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Le fusioni transnazionali tra diritto comunitario e norme interne

Il nuovo codice pose l’accento sul distacco da tale impostazione, dedicando un nuovo capitolo alla trasformazione e fusione di società, per sottolineare la continuità dell’attività di impresa in questo tipo di operazioni. Analizzando quindi in dettaglio quelle che sono state le sostanziali novità rispetto al codice di commercio, esse consistettero, sostanzialmente, in due elementi: nell’esplicitazione della descrizione dei due processi attraverso i quali la fusione poteva concretizzarsi e cioè: la costituzione di una nuova società (fusione propria) o mediante l’incorporazione di una o più società acquisite. Il secondo elemento invece prescriveva un esplicito atto di fusione, stipulato per atto pubblico in conclusione del procedimento. Nonostante le grandi perplessità che tale disciplina aveva suscitato all’interno di giurisprudenza e dottrina, essa rimase immutata sino al 1991 quando, in attuazione della terza direttiva europea, venne arricchita con lo scopo di “fornire maggiore trasparenza” soprattutto in relazione alle “condizioni economiche dell’operazione” ed anche “sul ruolo e sulle competenze degli organi sociali coinvolti”. La regolamentazione del 1991, ha aggiunto, oltre alle due sezioni precedentemente dedicate alle trasformazioni ed alle fusioni, una terza con la quale si diede attuazione alla VI direttiva europea che disciplinava l’istituto della scissione sino ad allora sconosciuto all’interno del nostro ordinamento . Inoltre l’esigenza di disporre di regole certe ed uniformi per attuare fusioni fra società di paesi diversi, con particolare riguardo all’ambito europeo era sentita, da lunga data, non soltanto per le grandi ma anche dalle piccole e medie imprese. Tanto la prassi quanto una parte significativa della dottrina, infatti, avevano nel tempo avvallato la possibilità di fondere due società di paesi diversi, senza procedere al complesso processo di scioglimento, cessione dell’intero patrimonio e liquidazione, da parte di una delle società oggetto di fusione. L’orientamento favorevole alla generale ammissibilità delle fusioni transfrontaliere, anche in mancanza di esplicite norme di diritto internazionale privato che le legittimassero, è stato supportato dalla giurisprudenza comunitaria, in particolare da una nota sentenza della corte di giustizia CE sul caso Sevic AG con il quale è stato stabilito che gli art. 43 CE e 48 CE ostano a che in uno stato membro l’iscrizione nel registro nazionale delle imprese la fusione per scioglimento senza liquidazione di una società e trasmissione universale del patrimonio di quest’ultima ad altra società, sia generalmente rifiutata se una delle due società ha sede in un altro stato membro mentre è possibile, purchè siano rispettate determinate condizioni, se le società partecipanti alla fusione hanno entrambe sede nello stesso stato membro. Quindi anche prima dell’emanazione della direttiva 2005/56/CE le fusioni transfrontaliere non erano vietate anche se le società coinvolte avevano sede in paesi membri diversi. La suddetta sentenza sancì in maniera definitiva tale possibilità confermando il principio della libertà di stabilimento espressa all’interno del trattato CE. Il problema però rimaneva in capo alle norme procedurali necessarie al conseguimento di tali fusioni transfrontaliere, e tale dubbio spingeva spesso alla impossibilità di attuazione delle stesse. Con il rilascio della normativa comunitaria 2005/56/CE, è stata in larga parte soddisfatta questa esigenza, permettendo ad ogni stato membro di adattare le norme procedurali proposte dalla normativa europea a quelle che erano le norme interne precedentemente in essere per le fusioni interne. La direttiva comunitaria 2009/109/CE ha inoltre introdotto delle ulteriori semplificazioni atte all’abbattimento dei costi amministrativi delle fusioni transfrontaliere, permettendo e incoraggiando le società coinvolte nell’uso degli strumenti informatici accreditati per la pubblicità dei documenti richiesti durante l’iter procedurale.

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4 1.1 - Introduzione: elementi storici delle fusioni e acquisizioni. In relazione alle origini della disciplina in Italia, il codice del 1942 aveva dedicato alle operazioni di trasformazione e fusione sette articoli, distribuiti nelle sezioni in cui era diviso il capo VIII del libro V, che si limitavano a regolare alcune linee essenziali quali le modalità deliberative, le conseguenze per i soci ed i creditori, gli effetti derivanti dalla fusione e gli adempimenti pubblicitari necessari per garantire una informazione minima sui mutamenti intervenuti all’interno della società coinvolta in questo tipo di operazione 1 . All’interno di tale codice, venivano introdotti anche alcuni vincoli di di forma richiesti per la costituzione delle società di capitali. Quindi tale disciplina poteva essere definita essenzialmente volta al prendere atto delle modalità più frequentemente usate nei processi di riorganizzazione di impresa come quelli della concentrazione, che trovano nella disciplina della fusione “la soglia più alta e radicale di 1 NAVARRINI, Commentario al codice di commercio, II, Delle società e delle assicurazioni commerciali, Milano, 1924, p. 73; CANDIAN, La fusione di società commerciali, in Studi Vivante, I, Roma, 1931, p. 243.

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