VIII
un’architettura sostanzialmente semplice, ma densa di significati e valenze, dove, secondo categorie di
ordine metafisico, etico e politico, fede e ragione sono ripensate alla luce di una grande tensione verso
l’accordo,
10
e l’armonia, e dove lo stato eudemonico dell’uomo è considerato una meta non solo
possibile, ma già predisposta nel mondo, e nella natura, come legge stessa dell’essere.
Dante indica con precisione quelle che ritiene siano le imprescindibili condizioni per realizzare la felicità
umana, in un cammino rigoroso, costituito da elementi essenziali, che è preordinato all’umanità, e per
l’umanità, ma che vede quest’ultima protagonista, nella libertà di scegliere con gli strumenti razionali, e
con la fede, il proprio bene.
11
Seguendo i momenti fondamentali della riflessione dantesca, ricca dell’eredità e delle suggestioni della
tradizione filosofica occidentale, ma vivificata profondamente da tutta una serie di spunti originali, in
cui è possibile cogliere le note dell’ottimismo etico di Dante, si consolida una completa ed articolata
teoria della felicità, contraddistinta da un vero e proprio umanesimo, entro le cui coordinate la dimensione
umana e la vita terrena si caricano di una dignità quasi sconcertante.
E l’Alighieri– umanissimo- nella sua distanza, cronologica e culturale,
12
diviene, tra Medioevo e
Modernità, più vicino di altri, e, se possibile, ancora più ‘attuale’.
rappresentano, all’epoca di Dante (che è il loro stesso sommo rappresentante), una “nouvelle catégorie d’individus”, come
scrive De Libera.
Queste figure sono, infatti, i fautori della grande “mutation des XIII et XIV siècles: la sortie de la philosophie extra muros”
del mondo universitario, essendo i fautori di una vera “déprofessionnalisation de la philosophie”, pur impersonando sotto
ogni profilo la perfetta figura di filosofo, sul modello aristotelico. (vedi il cap. IV del presente lavoro).
Cfr. De Libera A., Penser au Moyen Age, Edition du Seuil, Paris 1991, pp. 136-137.
9
Imperatore e Pontefice, infatti, sono da Dante indicati come elementi indispensabili ai fini della felicità umana: ad
entrambi, perciò il pensiero etico-politico dantesco riserva un ambito di riflessione privilegiato, che, quindi, la presente
trattazione seguirà con attenzione particolare.
Nella prima parte del presente lavoro saranno ricostruiti i fondamentali momenti dell’evoluzione storica, sia dell’Impero sia
del Papato, seguendone, in modo preminente, l’evolversi, dal punto di vista delle idee poste alla base delle spesso divergenti
concezioni sulla natura del loro stesso potere, e sulle loro peculiari funzioni istituzionali.
Nella seconda parte, invece, l’Imperium e il Papatus verranno considerati in relazione alla specifica dottrina di Dante.
10
La sapienza umana, in cui risiede la prima condizione per essere felici (vedi il cap. III e segg. del presente lavoro), infatti,
procede per “filosofici argomenti e per autorità.” (Pd XXVI 25-26; cfr. anche Pd XXIV 133-135).
11
Cfr. Ep XIII 11: “[…] est homo, prout merendo et demerendo per arbitrii libertatem est iustitiae praemiandi et puniendi obnoxius.”
12
Il valore del messaggio di Dante, per molti aspetti già ‘moderno’, come le recenti prospettive esegetiche non hanno
mancato di rilevare, assume un significato che difficilmente si armonizza nel quadro di interpretazioni che considerino
l’autore della Divina Commedia completamente assorbito nel pensiero della trascendenza, nei termini di una figura astratta,
insomma, tutta tesa nella considerazione religiosa dell’aldilà, e immolata all’ideale, ‘medievale’, della dimensione ultraterrena,
metafisica.
Questa idea stereotipata di Dante, fortunatamente decaduta, può, nondimeno, essere tutt’ora facilmente mutuabile per
liquidare l’autore della Monarchia e della Divina Commedia, come il sommo poeta che tra il Due e il Trecento, ancora esprime i
valori della cultura del ‘Medioevo’.
IX
[…] Formula della nostra felicità:
un solo sì, un solo no,
una linea diretta, una meta…
F. Nietzsche
In questa sede non si vuole certo contestare che una serie di aspetti fondamentali, nell’opera dantesca, indichino la sua
indiscutibile appartenenza, culturale e filosofica, ad un mondo, quello definito appunto ‘medievale’, a cui l’Alighieri
storicamente appartiene; il dissenso, semmai, è nel sostenere questa classificazione quando essa venga eccessivamente
estremizzata.
Per una discussione sul tema, si rimanda, tra gli altri, in particolare al lavoro espositivo di A.Comollo (Comollo A., Il dissenso
religioso in Dante, Firenze, Olschki, 1990, cap. IV), nonché a B.Nardi, che, nella maggior parte dei suoi saggi di esegesi della
filosofia dantesca, non manca di esporre - spesso confutandole - le posizioni di molti critici, ritenuti autorevoli, di fine
ottocento e della prima metà del ‘900, allineati sull’idea di Dante ‘metafisico’.
Parte Prima
2
Capitolo I
Tra Due e Trecento
Tra il XIII e il XIV secolo, nel cinquantennio che grossomodo abbraccia la vita di Dante Alighieri, la
storia d’Europa è senza dubbio giunta ad un crocevia: in questo torno d’anni, infatti, tutta una serie di
equilibri su cui la Cristianità poggiava le sue basi si spezzano.
Il Duecento, tempo felice
1
dell’urbanesimo,
2
delle cattedrali e delle università,
3
delle coltivazioni fiorenti
nelle nuove terre dissodate,
4
delle nuove monete d’oro,
5
della produzione industriale
6
e del decollo
1
Il XIII secolo è considerato nel suo complesso l’apogeo del Medioevo, il punto estremo, come scrive E.Miller, toccato dal
pendolo medievale.
A partire dal 1000 e fino almeno al 1250, l’Europa vive un momento di forte crescita e sviluppo, favorito, non da ultimo, dal
cessare delle pressioni che gli invasori nomadi, dalle steppe russe ed asiatiche, avevano in passato lungamente esercitato;
viceversa, continueranno in Asia, da Baghdad alla Cina.
2
I liberi Comuni italiani in primis, ma anche le città delle Fiandre, presso il Reno e la Mosa, l’Ile de France e la Champagne,
nella loro diversità, si costituiscono come principale sede dell’innovazione politica ed economica.
3
La nascita delle Università, associazioni corporative dei maestri e degli studenti, è per la cultura e per la storia intellettuale
dell’Europa occidentale l’evento più importante prodottosi nel secolo XIII.
Cfr. Verger J., Istituzioni e sapere nel XIII secolo, Jaka Book, Milano 1996.
Anche la costruzione di imponenti cattedrali, frutto di lunghi decenni di lavoro e grandi sforzi economici, caratterizza il ‘200:
in particolare le cattedrali gotiche, splendide costruzioni, spinte sempre più in alto e tutte tese alla cattura della luce, sono
simbolo visibile di una società urbana ottimista e orgogliosa di sé.
Il gotico, espressione del XIII secolo, nota LeGoff, sembra un’arte protesa verso la felicità, meta auspicata anche nell’ambito
naturale, su cui, con sempre maggiore frequenza, sviluppano teorie filosofiche gli intellettuali, e in particolare gli universitari
parigini aristotelici, del tempo.
Cfr. Duby G., L’arte e la società medievale, Laterza, Roma-Bari 1981, parte seconda, capp. I, II; LeGoff J., Il Basso Medioevo,
Feltrinelli, Milano 1997, p.283.
4
L’estensione della superficie coltivata è legata, come sottolinea S.Guarracino nella sua Storia dell’Età Medievale, alla
colonizzazione verso est, vera “conquista umana di un intero continente, dal Reno alla Russia, con tutto ciò che essa
comporta in fatto di crescita demografica ed agricola e sviluppo economico ed urbano.”
Cfr.Guarracino S., Storia dell’Età Medievale, Mondadori, Milano 1988, p. 340.
All’estensione delle colture si accompagna un consistente sviluppo dell’allevamento e un graduale progresso tecnologico. A
favorire questa fase di impennata produttiva anche il persistere di un clima temperato persino ad alte latitudini.
Nel Trecento, invece, l’Europa entrerà in una fase climatica di instabilità e freddo.
5
Per mano soprattutto di un gruppo di città italiane in grand’ascesa economica, nel campo dei commerci su scala europea, e
della finanza, sono coniate a più riprese monete prima d’argento, e, successivamente, d’oro, che sostituiscono l’antico e
svalutato denaro carolingio e il vecchio soldo bizantino, divenendo, infine, la moneta forte internazionale.
6
Soprattutto nella produzione tessile e manifatturiera, e, in generale, dei prodotti d’alta qualità, di lusso e semi-lusso, che si
sviluppano presso i centri delle Fiandre, e dell’Italia centro-settentrionale.
In queste regioni, infatti, si mette in luce una capace classe imprenditoriale, agevolata dalla presenza di abbondante
manodopera e di materie prime facilmente reperibili.
Altre città, invece, si legano all’invenzione della carta, che si diffonde appunto nel corso di questo secolo.
3
demografico, per tutta una serie di ragioni
7
si avvia progressivamente a concludersi nel travagliato
periodo in cui l’Europa conoscerà la sua prima crisi di sviluppo.
Sul finire del secolo, difatti, una profonda fase recessiva comincia a delinearsi, annunciata da segnali
sempre più evidenti.
La crisi generale, contrassegnata da “guerra, peste, carestia”, è imminente, e caratterizzerà gran parte
del XIV secolo.
8
Parallelamente, via via che questi grandi mutamenti economici, politici e culturali, iniziati nel XIII
secolo, vengono accelerandosi, si manifesta già compiutamente nel primo Trecento il declino delle
istituzioni e dei valori che avevano contraddistinto i secoli precedenti.
Fino a quel momento gli europei avevano pensato di appartenere ad un’unica società - la societas
cristiana – la cui compagine era costituita dall’unità religiosa, e dall’esistenza di due grandi istituti: il
Papato, nella persona del Pontefice, a capo della società per la dimensione religiosa, e l’Impero, con
l’Imperatore al vertice di quella laica.
La Cristianità medievale, che quindi tradizionalmente era considerata bicefala,
9
alla fine del secolo è
infranta; la continua lotta per la supremazia tra le sue massime autorità
10
produce, infatti, la loro stessa
rovina:
7
Proprio sull’onda del grande sviluppo raggiunto, il sovrappopolamento di molte regioni dell’Europa occidentale obbliga la
messa a coltura di terreni meno fertili e più esposti ai rischi del clima avverso, che imperversò con inverni più rigidi, e
maggiore piovosità, dalla fine del XIII secolo.
Dai cattivi raccolti scaturisce una grave carestia nelle regioni settentrionali (1315-18) e poi anche nel Mediterraneo.
La crisi agricola e alimentare ha pesanti conseguenze sul movimento demografico, e sull’intero assetto economico
dell’Europa medievale.
I commerci e i mercati delle città entrano in crisi, compromettendo compagnie mercantili e bancarie (concentrate in Italia).
I fallimenti e le bancarotte, infatti, non tarderanno a manifestarsi già prima del 1350, quando anche le epidemie di peste su
scala continentale faranno precipitare la societas in una situazione di panico collettivo.
Infine, a partire dal 1337, le monarchie europee, eclissatesi ormai le due grandi potenze unitarie della Cristianità medievale
(vedi avanti), danno via a un tormentato periodo di guerre, a cui si aggiungono, nella seconda metà del secolo, cicli di rivolte
popolari.
8
Cfr. Lopez R.S., La nacita dell’Europa, Secoli V-XIV, Torino, Einaudi 1966, p.427 segg.
9
Da rilevare, tuttavia, è che la Cristianitas, di fatto, con il suo essere unitaria e ‘bicefala’, faceva convivere senza difficoltà il
particolarismo dato dalla frammentazione del potere politico, e lo sbriciolamento dei sistemi giuridici nelle consuetudini
locali.
10
Secondo la lettura di LeGoff (LeGoff J., Il Basso Medioevo, cit., p.93) nel Medioevo “l’Occidente non aveva definito
nettamente i rapporti tra dominio spirituale e il temporale,” tra il potere del Papato e quello dell’Impero, entrambi con la
pretesa di esercitare un potere universale.
Tutta la storia di tre secoli è segnata dai continui tentativi dell’uno o dell’altro per la supremazia, in questa ‘lotta mondiale’
per il dominium mundi:
4
per l’istituzione imperiale sarà un irreversibile tracollo;
11
per il Papato, che a metà del XIII secolo
sembrava trionfare sul suo ‘fratello-nemico’, ed avviarsi a consolidare il proprio universalismo politico,
segnerà la fine del suo essere una grande potenza internazionale.
Dante vivrà questa fase di trasformazione e ‘rottura’ come un evento nefasto,
12
e considererà, quindi, il
conflitto tra le due autorità universali vera origine di tutti i mali della Cristianità.
13
Al tempo di Carlomagno (IX sec.), fondatore del Sacro Romano Impero, l’Imperatore si costituiva come supremo
protettore della Chiesa e della Cristianità all’interno ed all’esterno; la figura del sovrano, inoltre era investita di significato
sacro (D.Mertens parla in proposito di una vera teologia mistica del regnante, in analogia al modello bizantino.
Cfr. Mertens D., Il pensiero politico medievale, il Mulino, Bologna 1999, p.51 segg.)
Sotto Ottone I di Sassonia, Imperatore dal 962 al 973 (e dei suoi successori), il ‘Privilegio Ottoniano’condizionava l’elezione
del Papa al consenso imperiale e affermava, seguendo l’esempio dei carolingi, il diritto dell’Imperatore di designare, pur
riconoscendo che la vera e propria consacrazione spettava all’autorità religiosa, i titoli delle cattedre vescovili.
Nel 1059 il concilio lateranense convocato dal Papa Niccolò II sottrae la nomina papale e dei vescovi all’Imperatore.
L’investitura laica viene proibita definitivamente sotto Gregorio VII (vedi avanti nel testo) nel 1075, che afferma la priorità
del Papato sui sovrani della terra, e indica altresì l’Imperatore come fedele della Chiesa, tenuto all’obbedienza per la
superiorità del potere spirituale sul temporale.
Enrico IV, ricevuta la corona imperiale poco prima del ’70, e non disposto a cedere questa “fonte di potere” ed il primato
che ne deriva, si dichiara “rex et sacerdos”, ribadendo l’autorità sacrale del suo titolo.
Il conflitto tra Papa ed Imperatore, (chiamato dagli storici ‘lotta per le investiture’), teorizzato da documenti ufficiali come il
Dictatus Papae (1075) e farcito di deposizioni e scomuniche reciproche, termina, dopo alterne vicende (tra cui una vera guerra
civile in Germania promossa dal Pontefice contro Enrico, l’episodio di Canossa, la ripresa delle ostilità, e la fuga di Gregorio
da Roma a Salerno), con il concordato di Worms, nel 1122, quando ormai Papa era Callisto II e Imperatore Enrico V.
Questo compromesso politico, di fatto, lasciava intatta la struttura feudale delle istituzioni del potere, pur distinguendo nella
carica ecclesiastica-vescovile la funzione temporale dall’ufficio spirituale.
La Chiesa ne usciva ordinata secondo un modello di monarchia papale accentrata, un corpo separato, gerarchico, con una
sola testa, che rivendicava la propria superiorità sull’autorità imperiale (vedi avanti nel testo).
Nonostante il concordato di Worms, i re tedeschi perdono di fatto ogni potere sui vescovi, che, viceversa, acquistano una
parte decisiva nell’elezione regia: nel 1132, l’Imperatore Lotario II rinuncia alle regioni dell’Italia centrale, riottenendole dal
Papa in feudo, così da legittimare la teoria di Roma secondo cui la corona imperiale era beneficio papale e l’Imperatore
vassallo del Papa.
Gli scontri tra Papato e Impero, tuttavia, si riaccendono con Federico I (1152-90) e papa Alessandro III.
L’Imperatore, che persegue il progetto di riportare l’Impero all’antico splendore dell’epoca ottoniana, abbandona l’idea della
natura divina dell’Impero, e si appella al diritto romano, ad un principio cioè di legittimazione laico della sovranità. Il
Pontefice lo scomunica nel 1165, e appoggia il fronte dei Comuni italiani che si oppone alla corona imperiale per il
mantenimento delle regalie, e dell’autonomia.
Federico viene sconfitto nel 1176, e si accorda infine con Alessandro III. Dopo queste vicende, l’Impero perde ogni
rilevanza politica, mentre il Papato, in particolare nella figura di Innocenzo III (1198-1216) diviene la maggiore potenza
dell’Europa cristiana.
Fino alla morte di questo Papa, l’Impero tedesco rimane sotto la tutela della Santa Sede.
Il conflitto tra le due istituzioni divampa ancora una volta con Federico II (1212-1250), e questa volta tanto aspramente da
far collezionare all’Imperatore addirittura tre scomuniche.
L’azione politica di Federico, il cui obbiettivo è quello di riunire la corona dell’Impero con quella del regno di Sicilia, è
sostenuta da un pensiero fortemente organizzato.
Nonostante il suo sforzo politico ed il suo sorprendente tentativo di imporre il monopolio statale del diritto, questo
Imperatore, che aveva fatto tesoro della tradizione bizantina e musulmana, e che confidava nella cultura quale valida guida
per sé e per la sua corte, morirà, vedendo sgretolarsi il sogno di una nuova e stabile organizzazione statale, sconfitto dai
Comuni italiani e dal Papato.
11
Come mostra G.C.Garfagnini, (in Rivista di storia della filosofia n.1 1997, p.39), di fatto l’Impero, al di là di isolati colpi di
coda, già a metà del ‘200, come potere universale, non costituisce più un soggetto politico attivo.
12
La riflessione dantesca sulla crisi del periodo è precorre il generale avvertimento di disagio che la società occidentale
inizierà sempre più chiaramente ad esprimere.
Mentre Dante matura la sua concezione politica, tuttavia, non molti, tra i suoi contemporanei, hanno piena coscienza della
crisi, relativamente, in particolare, alle due supreme istituzioni medievali.
5
Due soli aver, che l'una e l'altra strada
facean vedere, e del mondo e di Deo.
L'un l'altro ha spento; ed è giunta la spada
col pasturale, e l'un con l'altro insieme
per viva forza mal convien che vada;
però che, giunti, l'un l'altro non teme:
se non mi credi, pon mente a la spiga,
ch'ogn' erba si conosce per lo seme.
14
Cfr. Muresu G. (a cura di), Dante politico, Individuo e istituzioni nell’autunno del medioevo, Paravia, Torino 1979, p 7; Piergiovanni,
E., La metamorfosi dell’etica medievale, Secoli XIII-XV, Patron, Bologna 1967, p. 21 segg.
13
Lo scontro senza esclusione di colpi per la plenitudo potestatis tra la Chiesa e l’Impero produce, come non ultima
conseguenza, anche una sorta di effetto dissacrante su entrambe le autorità, e sullo stesso concetto di potere.
Ciò è sicuramente tra gli elementi da non sottovalutare nell’analisi delle cause che portano, in questo torno d’anni, al sorgere
di nuove forme di potere autonomo, in competizione ai due antichi istituti universali (le monarchie nazionali, e le loro
chiese, ad esempio).
14
Pg XVI 107-114.
6
I.1. Il Papato ierocratico
[…] e voi rapaci
per oro e argento avolterate
15
La Chiesa istituzionalizzata e ierocratica del XIV secolo, in particolare, appare, agli occhi dell’Alighieri,
la maggior responsabile del disordine della societas della sua età:
16
in realtà, essa, come vedremo, non era il risultato recente dell’opera di Bonifacio VIII, il Papa di Dante,
ma si costituiva come frutto di un lungo processo storico, politico e culturale, cui avevano contribuito i
Pontificati di ben tre secoli.
17
I. I precursori di Bonifacio VIII
Già nel V secolo,
18
con papa Gelasio I,
19
se la Chiesa ancora è ben lontana dal rivendicare i suoi diritti
sulla dimensione temporale della societas cristiana, e se pure sostiene il principio secondo cui entrambe le
autorità di Papa e Imperatore debbano essere considerate distinte, e dipendenti nella propria sfera solo
da Dio, fonte diretta del loro potere,
20
già si afferma, nondimeno, che l’Imperatore è figlio della Chiesa e
15
If XIX 3-4.
16
L’atto di accusa di Dante nei confronti del Papato, infatti, seppur comprendente alcuni momenti della storia ecclesiastica
in generale, riguarda principalmente le cogenti vicende sue contemporanee, sentite dal poeta come l’apice della corruzione,
mai toccato, della Chiesa.
17
Quanto segue intende essere un tentativo di ricostruzione dei fatti e delle idee alla base della sua evoluzione.
18
Nel corso del IV secolo d. C. il cristianesimo divenne la religione ufficiale dell’Impero, e i rapporti tra Chiesa e Stato
passarono da una fase di scontro ad una di collaborazione.
Per la filosofia patristica, la Chiesa in origine non era costituita da un gruppo distinto di persone unite dall’accettazione
volontaria della dottrina cristiana: la Chiesa era universale come l’Impero, e come esso comprendeva tutti gli uomini.
L’umanità formava una società unica sotto un duplice governo, ciascuno con una propria giurisdizione.
Il problema dei rapporti tra queste due istituzioni, ritenute entrambe universali, dette luogo a soluzioni contrastanti: il
vescovo Eusebio di Cesarea (265-339 d. C.), autore di una Storia ecclesiastica, propose una soluzione conciliativa, in cui Stato e
Chiesa dovevano collaborare unitariamente alla realizzazione del piano provvidenziale di Dio; all’interno di questo piano
l’Imperatore cristiano era investito di una missione religiosa che lo collocava accanto ai vescovi, e con pari dignità.
Il potere politico finiva così per assorbire in sé quello religioso, costituendosi in teocrazia.
Il vescovo di Milano Ambrogio (340-397 d.C.) sostenne invece l’autonomia della Chiesa dallo Stato in materia spirituale e la
concezione del governo distinto dei due ordini, regio ed ecclesiastico.
19
492-496.
20
Secondo l’interpretazione di Gilson, il dualismo di Gelasio non è senza relazione con la dottrina dantesca esposta nella
Monarchia. (Cfr. Gilson E., La filosofia nel Medioevo, LaNuovaItalia, Firenze 1998, p.205). Tuttavia, è in realtà difficile cogliere
con precisione il senso della distinzione gelasiana sui due poteri.
“La posizione di Gelasio diede origine, infatti, nei secoli seguenti a due linee diverse sul problema: da un lato veniva
affermata la separatezza e la complementarietà dei due poteri, dall’altro, poiché l’ambito del potere politico era il mondo
terreno, inferiore per definizione a quello soprannaturale, veniva di conseguenza dichiarata la superiorità del potere
ecclesiastico su quello civile.”
7
non suo capo, e, almeno per quanto riguarda il campo della fede, il potere temporale è sottomesso allo
spirituale:
“Due sono infatti, o augusto Imperatore, i poteri da cui questo mondo è principalmente
retto: la sacra autorità dei pontefici e la potestà regale. Fra i quali il peso dei sacerdoti è […]
maggiore […]. Tu sai infatti, o clementissimo figlio, che, pur essendo alla testa del genere
umano per la tua dignità, tuttavia pieghi devotamente il capo dinanzi a coloro che sono
preposti alle cose divine, […], tu sai che ti devi subordinare all’ordine della religione,
piuttosto che presiederlo. Sai perciò che in queste cose devi dipendere dal giudizio degli
ecclesiastici, non pretendere di costringerli alla tua volontà.”
21
Nei secoli seguenti, accade che di volta in volta, questo o quel Papa rivendichi per sé la direzione anche
in temporalibus dell’intera Cristianità, in accordo con l’Imperatore
22
o con precedenza su di lui;
23
ma la
vera teorizzazione dell’idea di un’integrazione della dimensione temporale nelle competenze specifiche
e preminenti della Chiesa, in virtù del suo primato, dovrà attendere ancora a lungo:
24
un primo passo
sarà compiuto a partire dalla fine del XI sec.,
25
quando Papa e Imperatore daranno vita al conflitto
passato alla storia come la lotta per le investiture.
26
Cfr. Fumagalli Beonio Brocchieri Mt., Il pensiero politico medievale, Laterza, Roma-Bari 2000, p.11.
21
Passo tratto da Papa Gelasio, Epistola VIII, Ad Anastasium Imperatorem, dell’anno 494. (Testo in PL, vol.59 col.42).
22
Da segnalare in questo lungo intervallo di tempo è almeno senz’altro Papa Gregorio Magno (590-604), che, un secolo
dopo Gelasio, sottolinea la necessaria coordinazione di sfera temporale–politica e spirituale–religiosa, ribadendo la necessità
che i re in materia di fede si affidino alle cure degli ecclesiastici e, parallelamente, contengano il male e promuovano il bene
nel mondo, “rendendo più aperta la strada verso il cielo.”
23
Tra i vari esempi, la vicenda di papa Niccolò I (858-867), che cercò di affermare il primato della Chiesa, approfittando del
disordine provocato dalla crisi dell’Impero Carolingio.
24
Il XIII secolo, infatti, come si vedrà a seguire, sarà l’età in cui il Papato rivendicherà un’ampia responsabilità verso il
mondo.
25
Tra la metà dell’XI secolo e la fine del XIII, la figura istituzionale del Pontefice, rispetto al passato, subisce profonde
trasformazioni: il Papa inizia a rivendicare il ruolo di vertice dell’intera cristianità, non solo dal punto di vista ecclesiale, ma
anche politico, culturale e giurisdizionale.
La corte pontificia, da questo punto di vista, tende a costituirsi come il perno politico, intellettuale e artistico di tutto
l’Occidente.
Cfr. Paravicini Bagliani A., Il trono di Pietro, L’universalità del papato da Alessandro III a Bonifacio VIII, Carocci, Roma 1991.
26
La lotta per le investiture (vedi anche in nota 10) si sviluppa all’interno della struttura giuridica del feudalesimo.
Il feudo ecclesiastico godeva di una situazione privilegiata, in cui il potere spirituale e quello temporale erano esercitati da
una stessa persona.
Nel prendere possesso dell’incarico, il vescovo-signore feudale riceveva, infatti, una doppia investitura.
La prima era l’investitura spirituale che gli conferiva l’autorità episcopale, e che era data dal Papa mediante la consegna del
bastone pastorale e dell’anello episcopale.
Seguiva l’investitura temporale, che gli attribuiva il governo del feudo e che era data dal Re, con la consegna dello scettro,
simbolo del potere temporale.
Questa situazione fu tale che, soprattutto in Germania, gli Imperatori del Sacro Impero cominciarono a considerarsi in
diritto di conferire al vescovo-signore feudale entrambe le investiture, quella spirituale e quella temporale.
Ciò provocò lo scontro tra Papato e Impero, anche sulla spinta, non ultima, della crescente esigenza di rinnovamento, che
da più voci veniva invocata all’esterno ed all’interno della Chiesa stessa, e che la voleva riformata sulla base degli ideali
evangelici, purificata dalla corruzione della gerarchia ecclesiastica.
8
Per ciò che concerne quindi i principi della teocrazia pontificia, essi trovano una prima formulazione
nel Mille, due secoli prima dell’epoca di Dante e di Bonifacio VIII.
27
E’ Gregorio VII,
28
nel 1075, durante le fasi più accese del conflitto con Enrico IV,
29
il primo Papa
romano che, con il suo scritto, il Dictatus Papae, assume una posizione definibile come ‘ierocratica’.
Probabilmente questo Pontefice non ne aveva neppure esplicita intenzione:
30
L’accusa era rivolta in primis a Papa, vescovi e abati, che sostituivano preoccupazioni politiche ed economiche a quelle
spirituali.
Tale volontà riformatrice, definita per toni e obbiettivi, radicale, era abbracciata dal movimento popolare ‘patarino’, e si
scagliava contro la Chiesa mondana, feudalizzata e troppo ricca: era l’altra anima della riforma, e, certamente si pose come
elemento propulsivo anche all’interno della generale dialettica tra Papato e Impero, contribuendo a rafforzare la tendenza
antiimperiale, abbracciata dal fronte moderato della riforma, i cui sostenitori miravano a sottrarre la Chiesa alla tutela
imperiale.
Quando al soglio pontificio sale Gregorio VII, figura di spicco tra i capi ispiratori del partito riformista (vedi avanti), tuttavia,
solo quest’ultimo aspetto –meno radicale- della riforma prevalse.
Nel 1075 l’investitura laica dei vescovi fu difatti vietata.
27
Lo scontro tra i due massimi istituti della Cristianità si legherà allora allo sviluppo di teorie politiche, fondate su
presupposti filosofici, e compenetrate, parimenti, dal frutto di un rinnovato studio del diritto e della scienza giuridica.
Il legame tra lotta politica, concezione del potere e scienza giuridica (nelle sue due principali diramazioni di canonistico-
teologica e romano-secolare) sarà uno dei fondamentali aspetti del periodo di scontro tra Papa e Imperatore, che si apre,
appunto, con la lotta delle investiture (vedi sopra).
Ciò non sarebbe stato possibile senza il processo di studio, scrittura e sistemazione del diritto, dal quale i giuristi trassero la
necessaria fondazione teorica della politica, e le divergenti concezioni del potere a sostegno dei capi delle due sovranità.
E’ tuttavia da sottolineare che al momento del primo conflitto tra Papa e Imperatore, nell’ambito della lotta per le investiture
dell’undicesimo secolo, i concetti legali in uso, come precisa G.H.Sabine (Sabine G.H, Storia delle dottrine politiche, Etas, Milano
1953, cap. XII), non avevano “il significato così preciso che giunsero ad avere più tardi con lo sviluppo della legge romana e
cattolica.”: sarà il secolo successivo l’età matura per uno scontro dottrinale e politico fondato filosoficamente e
giuridicamente in modo compiuto. (vedi avanti).
28
Il fatto che il nome di Gregorio VII non ricorra mai nell’opera di Dante, sebbene questo Pontefice s’inserisca come
personaggio di primo piano nella storia della Chiesa, e nella sua politica nel temporale, oggetto questo della polemica
dantesca, ha suscitato in alcuni interpreti, come O. Capitani, (Capitani O, Monarchia, il pensiero politico di Dante, in “ Cultura e
Scuola”, 1965) la convinzione che Dante non abbia preoccupazioni storiche, ma puramente morali.
A parere di chi scrive, nel pensiero di Dante, storia, politica ed etica sono difficilmente distinguibili: probabilmente
bisognerebbe intendersi sul significato che per l’Alighieri assume il concetto di ‘storia’.
nella concezione dantesca, infatti, la storia è manifestazione della Provvidenza (If VII 73-83; Pd XI 28-30) che, per essere
compresa nel suo divenire, necessita di un criterio religioso-morale.
Le vicende umane, pur avendo in sé un imprescindibile valore e un’incancellabile dignità, secondo un Dante vicino, in ciò,
alla tradizione patristica-agostiniana, acquistano un senso compiuto proprio in virtù del fine trascendente. (Cfr. Cosmo U.,
Vita di Dante, Laterza, Roma-Bari 1930; Passerin d’Entreves A., Dante politico e altri saggi, Torino, Einaudi, Torino 1955).
Nella sua visione terrena della storia, Dante certamente non bada ad un racconto cronologico preciso e lineare, ma la sua
scelta è dettata dal criterio secondo cui, dalla storia stessa, debbano essere messi in luce gli avvenimenti che riescano ad
evidenziare l’insieme, l’universalità, che traspare da essa: gli avvenimenti di cronaca e di storia politica diventano quindi
anche fatti di metastoria e metapolitica, che trascendono la semplice storia e la semplice politica di quei tempi.
Questo principio con cui l’Alighieri tratta la materia storica è evidentemente ‘morale’, e, sotto molti aspetti, lontano dalla
metodologia storiografica moderna.
Tuttavia, è forse più fruttuoso penetrare la concezione dantesca, cercando di comprendere cosa Dante intenda per storia, non
cosa noi vorremmo che intendesse: se dunque, per l’Alighieri, avere preoccupazioni morali rientra come aspetto peculiare nel
trattare di storia, allora non si può certo affermare che nel suo pensiero non abbia preoccupazioni storiche, a meno che non
gli si voglia imporre rigidamente il nostro concetto scientifico di storia, e le nostre definizioni.
(Per un’analisi particolareggiata sulla concezione di Dante della storia, si veda il cap. V del presente lavoro).
29
Vedi nota 10.
30
Questa è l’interpretazione proposta da G.H.Sabine, op. cit., cap. XII, che si basa sull’analisi dei fatti e sulle dichiarazioni
pronunciate dallo stesso Gregorio VII a proposito delle sue intenzioni nell’ambito del conflitto con Enrico IV.
9
le pretese da lui avanzate nell’avere voce sugli interessi dell’Impero, ed in generale sulla dimensione
temporale, non sembrano essere frutto, infatti, di un programma politico congeniato e finalizzato ad
imporre il primato temporale della Chiesa, ed a nullificare programmaticamente l’Impero; esse,
viceversa, paiono più un esito per così dire ‘indiretto’ del processo di rinnovamento intrinseco alla
Chiesa occidentale del ventennio precedente.
31
In linea di principio, infatti, Gregorio VII si muove a partire da una prospettiva orientata a far prevalere
il punto di vista della riforma, di cui egli era stato uno degli animatori;
32
tuttavia, la teorizzazione del
Dictatus Papae aveva avuto, de facto, la conseguenza di costituirsi pure come l’incipit di un processo che, se
da un lato effettivamente aveva messo in crisi un’intera visione del mondo, risalente a Carlo Magno, e
basata sulla coesione (e confusione) di sacro e profano nella figura dell’Imperatore, dall’altro impegnava
ulteriormente la Chiesa nelle cose secolari e, soprattutto, gettava le basi dei presupposti fondanti la
ierocrazia papista medievale.
31
Il movimento riformatore aveva affermato la giurisdizione suprema della Chiesa in materia morale e spirituale, e sancito,
parimenti, in modo inequivocabile, la sua indipendenza dall’autorità temporale, figura considerata estranea alla gerarchia
ecclesiastica.
Dal punto di vista dei valori cristiani, queste posizioni non erano affatto paradossali, né, dopo tutto, radicalmente nuove; il
punto focale, e, per l’epoca, rivoluzionario, che aveva illuminato l’intera concezione della Chiesa gregoriana, era però un
altro principio, che, se logicamente, scaturiva dalle premesse ricordate, portava con sé, nondimeno, tutta una serie di
conseguenze implicite nuove, veri elementi di rottura con il passato: l’idea era fondamentalmente che nel Papa si riconosceva
una corte di coscienza inappellabile, con il pieno diritto non solo di scomunicare, ma anche di deporre un Imperatore,
essendo quest’ultimo un fedele tra i fedeli; sulla sua condotta, perciò, il Pontefice doveva esercitare un controllo, che, se pure
nasceva come vigilanza di natura ‘morale’, poteva avere poi effetti concreti sul piano politico-istituzionale.
Un sovrano temporale scomunicato, infatti, secondo questa (finora) inaudita concezione, risultava, in quanto proscritto dalla
corporazione cristiana, spogliato del diritto alla fedeltà, e ai servigi dei sudditi anche in temporalibus, secondo il principio,
“quod a fidelitate iniquorum subiectos potest absolvere”, che è contenuto nel Dictatus (vedi avanti nel testo).
L’idea forte che ne scaturiva era quella di un’autorità laica condizionata, non più assoluta.
Ciò, unito alla disposizione pontificia, che riguardava il divieto ai vescovi di ricevere l’investitura laica, e che costituiva in
termini di potere la fine di grandi vantaggi per l’autorità secolare, minacciava seriamente di compromettere la sovranità
dell’Imperatore, fino a quel momento ritenuta altrettanto sacra quanto quella del Papa.
Infine, ma non ultimo elemento, per la prima volta il Pontefice contesterà all’Impero, come vedremo, l’attributo di potenza
universale.
32
L’azione di Gregorio può considerarsi, infatti, almeno nei propositi dichiarati, come risposta sensata a questioni, che, non
affrontate, potevano minare le basi della Chiesa stessa, sviata dai suoi compiti spirituali a causa delle ingerenze da parte
dell’autorità laica in ambito religioso (è necessario ribadire che questo Papa mira, con la sua posizione, innanzi tutto ad
affermare l’assoluta autonomia della Chiesa nell’ambito del duplice sistema contemplato dalla teoria gelasiana e dal principio
della superiorità del potere spirituale-ecclesiastico su quello temporale-laico, più che a sfidare la funzione del potere secolare
in quanto tale).
10
La Chiesa ierocratica, infatti, si allontanerà dall’ideale di pura Ecclesia evangelica e spirituale,
33
e si
avvicinerà, viceversa, in modo drastico, agli interessi mondani, e alla gestione – commistione – del e
con il potere temporale.
34
33
Ideale, questo, sostenuto dall’ala radicale della riforma e, in seguito, fatta propria anche da Dante.
Vedi cap. IV del presente lavoro.
34
La dottrina gregoriana, infatti, paradossalmente, nel corso del secolo successivo questa sua prima formulazione teorica,
rovescerà in buona parte i valori prospettati dalle forze riformiste di cui lo stesso Gregorio VII era stato emblema.
11
II. Gregorio VII: il Dictatus Papae (1075)
35
Il Dictatus consta di ventisette brevi proposizioni, a carattere dogmatico, che espongono la teoria cui il
Papa faceva riferimento, e che legittimava la sua azione politica.
36
Esso, come anticipato, è un documento - memorandum
37
fondamentale per comprendere
le basi del “programma ierocratico”,
38
che sarà perseguito e sviluppato dalla Chiesa romana fino
all’età di Dante.
39
Gregorio VII, precursore,
in questo senso, dei Pontefici ierocratici tout court del XIII-XIV sec., intende
la Chiesa ancora tradizionalmente come unità dei fedeli nel corpo mistico di Cristo, ma ora anche quale
istituzione gerarchicamente costituita,
40
una monarchia sulla linea della tradizione imperiale romana: al
suo vertice, il Pontefice, “vicario di Cristo”, che riceve il potere da Dio direttamente.
41
35
Per il testo desunto dal Dictatus: Biblioteca Rerum Germanicarum, ed. P.Jaffè, vol. II, Mon.Gregoriana.
36
Sul peso che la teoria ebbe nell’azione ‘pratica’ di governo di Gregorio, tuttavia, è bene dare una valutazione equilibrata,
senza cadere nell’illusione che questo Pontefice già avesse compiutamente fatto compenetrare la teoria ierocratica al suo
agire politico nei modi che, invece, solo Innocenzo III, più di un secolo dopo, sarà in grado di attuare. Cfr. Carlyle A.J. –
Carlyle R.W., Il pensiero politico medievale, Laterza, Roma-Bari 1968, vol. IV.
37
La definizione è di LeGoff, (Le Goff J., op. cit., p. 95).
Il Dictatus, infatti, era probabilmente ad uso personale del Pontefice, e non rappresentava compiutamente un manifesto in sé
articolato in forma di trattato o sviluppato in argomentazione.
38
Cfr. Berbero A. - Frugoni C., Medioevo, Laterza, Roma-Bari 1999, cap.IX.
39
Secondo Morghen, il Dictatus è senza dubbio la Magna Charta del Cattolicesimo romano e, nel contempo, del Papato
politico e della concezione teocratica.
Il Pontefice propugna l’ideale del dominio del mondo, mentre “l’impalpabile realtà spirituale della Chiesa, che tutto il
Medioevo aveva identificata con l’agostiniana Città di Dio, doveva tramutarsi nella coscienza della nuova potenza conseguita
dalla Chiesa stessa, con le sue collezioni canoniche ed i suoi tribunali supremi, con l’esclusività del suo magistero e con il
temporalismo ed i suoi prevalenti interessi politici.”
Cfr. Morghen R., Medioevo cristiano, Laterza, Roma-Bari 1960.
K.A.Fink, accosta al Dictatus Papae, il cosiddetto Dictatus di Avranches, un testo che secondo H. Mordek (Mordek H., Proprie
auctoritates apostolice sedis, in “DA”, 28 (1972)), risale agli ultimi anni del Pontificato di Gregorio, ed è composto da 37
proposizioni.
Esse completano, estremizzandoli, i principi teocratici del Dictatus Papae, e, in particolare, esplicitano il primato liturgico del
Papa, e i privilegi della sede apostolica.
Solo il Papa, si legge nel documento, può essere consacrato all’altare di S.Pietro (prop. XXX); solo a lui è permesso imporre
il regnum e le prerogative imperiali (prop. XXXII); solo al Pontefice spetta la potestà legislativa assoluta (prop. XIV).
Cfr. Fink K.A., Chiesa e Papato nel Medioevo, il Mulino, Bologna 1987, cap.I.
40
Solo un secolo prima, la Chiesa appariva una frammentata e spesso confusa realtà di centri vescovili ed arcivescovili, che
riconoscevano sì in Roma la rappresentante dell’unità cristiana, ma la vedevano sovente solo come lontano simbolo di tale
unità.
41
Il Papa nel Dictatus è indicato, appunto in quanto vicario di Cristo, come l’unica figura che, in qualche modo, possa
sottrarsi al ruolo di suddito, ruolo che invece era rivestito da tutti i componenti della societas hominum entro il “processo di
potere che avendo inizio nell’unico punto incondizionato, Dio, discendeva su un corpo di soggetti collocati in situazioni o
cariche tendenti all’immutabilità, passivi e funzionali rispetto all’organizzazione d’insieme.”
Cfr. Fumagalli Beonio Brocchieri Mt., op.cit., p. 25.
12
Egli è il vero erede dell’Impero di Roma, con la facoltà legittima di esercitare la sovranità universale;
come tale: “solo lui può servirsi delle insegne imperiali.”
42
Questo appare un punto capitale nel Dictatus, in quanto, unitamente all’affermazione dell’universalità del
Papato, se ne dichiara, congiuntamente, anche l’esclusività: “Solo il Romano Pontefice è chiamato, di
diritto, universale.”
43
Vero è certamente che, nella prospettiva gregoriana, il Papa, capo della Chiesa, è inteso come sovrano
assoluto in spiritualibus, ma tale dimensione, dal punto di vista di Gregorio, deve subordinare anche la
vita mondana, che è essenzialmente inferiore:
44
il Pontefice, quindi, è anche l’unico Imperatore.
45
I reggenti temporali, infatti, seppur debbano stare al vertice del mondo laico per difendere la
Chiesa,
46
sono soggetti alla gerarchia dei chierici che fa capo al Papa: gli ecclesiastici sono loro superiori
in quanto investiti di compiti spirituali - primo tra tutti, l’ufficio di comunicare la grazia divina
47
- e del
dovere di controllo morale.
Infine, è proclamata l’ingiudicabilità, l’infallibilità, e la facoltà di sciogliere i vincoli di fedeltà: “Egli non
deve essere giudicato da nessuno”; “ La Chiesa romana non ha mai sbagliato e, come attesta la Scrittura,
non sbaglierà mai”; “Il Papa può sciogliere i sudditi dalla fedeltà verso i malvagi”
48
.
La figura del Pontefice, in questo quadro, si poneva al di sotto soltanto di Dio e della sua legge, assumendo i connotati,
rispetto alla unità dei fedeli, di sovrano con potere assoluto.
42
Prop. VIII: “Quod solus possit uti imperialibus insigniis.”
43
Prop. II: “ Quod solus Romanus pontifex iure dicatur universalis.”
44
Sul giudizio del Pontefice nei riguardi della dimensione temporale, e della sua inferiorità, in particolar modo sulla sua
concezione dell’autorità laica e del potere politico, è importante tenere presente anche un altro testo gregoriano, l’epistola
pontificia ad Ermanno di Metz, del 1081, dove, in un eccesso di risentimento, si paragona il capo secolare ai più infami
elementi della società, e si indica nel diavolo il principe del mondo temporale.
45
Il primato del Pontefice, secondo il Dictatus, implica, infatti, la sottomissione a lui – e a nessun altro - di tutti i principi
secolari (perché il potere politico, come già ricordato, è subordinato a quello spirituale): “ Solo al Papa tutti i principi devono
baciare i piedi” (Prop. IX: “Quod solus pape pedes omnes principes deosculentur’’) e, parimenti, come già anticipato, il diritto
pontificio di deporre gli stessi Imperatori: “A lui è lecito deporre gli imperatori”(Prop. XII: “Quod illi liceat Imperatores
deponere.”).
46
Nella protezione della Chiesa consisteva il ministerium regis riconosciuto come uno tra i più antichi e peculiari del medioevo
latino, risalente a Carlo Magno. Vedi nota 10.
47
I sovrani temporali erano stati considerati sino a quel momento, anche secondo la concezione ecclesiastica, aventi
funzioni che esorbitavano dalla sfera mondana, in quanto consacrati in modo sacramentale dall’unzione.
La concezione secondo cui i sovrani secolari dovevano essere subordinati al controllo ecclesiastico, che poteva, nella
persona del Papa, arbitrare anche i loro destini istituzionali, sostenendoli o abolendoli secondo i loro meriti, è fatta propria
da Gregorio anche nel testo del suo discorso in un concilio romano del 1081 (testo contenuto nella Biliotheca Rerum
Germanicarum, cit., vol. II).
48
Come già notato, (vedi sopra), quest’ultima proposizione gioca un ruolo importante, per le sue concrete conseguenze
pratiche, nei rapporti tra reggente e sudditi, che principalmente si basavano, infatti, su legami di fedeltà propri della
concezione medievale feudale-vassallatica.