo ho cercato prevalentemente di raccogliere informazioni
soprattutto sul vissuto, sul sentire degli operatori che quotidianamente sono a contatto con questa
disabilità così difficile, perché, nei casi più gravi, li porta quasi a fare da ponte tra i soggetti e il
resto del mondo, e quello che porta dietro: oltre alla sua complessità il carico delle famiglie, e più
in generale di tutto il resto della gente, che spesso non è al corrente di cosa sia l’autismo, e
dell’importanza che ha l’intervento precoce in casi simili.
I bambini colpiti da autismo colpiscono chi li osserva per la loro bellezza incantevole, un po’ da
altro mondo, e se li osserva un po’ di più spesso si può avere l’impressione che facciano parte
davvero di un altro mondo, e questo particolare modo d’essere ci giustifica quasi nell’escluderli a
priori; invece il lavoro degli operatori che ho incontrato è completamente teso alla loro
autonomia, o più che altro, all’acquisizione del massimo delle capacità personali attraverso giochi
costruiti ad hoc per sviluppare e consolidare le aree in cui sono più carenti. Alla luce delle
premesse della carta di Ottawa (1986) che ha premesso e divulgato l’importanza della salute per
tutti, e che per questo motivo, tutti hanno diritto di godere una vita piena e soddisfacente, tutte le
professioni impegnate nel sociale lavorano per realizzare davvero tali diritti, ma incontrano molti
limiti, che di nuovo la cultura stessa ha creato. È proprio la cultura, o meglio, le idee socio-
costruttiviste, che hanno divulgato il pensiero, che oggi ci risulta ovvio e condiviso, che la
conoscenza sia una costruzione attiva che il soggetto opera nei confronti dell’ambiente,
influenzandolo; in questo senso, sempre con ogni nostra azione diventiamo co-costruttori del
mondo, e con esso siamo legati in modo interattivo, in una sorta di “do ut des”; a questo
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proposito risulta impossibile slegare soggetto e oggetto, e nel conoscere teniamo conto sia
dell’oggetto che del soggetto della conoscenza, e di come si diventa co-attori di uno stesso
percorso; il mezzo attraverso il quale questo avviene più facilmente è il linguaggio, che ci
permette di edificare la realtà, cogliere i significati, rielaborarli, e farli propri; ma se il linguaggio
manca, come in alcuni casi che ho incontrato, ecco che entra in campo la figura dell’operatore,
che occupa un ruolo di rilievo, non solo in questo contesto, ma nel rappresentare su di sé il
tramite la persona, la famiglia e la società, mantenendo sempre la professionalità che giustifica il
ruolo stesso.
Nel primo capitolo ho descritto cos’è l’autismo e i disturbi dello spettro autismo, avvalendomi
della letteratura creata dai più grandi teorici e studiosi che se ne sono occupati, con una parte
finale sulla sindrome di Asperger che meriterebbe un’ulteriore approfondimento a parte; nel
secondo capitolo ho descritto a grandi linee la Storia del trattamento della malattia mentale in
Italia, perché mi è premuto sottolineare come tutto ciò che oggi riteniamo giusto e doveroso nei
confronti dei portatori di handicap, anche solo cinquant’anni fa non era scontato, ma è stato
proprio grazie al lavoro di medici come Basaglia, che si è iniziato a pensare a un approccio più
completo alla persona (bio-psico-sociale) e non solo medico; nel terzo capitolo ho spiegato la
tripartizione della malattia classica (sickness, desease e illness), cercando di capire se l’autismo o
la disabilità possa essere considerata malattia; nel quarto capitolo ho descritto più nel dettaglio il
ruolo dell’operatore che lavora con l’autismo, e in generale, con la disabilità, sottolineandone le
difficoltà che si incontrano, oltre che nel lavoro in sé, nel far capire agli altri quello che si sta
facendo, lasciando poi nelle conclusioni alcuni interrogativi aperti, come per esempio come si
può far si che la differenza non sia sempre vista come negativa o paurosa, soprattutto dalle nuove
generazioni, che hanno l’importante compito di trasmettere idee corrette ai posteri, non cercando
di eliminare quello che è diverso, ma di accettarlo come differente. È difficile cercare di mettere
le persone in grado di esserci nel mondo, e talvolta è un’impresa impossibile, ma dall’altra parte
il mondo deve imparare ad allenare di più lo sguardo e andare oltre.
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Capitolo 1: Cos’ è l’ autismo?
“ Era così carina: occhi color nocciola con lunghe ciglia arricciate e sopracciglia finemente
sottili, riccioli biondo chiaro e una dolce espressione sognante; speravo che alla fine tutto
sarebbe andato bene, e che fosse solo partita un po’ lentamente”
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(lettera di una madre).
Chi ha una qualche familiarità con le immagini di bambini affetti da una qualche forma di
disturbo evolutivo sa che essi “appaiono” handicappati; il più delle volte il bambino autistico
colpisce chi lo osserva per la sua bellezza incantevole, un po’ da altro mondo. Non è facile
immaginare cosa vi sia davvero sotto quella bellezza così pura; in realtà sotto vi è qualcosa di
complesso, enigmatico, un’ anomalia sottile ma devastante.
Oggi più che in passato sentiamo parlare di autismo e bambini autistici, ma cos’ è realmente
l’autismo? L’ autismo è un grave disturbo funzionale del sistema nervoso centrale, a insorgenza
precoce, che altera profondamente lo sviluppo complessivo del bambino e il suo processo di
crescita. La causa di questo non è unica, in quanto un certo numero di processi patologici possono
determinare gravi danni, assimilabili all’autismo, nello sviluppo del bambino. Per questo motivo
non è corretto parlare di autismo ma di disturbo “pervasivo” o generalizzato dello sviluppo,
inteso come un gruppo generalizzato di patologie che hanno la caratteristica di alterare in modo
pervasivo ed invasivo
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l’ intero sviluppo psicologico del bambino compromettendo in modo
“generale e globale”
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tutti i sistemi, cognitivi, comunicativi, linguistici e comportamentali, che
indirizzano e guidano lo sviluppo “normale” del bambino, alterandone complessivamente la
crescita. A questo proposito non è corretto parlare di autismo, ma di disturbi dello spettro
autistico, in quanto, come vedremo, la manifestazione di questa malattia non è univoca ma
presenta numerosa variabili, sfaccettature e tipologie.
Uta Frith, una delle più autorevoli studiose che si è occupata di autismo, presenta il soggetto
autistico attraverso l’esempio di un bambino di nome Peter e ne descrive così la vita, a partire
dall’infanzia fino all’età adulta:
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“Peter è il figlio molto amato di una famiglia benestante di
Londra. Durante il suo primo anno di vita P. non sembrava diverso dagli altri bambini, piangeva
quando aveva fame, rideva se gli si faceva il solletico. Nelle fotografie appare come un bambino
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C. Park, “L’assedio, i primi cinque anni di vita di una bambina autistica con epilogo quindici anni dopo”, Edizione
Astrolabio Roma 1985;
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Ramaglia G., Pezzana C., “Capire l’ autismo”, Edizione Carocci, Roma 2004;
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Asperger H., “ Bizzarri, isolati, intelligenti”, Edizione Erickson, Trento 2012;
5
U. Frith, “L’autismo, spiegazione di un’ enigma”, Edizione Laterza, Bari 2010;
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bello, sano e felice. Vi è stato qualche lieve segno dei problemi successivi, tuttavia nessuno se ne
era mai accorto. Non alzava gli occhi quando lo si chiamava per nome, non indicava gli oggetti
su cui gli altri cercavano di richiamare la sua attenzione; non era particolarmente interessato a
chi gli parlava, mentre poteva rimanere assorto mentre esaminava un blocco per costruzioni.
Quando la madre lo veniva a prendere non allargava mai le braccia […]; Peter era sordo?
Forse la sordità poteva spiegare non solo perché non parlava, ma anche perché sembrava vivere
così bene in un mondo tutto suo e perché prendeva parte così raramente al mondo degli altri;
tuttavia fu evidente che non era sordo, Peter infatti correva alla finestra tutte le volte che sentiva
il rombo familiare del rumore di un autobus[…]; Peter cominciò a parlare tardi, ma il
linguaggio non gli aprì le porte della comunicazione, come tutti lo avevano sperato. Egli facevo
eco a ciò che dicevano le altre persone, ripetendo la stessa frase più e più volte; spesso i
familiari pensavano che ci fosse un muro invisibile che non permetteva mai di avere un contatto
appropriato con lui; per quanto si adoperassero poi non giocava mai insieme agli altri bambini,
sembrava che per la maggior parte del tempo non guardasse le persone, ma che passasse
attraverso di esse. Peter era assorbito da sé stesso, ostinato e intransigente verso i desideri
altrui. A 3 anni gli fu diagnosticato l’autismo. Ai test psicologici che implicavano il linguaggio
andò malissimo, ma andò molto bene in quelli in cui c’era da mettere insieme delle figure
geometriche[…]. Entrò in una scuola speciale e riuscì quindi ad imparare molte cose; crescendo
fece dei notevoli progressi, imparò anche a nuotare e a costruire barchette; fu sua sorella ad
accorgersi che aveva imparato tutti i percorsi degli autobus di Londra con relativi numeri e
destinazioni, nessuno seppe come fece a farlo; gli amici e i vicini notarono come il bambino fosse
divenuto più socievole; sebbene fosse un po’ troppo chiacchierone ed in modo ripetitivo (oggi è
lunedì ieri era domenica, domani sarà martedì e andiamo a trovare la nonna), era difficile
ricavare da lui informazioni importanti (per esempio quando si fece male dopo una caduta non
ne parlò con nessuno e la madre rimase sconvolta quando trovò da sé i vestiti macchiati di
sangue. Peter prendeva poi le cose alla lettera in modo estremo, per esempio una volta la madre
disse che la sorella “non aveva più gli occhi dal piangere”, lui si chinò a cercare gli occhi a
terra[…].
Finita la scuola Peter andò a lavorare in ufficio con la madre; gli si offrì la possibilità di entrare
a far parte di un gruppo per le abilità sociali alla clinica e divenne una presenza affidabile. Fece
la conoscenza di persone per molti versi simili a lui e questo gli fu di conforto. Gli piaceva
guardare la televisione ed era contento di stare di fronte al video in compagnia di altre persone.
Quando veniva trasmessa una commedia con scherzi e giochi si metteva a ridere con gli altri;
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tuttavia non riusciva comprendere le trame delle soap opera che seguiva insieme a sua madre
anche se conosceva tutti i personaggi. Peter è adesso un uomo di mezza età e conduce una vita
semplice: passa molto tempo al computer, giocando ai videogame e riproducendo fedelmente il
testo dei cataloghi musicali che legge. È di aiuto nel giardinaggio e nei lavori domestici. Ama la
sua routine, ogni giorno va alla piscina locale poi passeggia intorno al prato. Peter è ancora
molto ingenuo e non comprende come si vive al mondo, e resta sconcertato di fronte agli inganni
e alle menzogne. La sua voce rimane acuta e caratteristica e le sua andatura rigida e goffa. I
familiari riconoscono che Peter ha fatto una lunga strada da quando guardava le persone
attraverso e non parlava per niente. A poco a poco si sono resi conto che Peter sarebbe rimasto
autistico per sempre e pian piano sono venuti a patti con questa realtà. Insieme ad amici di
uguali vedute e nella stessa situazione spesso ridono del lato buffo del vivere con
l’autismo.[…]Con un po’ di aiuto da parte di professionisti empatici hanno trovato un modo per
convivere con gli inevitabili crucci e problemi[…]. Un’amica di famiglia una volta confessò di
essersi trovata a invidiare la condizione autistica di Peter, perché era semplicemente se stesso
senza mai preoccuparsi di cosa gli altri pensavano di lui. I genitori di Peter sono
comprensibilmente preoccupati di quello che gli accadrà quando non potranno più prendersi
cura di lui; hanno paura che possa cadere in uno stato di abbandono o essere sfruttato, per
questo stanno lavorando insieme alle autorità locali perché ciò non accada. Il futuro è incerto
ma Peter non sembra preoccuparsene.”
In questo brano sono citate in generale tutte le caratteristiche dell’autismo: interessi ristretti,
scarsa interazione sociale, incapacità di cogliere l’ironia eccetera; chiaramente non tutti gli
individui sono come Peter, e non tutti hanno avuto uno sviluppo uguale, tuttavia gli esperti nel
corso del tempo hanno dovuto individuare una linea comune per diagnosticare l’autismo.
Gli esperti si sono accordati nell’usare criteri comportamentali per la diagnosi di autismo,
questi criteri sono citati nelle opere di consultazione, che sono costantemente aggiornate; il
più grosso cambiamento nel tempo è stato un ampliamento dei criteri di valutazione; lo
schema più dettagliato e anche quello più recente è quello descritto nel
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Diagnostic and
statistical manual (DSM) della società americana di Psichiatria (manuale diagnostico e
statistico dei disturbi mentali); il DSM riguarda soprattutto i disturbi mentali dell'adulto e ha
una parte dedicata a quelli che insorgono nell'infanzia e nell'adolescenza.
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www.who.int;