1
INTRODUZIONE
Nell‟ambito della tradizione socio-culturale in cui si innesta il
vigente sistema normativo, il matrimonio costituisce l‟emblema di ogni
relazione familiare. Si può infatti chiaramente individuare nell‟art. 29 della
Costituzione un ben preciso privilegio riconosciuto alla famiglia legittima
nei confronti di quella naturale
1
.
Tuttavia la famiglia fondata sul matrimonio è ben lontana
dall‟esaurire la molteplicità delle relazioni di questo tipo
2
, ed il progressivo
mutamento del tessuto sociale ha fatto sì che lo stretto legame tra famiglia e
matrimonio sia andato via via allentandosi, dando luogo a comunità
familiari sempre più distanti dal modello originario
3
.
1
In proposito, SCALISI, La “famiglia” e le “famiglie”, in La riforma del diritto di
famiglia dieci anni dopo. Bilanci e prospettive. Atti del Convegno di Verona 14-15
giugno 1985 dedicato alla memoria del Prof. Luigi Carraro, Padova, 1986, osserva che,
se l‟attuale realtà vede la famiglia articolarsi in una variegata tipologia, “la legge di
riforma ha evitato di misurarsi adeguatamente con essa”. Infatti “la famiglia regolata è
rimasta essenzialmente quella legittima (…)”, mentre anche “là dove sembra emergere a
livello normativo la realtà di modelli familiari alternativi, il trattamento giuridico viene
definito per assimilazione a quello della famiglia legittima”.
2
Così FERRANDO, Il matrimonio, Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da
Cicu e Messineo, e continuato da Mengoni, Milano, 2002, vol V, Tomo 1, 185.
3
Così MICHEL, Sociologia della famiglia, Bologna, 1973, 13., il quale sostiene che
questo fenomeno è talmente diffuso nella letteratura sociologica che “non si può
teoricamente parlare della famiglia in generale, ma soltanto di tipi di famiglia, tipi tanto
2
E‟ infatti ormai nel comune sentire la percezione che attorno alla
famiglia si siano compiute negli anni trasformazioni sociali e culturali di
notevole entità: la famiglia italiana sta cambiando, e continuerà a
modificarsi tanto da potersi prospettare la tendenza ad un sempre maggior
allontanamento dalla tradizione ed un progressivo avvicinarsi alle nuove
soluzioni già da tempo adottate in altri paesi
4
.
Detto altrimenti si sta attuando un processo di differenziazione che
partendo da un unico modello di famiglia, porta all‟emergere di molteplici
“tipi di famiglia”.
In quest‟ottica la realtà sociale e politica che si delinea è
essenzialmente pluralistica e relativistica, e pare aprire le porte ad un
fenomeno che seppur tutt‟oggi privo di una vera e propria disciplina
organica, non può più essere ignorato: la famiglia di fatto
5
.
numerosi quanto sono le regioni, le classi sociali, i sottogruppi all‟interno della società
globale”.
4
Per quel che riguarda l‟esperienza spagnola si veda FOSAR BENLLOCH, Las uniones
libres, in Estudios de derecho de familia, III, Barcelona, 1985, 37 ss.; per la situazione in
Germania cfr. STRATZ, Rechtsfragen des Konkubinats im Uberblick, in FamRz, 1980,
302; si veda inoltre la soluzione adottata in Francia in RUBELLIN-DEVICHI, La
condition juridique de la famille de fait en France, in La Semaine Juridique, 1986, note 4
e 8.
5
Così AULETTA, Il diritto di famiglia, Torino, 1998, 15 ss.; TRABUCCHI, Morte della
famiglia o famiglie senza famiglia?, in AA. VV., Una legislazione per la famiglia di
fatto?, Atti del convegno di Roma, Napoli, 1988, 20 ss.
3
Il dibattito sulla famiglia di fatto non è assolutamente nuovo per la
letteratura giuridica
6
, che ormai da molti anni si occupa dell‟esame tanto
degli aspetti negoziali e contrattuali della convivenza
7
, quanto della
rilevanza costituzionale della stessa famiglia di fatto intesa come
formazione sociale
8
.
Da un punto di vista sociologico, si parla di famiglia in presenza di
una stabile relazione di coppia tra persone aventi un rapporto di reciprocità
caratterizzato da diritti e doveri; di questo rapporto la convivenza
costituisce elemento fondamentale, consistendo nella condivisione di
un‟abitazione comune e di tutti gli aspetti materiali e spirituali della vita
quotidiana.
Ma sebbene questa stabile relazione può essere definita
sociologicamente “famiglia”, giuridicamente il nostro ordinamento non
riconosce la famiglia al di fuori del matrimonio, in quanto ai sensi del già
citato art. 29 della Costituzione “la Repubblica riconosce i diritti della
famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”.
Al contempo, però, un‟analisi più approfondita del testo
costituzionale porta a considerarlo non tanto una norma che sancisce il
6
UNGARI, Storia del diritto di famiglia in Italia, Bologna, 1974, 223 ss.; in cui si legge
che il tema delle unioni non coniugali è stato trattato sin dagli albori del diritto romano.
7
GAZZONI, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, 1984, 169.
8
PERLINGIERI-D‟ANGELI, La famiglia di fatto, Milano, 1989, 298, 352.
4
principio di esclusività della famiglia legittima, ma piuttosto un mero indice
del favor matrimonii del Costituente
9
, il che legittima un riconoscimento
dell‟istituto quale entità sociale ancor prima che giuridica.
La lettura dell‟art. 29, infatti, deve essere integrata con l‟analisi
dell‟art. 2 della stessa Costituzione, che si caratterizza per la sua
formulazione normativa aperta diretta a tutelare non solo le formazioni
sociali tipiche previste e disciplinate dalla Corte costituzionale, ma anche
quelle atipiche che via via affiorano dal substrato sociale
10
.
Ed è proprio partendo da questa impostazione che si sviluppa l‟idea
della famiglia come “formazione sociale” in cui si esprimono valori di
libertà e di solidarietà che meritano tutela nella prospettiva indicata dallo
stesso art. 2 della Costituzione.
Tutte queste considerazioni portano a concludere che nel dato
costituzionale sia da ravvisarsi oltre al già citato favor matrimonii un più
generale favor per la famiglia, intendendo perciò che la tutela dei valori dei
9
BESSONE, Favor matrimonii e regime del convivere in assenza di matrimonio, in Dir.
fam., 1979, 1192.
10
Cfr. Corte cost. 26 maggio 1989, n. 310, in Foro it., 1991, I, 1 ss. Si veda inoltre
JEMOLO, La c.d. famiglia di fatto, in Diritto di famiglia. Raccolta di scritti di colleghi
della Facoltà giuridica di Roma e di allievi in onore di Rosario Nicolò, Milano, 1982, 56;
secondo cui la famiglia come società naturale ex art. 29 della Costituzione, si delinea nel
collegamento sistematico con l‟art. 2 in un rapporto di species a genus, posto che
quest‟ultima norma, conformemente alla sua collocazione nell‟ambito dei principi
generali della Carta, esprime, riferendosi in termini generali alle formazioni sociali, il
concetto di categoria cioè il genus rispetto a cui la famiglia rappresenta, appunto, la
species.
5
diritti dell‟individuo all‟interno della famiglia non può essere trascurata o
addirittura ignorata, anche quando si realizza in ambiti non corrispondenti
all‟area di riconoscimento fornito dall‟art. 29 Cost.
Ciò detto si può facilmente comprendere come, malgrado dottrina e
giurisprudenza si siano interessate al fenomeno solo di recente, l‟unione
sentimentale di fatto si sia evoluta parallelamente all‟istituto della famiglia
legittima fin dalle origini.
Lo dimostra il fatto che la stessa terminologia utilizzata per indicare
questa realtà, si è modificata ed evoluta nel corso del tempo, passando
attraverso i termini di “concubinato”, “convivenza more uxorio” e
“famiglia di fatto”
11
(quest‟ultima, certamente, è oggi l‟espressione più
ricorrente).
Ferma restando la sostanziale fungibilità delle formule appena citate
nell‟indicare il fenomeno, si può riscontrare che all‟evoluzione semantica si
è accompagnata un‟evoluzione del costume sociale e, se vogliamo, anche
un‟evoluzione normativa.
11
Sull‟utilizzo di questi termini vedi FRANCESCHELLI, Il matrimonio di fatto: nozione,
effetti e problemi nel diritto italiano e straniero, in La famiglia di fatto, Atti del convegno
di Pontremoli, 27-30 maggio 1976, Montereggio, 1977, 347.
6
Il termine “concubinato”, utilizzato fino agli anni Sessanta, aveva un
significato negativo e di disfavore
12
, e trovava un pari riscontro
nell‟ordinamento essendo sanzione reato nonché come causa di separazione
per colpa.
Tutto questo perché si stava attraversando un periodo in cui l‟unico
modello familiare degno di tutela pareva essere quello legittimato dal
matrimonio, inteso come vincolo formale e coercitivo di una comunità
chiusa ed efficacemente protetta da possibili e temuti attacchi esterni.
Ma il cambiamento era già nell‟aria.
Agli inizi degli anni Settanta la Corte costituzionale
13
cancella
l‟ipotesi di reato di concubinato e questo, unitamente alla parificazione
della condizione di figli naturali a quella di figli legittimi operata dalla tanto
auspicata riforma del diritto di famiglia, concorre a far cadere in disuso
questo appellativo.
Da qui la propensione dei civilisti a ricorrere ad altre formule, prima
fra tutte quella di “convivenza” (già richiamata dal legislatore nell‟abrogato
12
BESSONE, ROPPO, Il diritto di famiglia. Evoluzione storica. Principi costituzionali.
Lineamenti della riforma., Torino, 1977, 68 ss.
13
Corte cost., 3 dicembre 1969, n. 147, in Foro it., 1970, I, c. 17.
7
art. 269
14
c.c.), o meglio di “convivenza more uxorio” (dal latino “mos”,
che significa “usanza”, “costume”, e “uxor”, letteralmente “moglie”).
Con questa espressione, essenzialmente asettica e neutra rispetto alla
precedente, si vuole far riferimento alla consuetudine di vita in comune
secondo modalità e comportamenti assimilabili a quelli dei coniugi.
Si indica perciò un fenomeno improntato a criteri di libertà e di
volontà dei suoi componenti che si esaurisce nell‟ambito dell‟autonomia
privata, ma benché alcune pronunce giurisprudenziali iniziano a
riconoscerla in speciali settori ed a scopi limitati, alla convivenza non viene
ancora concesso alcun valore giuridico.
Nel corso degli anni Settanta si assiste però ad una rapida evoluzione
della realtà sociale, che fa sì che il modello familiare fino ad allora
appoggiato ceda di fronte al principio dell‟uguaglianza dei coniugi ed al
delinearsi di un nuovo nucleo familiare fondato sulla solidarietà e sulla
parità dei suoi componenti, i cui legami trascendono da vincoli civilistici e
determinano invece una comunità di affetti
15
.
14
L‟art. 269 prendeva in esame la convivenza more uxorio e consentiva, seppure in
termini di eccezione, la dichiarazione giudiziale di paternità quando risultava da sentenza
civile o penale, o quando i genitori avevano convissuto come coniugi al tempo del
concepimento. Tale articolo è poi stato modificato dalla legge 19 maggio 1975 n. 151
sulla riforma del diritto di famiglia.
15
Non è un caso che la Suprema Corte, con la sentenza n. 181 del 22 luglio 1976,
dichiara che la famiglia legittima, quale società naturale fondata sul matrimonio, è “una
8
L‟uguaglianza dei coniugi e la possibilità di scioglimento del vincolo
matrimoniale (in seguito all‟approvazione nel 1970 della legge sul
divorzio), contribuiscono alla nascita di una nuova realtà familiare, ed al
contempo determinano una sorta di equiparazione della convivenza fuori
dal matrimonio alla famiglia legittima: ed è in questo clima che si
abbandona l‟espressione “convivenza more uxorio” e la si sostituisce con
quella tuttora utilizzata di “famiglia di fatto”.
Appare subito chiara la portata di questa scelta, nonché la sua
valenza sociale e politica: al termine di un lungo iter evolutivo, si assiste
alla presa di coscienza del legislatore di una fenomenologia assai rilevante e
degna di tutela.
Non più una semplice “convivenza” tra individui, ma una vera e
propria “famiglia” portatrice di quegli stessi valori di comunione e
solidarietà considerati in precedenza monopolio della famiglia legittima
16
.
realtà sociale e giuridica che presuppone, richiede e comporta che tra i soggetti che ne
costituiscono il nucleo essenziale, cioè i coniugi, esista e permanga la comunione
spirituale e materiale”. Cfr. Corte cost. cit., in Foro it., 1976, I, 2336.
16
Secondo la definizione che utilizza l‟ISTAT, la famiglia è un “insieme di persone
legate da vincoli di parentela, di affinità, di matrimonio, di tutela, o da vincoli affettivi
che dimorano abitualmente nella stessa casa. Da un‟indagine svolta dallo stesso ISTAT
nel biennio 2002-2003, era emerso come le unioni libere ammontavano a circa 564.000, il
3,9% del totale delle coppie; in forte aumento rispetto ai risultati ottenuti nella medesima
indagine effettuata nel 1996, quando le coppie che convivevano in assenza di matrimonio
erano 227.000, ovvero l‟1,6% del totale.
9
Riconoscere alla famiglia di fatto una funzione “familiare” significa
anche richiedere precisi connotati e requisiti che contraddistinguono questo
“modus vivendi”, e quindi restringere necessariamente la tematica
ascrivibile “stricto sensu” all‟istituto
17
.
Occorre preliminarmente osservare che l‟espressione “famiglia di
fatto” appare adeguata a definire la struttura parafamiliare in esame anche
sotto il profilo della sua qualificazione giuridica, perché sottolinea la sua
appartenenza alla categoria dei rapporti di fatto
18
, i quali traggono origine
da un comportamento posto in essere ad imitazione del corrispondente
comportamento di diritto, dal quale si differenziano per il momento
genetico (nella famiglia di fatto manca l‟atto giuridico che da vita al
rapporto) ed in parte per quello funzionale (il rapporto rimane in vita fino a
quando le parti pongono in essere un dato comportamento, viene meno
quando le stesse lo interrompono).
17
ALAGNA, La famiglia di fatto al bivio: rilevanza di singole fattispecie o
riconoscimento generalizzato del fenomeno?, in Giust. civ., 1982, 27 e 35.
18
Cfr. FRANCESCHELLI, I rapporti di fatto. Ricostruzione della fattispecie e teoria
generale, Milano, 1984, 65, che afferma che “i rapporti di fatto sono caratterizzati dal
mancato adempimento delle formalità, sostanziali o di controllo, previste per l‟istituto
tipico, e mancano di un momento genetico giuridicamente determinante. E‟ il tempo che
dà rilevanza al rapporto di fatto, la sua nascita in un dato momento è un presupposto
necessario ma non sufficiente per l‟esistenza del rapporto di fatto”.
10
E‟ proprio questa mancata formalità che ha indotto molti studiosi del
diritto ad enucleare gli indici empirici che la convivenza deve avere per
assumere rilevanza giuridica.
Il primo di questi requisiti ha un carattere negativo consistendo
nell‟assenza di una formalizzazione giuridica dell‟unione, ovvero più
precisamente nel mancato prodursi degli effetti civili in seguito alla
mancata celebrazione del rito civile o della trascrizione del matrimonio
canonico.
In altre parole la famiglia di fatto presuppone necessariamente
l‟inesistenza della volontà dei conviventi di giuridicizzare la loro unione,
che si risolve quindi nella volontà di sottrarsi alla disciplina matrimoniale e
di non assumere lo status di coniugi.
All‟assenza di matrimonio è naturalmente equiparata la mancanza
della trascrizione del matrimonio canonico nei registri di stato civile; il
difetto di tale formalità, infatti, priva il suddetto matrimonio di ogni rilievo
giuridico per il nostro ordinamento.
Un secondo elemento rilevante sul piano oggettivo è costituito dalla
coabitazione, intesa ovviamente come unicità di tetto: tale rilievo serve ad
escludere forme di convivenza come l‟anglosassone relationship outside
11
marriage, ed allo stesso tempo consente di fornire un minimo di pubblicità
nei confronti di terzi
19
.
Da ciò si deduce che la convivenza non deve essere occasionale, ma
al fine di distinguersi da relazioni passeggere o saltuarie deve essere
contraddistinta da serietà d‟intenti e da stabilità, anche se in questo modo
può diventare arduo ai fini giuridici individuare un tempo minimo in cui
questa stabilità debba palesarsi senza interruzioni e discontinuità
20
.
Appare ovvio però che affinché si possa parlare di famiglia di fatto
non sia sufficiente la semplice coabitazione, ma si debba invece rinvenire
all‟interno della relazione interpersonale una sorta di affectio, che si esplica
nella comunione di vita materiale, spirituale, affettiva ed economica.
In questo senso si parla di obbligazione naturale tra conviventi more
uxorio, intendendo con tale termine il dovere di solidarietà mediante il
quale entrambi i conviventi si impegnano ad una reciproca assistenza
morale e materiale, nonché a contribuire alla loro unione ora in denaro, ora
in natura, proporzionalmente alle proprie capacità di lavoro sia
professionale che casalingo.
19
Deve trattarsi quindi di una coabitazione pubblica e notoria; in caso diverso
ricorrerebbero gli estremi di una semplice relazione adulterina che non necessariamente
dovrebbe integrare un comportamento ingiurioso nei confronti del coniuge.
20
Cfr. Trib. Brescia 10.4.2003, in Fam. dir., 2003, 476, ove si legge: “la convivenza
more uxorio può definirsi stabile quando, secondo i casi, perduri da almeno un biennio”.
12
In quest‟ottica l‟obbligazione naturale tra conviventi diventa in tutto
e per tutto identica, quanto al contenuto, agli obblighi civili imposti ai
coniugi dall‟art. 143 c.c.
Un ulteriore requisito rilevante ai fini dell‟identificazione della
fattispecie è costituito dalla necessità che la convivenza sia formata da
persone di sesso diverso: è logico infatti che se il modello è dato dalla
famiglia legittima, “l‟ineccepibile corollario” è il rapporto uomo-donna.
Di conseguenza si pone la questione se la convivenza tra persone
dello stesso sesso, pur non essendo riconducibile al suddetto modello di
famiglia di fatto, possa essere considerata comunque rilevante
giuridicamente.
Pur percependo una generale ostilità nell‟accettazione del fenomeno,
una parte della dottrina
21
non esclude che l‟unione tra omosessuali
costituisca un modo di affermazione della personalità dell‟individuo, e che
quindi possa rientrare tra le formazioni sociali che la Costituzione tutela e
garantisce.
21
Secondo CELLI, Rapporti patrimoniali tra conviventi, in La famiglia e le persone, agg.
II, Torino 2008, 280, è giusto ritenere che “non vi siano ragioni ostative ad estendere i
relativi principi anche alle unioni omosessuali che presentino gli stessi caratteri di
stabilità, natura affettiva e parafamiliare, che si esplichi in una comunanza di vita e di
interessi e nella reciproca assistenza morale e materiale”.
13
Passando poi all‟analisi dei requisiti da un punto di vista soggettivo,
si ritiene innanzitutto necessario che i partners siano in grado di effettuare
la scelta dell‟unione di fatto in modo libero, spontaneo e cosciente, quindi
una convivenza instaurata tra minori interdetti o inabilitati non crea una
famiglia.
Allo stesso modo un fattore indefettibile è la liceità dell‟unione.
Secondo parte della dottrina, infatti, se uno o entrambi i partners sono già
uniti in matrimonio il rapporto non può definirsi “di fatto” ma contra
legem.
Gli elementi che si è tentato in breve di enunciare sono quindi
caratterizzanti per il fatto di considerare la convivenza giuridicamente
degna di rilievo; rilievo che giurisprudenza e dottrina hanno unanimemente
individuato, come si è già detto, nell‟art. 2 della Costituzione.
Occorre però un‟importante precisazione sulla portata del dettato
costituzionale. Infatti, se da un lato l‟art. 2 Cost. consente di escludere
l‟illegittimità di queste “formazioni sociali”, d‟altra parte non riesce ad
aprire alla famiglia di fatto la porta dell‟equiparazione giuridica rispetto alla
famiglia legittima; per cui appare palese che la tutela giuridica dei
conviventi more uxorio si configura necessariamente come residuale
14
rispetto a quella dei coniugi, e risulta altrettanto chiaro che tra le due figure
vi siano ancora numerose differenze.
Il punto sostanziale di divergenza tra queste due forme di unione è
rappresentato dal fatto che con il matrimonio la coppia diventa titolare di
taluni diritti per la sola circostanza di essere sposati: tali diritti vengono
dunque attribuiti ai coniugi automaticamente, senza che venga loro richiesta
una manifestazione di volontà ulteriore rispetto a quella forma di consenso
che è parte integrante del rito matrimoniale.
Viceversa, nel caso della convivenza more uxorio tali diritti non
vengono acquisiti automaticamente, ma devono essere espressamente
previsti e regolamentati mediante la sottoscrizione dei c.d. “contratti di
convivenza”.
In ogni caso, è importante ribadire e precisare che il contratto di
convivenza non può assolutamente essere considerato l‟atto che da origine
alla famiglia di fatto; quest‟ultima infatti è preesistente rispetto ad esso, e si
costituisce e dura nel tempo sulla sola base di comportamenti stabili ed
univoci dei conviventi.
L‟eventuale presenza di un contratto di convivenza fissa solamente
le modalità attuative di tale formazione sociale.