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David Lynch Sound Designer

David Lynch rappresenta un regista fondamentale della cinematografia mondiale. Non solo perché ha saputo concretizzare la forma visiva circon-dandola da un universo sonoro autonomo, ma anche perché ha saputo rielaborare e reinventare tecniche compositive care ad altri, come ad e-sempio al regista e tecnico del suono John Carpenter. E se quest’ultimo, con l’ausilio di poche note, ha forgiato un’atmosfera funerea e ossessiva in Halloween: La notte delle streghe (Halloween, 1978), Lynch ha dato vita a molteplici significanti sonori, che di volta in volta sono venuti fuori in altrettanti modi differenti. Così la crescita dell’individuo e delle sue capa-cità d’adattamento o di manipolazione sociale hanno trovato piena consi-stenza nel suono strisciante dello spray o nel fischio malinconico della nonna, che diventa portavoce di uno stato emotivo partecipe delle tante angosciose giornate di Mark. Non è mancata l’infantile voglia d’inglobare certi ricordi traumatici, di chi ha dovuto lasciare il verde della campagna per l’asfalto cittadino. Per rievocare tali cambiamenti ambientali, la tecni-ca sonora ha subito uno stravolgimento pari alla crudeltà che il giovane Lynch ha dovuto scoprire lontano dalle verdi distese e dall’azzurro cielo del Montana. John Merrick è stato tenuto lontano dalla perdita di ogni di-gnità umana, facendogli conoscere l’opera teatrale, che a sua volta è di-ventata l’opera dello stesso Uomo Elefante, l’opera delle maschere e della magnifica capacità d’apprendere i propri limiti e le proprie problematicità. Lo scorrere dei pensieri e dell’emozioni è stato accompagnato da una co-lonna sonora intima, mielosa o animalesca, in grado di cambiare ritmo a ogni punto cardine della vicenda.

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1 INCIPIT L’orecchio tagliato e riattaccato Io non ho nessuna religione, non sono un fanatico, ma la mia religione per quanto riguarda il mio mestiere è que- sta: quello che si vede e che si sente so- no inseparabili. Jean Renoir PerchØ partire da una frase di Jean Renoir in una tesi con argomento il sonoro nei film di David Lynch? Semplicemente perchØ questa sintetizza l’altro lato della tecnica costruttiva cinematografica, propria di molti regi- sti moderni. Ovvero, una perfetta sincronizzazione audiovisiva, che abbina l’immagine ad un determinato suono reale o comunque realistico. Se un aereo plana vicinissimo sopra la testa di un personaggio il rumore sarà as- sordante e, in molti prodotti mainstream, sarà assolutamente paragonabile al suo reale nella vita quotidiana. La concezione del suono in Lynch si congiunge a quella linea di pensiero che vuole il sonoro come pilastro por- tante l’intera struttura filmica. Emerge un secondo manifesto quasi ejzen- stejniano, dove l’asincronismo viene sostituito dall’uso liberamente arbi- trario di una massa sonora, in grado di camuffarsi sotto le mentite spoglie di uno squillo di telefono, troppo acuto per essere veritiero, o persino di essere annullato totalmente dentro uno scenario notturno, che dovrebbe es- sere giustamente pieno di richiami ambientali, siano essi cittadini o natura- li. Dunque la frase di Jean Renoir cede sotto i colpi imperterriti del fare ar- te non conforme, sollecitando un’altra visione delle cose: dove quello che si vede e che si sente sono separabili e vivono di vita propria. Dopo questa breve premessa non sarà difficile capire il perchØ di un orecchio tagliato in Velluto blu (Blue Velvet, 1986), o del sordo Gordon Cole ne I segreti di Twin Peaks (Twin Peaks, 1990-1991) o in Fuoco cammina con me (Twin Peaks: Fire Walk with Me, 1992), o il finto tonto in Inland Empire: L’impero della mente (Inland Empire, 2006). Ancora piø facile se pensiamo che il sordo o il tonto vengono impersonati dallo stesso regista. La chiave di lettura è da cercare nell’abolizione di un ap-

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