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Il concetto di felicità nel pensiero di Dante Alighieri

OMBRETTA CARLINI ha vinto il PREMIO SAN GIUSTO 2002 per Tesi di laurea sul Medioevo con la sua tesi di Storia della Filosofia Medioevale sul concetto di felicità nell'opera di Dante Alighieri.


Dante, l’umano, e il problema della felicità



Nell’accostarsi all’opera di Dante è possibile cogliere, nella ricchezza senza fine di temi e motivi presenti, un leitmotiv per così dire ‘speciale’, che colpisce per tono e contenuto:
è l’umana sete di felicità.
Questo tema, su cui lo sforzo riflessivo dei filosofi antichi, in epoca classica, ellenistica, e oltre, già si era largamente concentrato, è ripreso, nel pensiero dantesco, con un rilievo del tutto particolare, fino a costituire una vera questione capitale, affrontata, di volta in volta, ma lungo la linea continua di una concezione unitaria, nella lucida consapevolezza che la felicità costituisca il fine assoluto ed universale, a cui necessariamente l’uomo, come ogni creatura del cosmo, tende, e che racchiude il significato autentico del desiderio e dell’agire umano.
E, se dalla fede cristiana e dal ‘suo’ Aristotele, Dante già può dire di avere appreso in che cosa consista la vita beata per gli uomini nel loro duplice destino, resta da chiarire, ai suoi occhi, quale sia la via per conseguirla, concretamente, nell’ambito ‘politico’ della societas hominum.
La proposta che il filosofo fiorentino viene delineando, e che si risolve in un progetto attuabile sul piano storico, coinvolge, in primis, Dio, “etterno amore,” ma anche, necessariamente, gli uomini di ragione o “amatori di sapienza,” la figura dell’Imperatore, quella del Pontefice, e l’intera comunità umana, in un’architettura sostanzialmente semplice, ma densa di significati e valenze, dove, secondo categorie di ordine metafisico, etico e politico, fede e ragione sono ripensate alla luce di una grande tensione verso l’accordo, e l’armonia, e dove lo stato eudemonico dell’uomo è considerato una meta non solo possibile, ma già predisposta nel mondo, e nella natura, come legge stessa dell’essere.
Dante indica con precisione quelle che ritiene siano le imprescindibili condizioni per realizzare la felicità umana, in un cammino rigoroso, costituito da elementi essenziali, che è preordinato all’umanità, e per l’umanità, ma che vede quest’ultima protagonista, nella libertà di scegliere con gli strumenti razionali, e con la fede, il proprio bene.
Seguendo i momenti fondamentali della riflessione dantesca, ricca dell’eredità e delle suggestioni della tradizione filosofica occidentale, ma vivificata profondamente da tutta una serie di spunti originali, in cui è possibile cogliere le note dell’ottimismo etico di Dante, si consolida una completa ed articolata teoria della felicità, contraddistinta da un vero e proprio umanesimo, entro le cui coordinate la dimensione umana e la vita terrena si caricano di una dignità quasi sconcertante.
E l’Alighieri– umanissimo- nella sua distanza, cronologica e culturale, diviene, tra Medioevo e Modernità, più vicino di altri, e, se possibile, ancora più ‘attuale’.

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VII Dante, l’umano, e il problema della felicità Nell’accostarsi all’opera di Dante è possibile cogliere, nella ricchezza senza fine di temi e motivi presenti, un leitmotiv per così dire ‘speciale’, che colpisce per tono e contenuto: è l’umana sete di felicità. Questo tema, su cui lo sforzo riflessivo dei filosofi antichi, in epoca classica, ellenistica, e oltre, 1 già si era largamente concentrato, è ripreso, 2 nel pensiero dantesco, con un rilievo del tutto particolare, fino a costituire una vera questione capitale, affrontata, di volta in volta, 3 ma lungo la linea continua di una concezione unitaria, nella lucida consapevolezza che la felicità costituisca il fine assoluto ed universale, a cui necessariamente l’uomo, come ogni creatura del cosmo, tende, 4 e che racchiude il significato autentico del desiderio e dell’agire umano. E, se dalla fede cristiana e dal ‘suo’ Aristotele, 5 Dante già può dire di avere appreso in che cosa consista la vita beata per gli uomini nel loro duplice destino, 6 resta da chiarire, ai suoi occhi, quale sia la via per conseguirla, concretamente, nell’ambito ‘politico’ della societas hominum. La proposta che il filosofo fiorentino viene delineando, e che si risolve in un progetto attuabile sul piano storico, coinvolge, in primis, Dio, “etterno amore,” 7 ma anche, necessariamente, gli uomini di ragione o “amatori di sapienza,” 8 la figura dell’Imperatore, quella del Pontefice, 9 e l’intera comunità umana, in 1 Cfr., tra gli altri, Annas J., La morale della felicità in Aristotele e nei filosofi dell’età ellenistica, ed. Vita e Pensiero, Milano 1997; Contini M., Figure di felicità, Orizzonti di senso, LaNuovaItalia, Firenze 1988; Nussbaum M. C., La fragilità del bene, Fortuna ed etica nella tragedia e nella filosofia greca, il Mulino, Bologna 1996. 2 Il contesto storico e culturale in cui s’inserisce la riflessione dantesca sull’idea di felicità, come si vedrà nel corso del presente lavoro (vedi i capp. I e II), si presenta, in effetti, come un momento particolare per la civiltà europea, che, dopo essere stata dinamizzata da un’ondata di grande sviluppo in campo economico, ed essersi tesa nell’ottimismo di quella che G. Duby chiama “la filosofia della felicità”, avverte, tra la fine del XIII e l’inizio del XIV sec., i primi segnali della crisi. Cfr. Duby G., L’arte e la società medievale, Laterza, Roma-Bari 1981, p. 197 segg. 3 Dante tratta diffusamente il tema della felicità in più opere: nel Convivio, nella Monarchia, nella Commedia, che, infatti, come una sorta di trilogia, illustrano un quadro articolato e completo del concetto di felicitas nel pensiero dantesco, integrandosi vicendevolmente e sviluppando il discorso sotto ogni profilo. Seppur in ‘tono minore’, tuttavia, come si avrà modo di notare nel corso del presente lavoro, anche scritti quali le Epistole, sono testi in cui trova spazio la riflessione dantesca sullo stato eudemonico dell’umanità. 4 Cv I I 1 segg. Vedi il cap. III del presente lavoro. 5 Cfr. il cap. IV del presente lavoro. 6 Nel corso della trattazione sarà ampliamente descritto come per Dante esistano due fini ultimi, uno terreno-naturale, uno celeste-sovrannaturale, a cui l’essere umano tende per natura. Cfr. il cap. III del presente lavoro. 7 Pd XXIX 18. 8 Nella concezione dantesca i sapienti, intesi come “amatori di sapienza”(Cv III XI 5) sono tutti gli intellettuali, gli uomini di ragione, cultori della conoscenza, anche non ‘di mestiere’, ossia appartenenti al mondo universitario, ma che, anzi,

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