I contratti di convivenza
Negli ultimi decenni la società in cui viviamo si è trasformata a tal punto da vedere addirittura cambiare una delle sue stesse colonne portanti: la famiglia. Si è gradualmente affermato, infatti, un modello familiare caratterizzato dall’unione stabile di due soggetti in assenza del vincolo matrimoniale, comunemente denominato “famiglia di fatto”, in alternativa alla classica tipologia familiare della “famiglia legittima”, fondata sul matrimonio e da esso ufficializzata. Nel nostro ordinamento, dottrina e giurisprudenza sono orientate prevalentemente a voler tenere ben distinte queste due tipologie, ritenendo di non poter applicare alla convivenza le norme che regolano la famiglia legittima, per non sconvolgere l’intero sistema legislativo che regola i vincoli “codificati” dalla legge, sostenendo la prevalenza di quest’ultima ai sensi dell’articolo 29 della Costituzione. Non è esclusa, però, la possibilità di trovare fondamento dell'istituto in oggetto all’interno della Costituzione stessa, e questo nell'ambito non già della tutela della famiglia, bensì della persona che vive il rapporto familiare. La famiglia di fatto in questo senso si mostra come una delle formazioni sociali in cui, ai sensi dell'art. 2 Cost., si sviluppa la personalità dell'individuo, ponendo l’attenzione, così, sul concetto di solidarietà e rivalutando l’elemento affettivo rispetto al vincolo formale del coniugio. L’art. 2, quindi, pone le basi per giungere al doveroso riconoscimento giuridico dell’istituto in esame, affinchè esso possa essere finalmente disciplinato dal nostro sistema legislativo in maniera omogenea. Dato l’assetto dell’attuale sistema normativo vigente, infatti, non rinveniamo in capo ai conviventi i fondamentali diritti e doveri reciproci che scaturiscono dal matrimonio. In assenza, quindi, di un corpus normativo organico finalizzato a disciplinare i rapporti tra i conviventi nella famiglia di fatto, gli strumenti giuridici atti ad assicurare un’adeguata regolamentazione dei suddetti rapporti non potranno che essere di carattere pattizio, ed assumere, in alcuni casi, i connotati di veri e propri contratti di convivenza. Attraverso questi ultimi, infatti, è possibile regolare le modalità di esercizio dei diritti e di gestione sui beni acquistati in comune nonché sulla sorte di essi alla cessazione della convivenza; la misura e le modalità di partecipazione di ciascun convivente alla gestione della famiglia di fatto; le modalità e l’indirizzo educativo dei figli, ed ogni altro settore relativo alla vita familiare, nel rispetto delle norme di legge inderogabili e dell’interesse superiore dei figli. Tali pattuizioni realizzano dunque, in via negoziale, la preventiva soluzione di eventuali problemi patrimoniali della famiglia non fondata sul matrimonio, consentendo di evitare liti future e di fornire un minimo di sicurezza al convivente meno abbiente; in altre parole esse presuppongono l'impegno, pur non formale né coercibile, a proiettare nel futuro la vita in comune. In questa direzione perciò si inquadrano i contratti di convivenza, intendendo in questo senso riferirsi ai contratti che hanno per oggetto la regolamentazione del ménage tra i conviventi, "da intendersi come la distribuzione del costo della convivenza tra le parti, il regime degli acquisti durante la convivenza o compiuti in precedenza, ed, entro certi limiti, la disciplina della rottura di quella convivenza eventualmente dovuta alla morte di uno dei coniugi".
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Informazioni tesi
Autore: | Lorenza Parlante |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2010-11 |
Università: | Università degli Studi di Bologna |
Facoltà: | Giurisprudenza |
Corso: | Giurisprudenza |
Relatore: | Michele Sesta |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 242 |
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