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Welfare e sistema sanitario in Italia: tra universalismo e selettività

Obiettivo di questo lavoro è l’analisi del nostro sistema di welfare. Ci concentreremo sulla sanità, che rappresenta la seconda voce di spesa sociale dopo quella pensionistica. Dopo un breve excursus storico sulle Società di Mutuo Soccorso, che fornirono alla nascente classe lavoratrice italiana un importante mezzo per affrancarsi dai rischi di malattia, di infortunio sul lavoro, e di indigenza, abbiamo analizzato la nascita e lo sviluppo del Sistema Sanitario Nazionale. Nel corso del lavoro abbiamo affrontato, sempre con occhio critico, le modifiche più importanti apportate al sistema, dalle riforme del 1992 e 1993, passando per il D.Lgs. 56/2000 e arrivando infine alla modifica del Titolo V della Costituzione. Ci siamo soffermati sulle criticità relative alla definizione di Costi e Fabbisogni Standard, sottolineando come l’interesse politico dovrebbe orientarsi verso una stima dei fabbisogni sanitari basata su variabili che supportino con evidenze empiriche la scelta delle determinanti dei bisogni sanitari. La nostra proposta è l’utilizzo degli indici di deprivazione, che insieme alla componente relativa all’età potrebbero in maniera migliore individuare il fabbisogno vero delle diverse aree territoriali.
Alla luce della difficile situazione dei conti pubblici italiani, la nostra riflessione si è quindi spostata sulle modalità attraverso le quali continuare a garantire l’universalità del sistema sanitario. Forti dei suggerimenti della Commissione Onofri, crediamo che la risposta sia nell’universalismo selettivo, nel senso di “selezionare” i beneficiari in base ad una prova dei mezzi, e garantire così l’universalismo dei benefici sulla base della sola insufficienza dei mezzi.
Quanto più accurata la prova dei mezzi tanto più si potrà garantire in maniera equa l’universalità delle politiche sanitarie. Nel corso del lavoro abbiamo studiato uno dei meccanismi di selezione per reddito più utilizzati in Italia, l’ISEE, sottolineandone gli elementi positivi e quelli che potrebbero essere modificati, in base ad un confronto con l’ICEF, utilizzato nella Provincia Autonoma di Trento.
Il nostro percorso si conclude con un esame delle politiche di compartecipazione alla spesa sanitaria, che spesso si accompagnano alla prova dei mezzi: la nostra conclusione è che tramite l’adozione simultanea di una prova dei mezzi efficace e un ricorso moderato al copayment sia ancora possibile garantire l’universalismo.
Abbiamo cercato di impostare un means test che risulti più equo e maggiormente in grado di contrastare i comportamenti opportunistici dei cittadini. Analizzando la facilità di occultamento dei redditi e la struttura del nostro prelievo, che mostra poca attenzione alle manifestazioni di ricchezza legate al patrimonio, proponiamo una modifica dell’ISEE, attraverso l’implementazione di un peso maggiore da assegnare alla componente patrimoniale, variabile a seconda del valore del patrimonio, per garantire un profilo di equità.
La proposta si completa con la quota di compartecipazione da richiedere ai cittadini non esenti. Tenendo conto dell’elasticità rispetto al prezzo della domanda di servizi sanitari, e di come questa possa influenza negativamente le condizioni di salute della popolazione, abbiamo proposto un livello di compartecipazione proporzionalmente regressivo al valore della prestazione richiesta, con previsione di un tetto massimo annuo sostenibile dai cittadini.

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1 INTRODUZIONE Obiettivo di questo lavoro è l’analisi del nostro sistema di welfare. Ci concentreremo principalmente sulla sanità, che rappresenta la seconda voce di spesa sociale, dopo quella pensionistica. Il nostro excursus inizia dalla prima metà dell’Ottocento, quando si cominciarono a superare le forme caritative private e pubbliche, e la previdenza sociale iniziò a declinarsi anche attraverso le Società di Mutuo Soccorso. Il fenomeno fu fondamentale per quel periodo, e si impiantò nelle grandi trasformazioni istituzionali ed economiche che si verificarono in Italia, come nel resto dell’Europa. La proposta mutualistica si affermò grazie alle sue doti di semplicità e flessibilità organizzativa, diffondendosi in quasi tutti i settori produttivi. Probabilmente fu la forte base territoriale l’ingrediente principale del successo del mutualismo. L’intero fenomeno ebbe nella struttura sociale dell’epoca un impatto determinante: spesso i sodalizi si svilupparono a tal punto da coinvolgere la maggior parte dei residenti, garantendo servizi che nessun’altra istituzione dell’epoca era in grado di offrire. Partendo dalla situazione socio-economica del Piemonte, una delle regioni italiane in cui il fenomeno mosse i primi passi e si sviluppò con piø vigore, andremo ad analizzare i regolamenti di quattro società, in seguito alla concessione dello Statuto Albertino. Saremo così in grado di esaminare nel dettaglio gli scopi delle società, la tipologia degli iscritti, i meccanismi di ammissione e di espulsione dei soci, le quote sociali, i sussidi, e il meccanismo decisionale. Ci soffermeremo in particolare sulle modalità di ammissione dei soci, sulla tassa d’ingresso, sulla quota mensile richiesta, e ovviamente sui sussidi concessi. Dagli statuti delle quattro società analizzate si evidenzia che mediamente l’entità dei sussidi versati ai soci era pari a 1-1,25 lire al giorno, cioè uguale o superiore di ¼ al contributo mensile richiesto. La somma poteva essere fissa o differenziata in base all’anzianità d’iscrizione dei soci, mentre la durata del soccorso era estremamente variabile, a seconda delle capacità finanziarie delle società: si andava dai venti giorni previsti dalle società piø piccole, ai sei mesi di quelle economicamente piø

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