Il pensiero socio-economico di Gaetano Mosca
Due questioni mi paiono essere al centro dell’attuale dibattito sui problemi della nostra democrazia e, più in generale, sulla riuscita degli odierni regimi politici: come tutelare l’interesse generale, tra le forti pressioni lobbistiche, le istanze populiste e demagogiche e le derive plebiscitarie e cesariste? Il concetto di classe politica, comunemente utilizzato, è ricco di accezioni e peculiarità; ma chi costituisce davvero la classe governante, com’è strutturata al suo interno e che dinamiche instaura nei rapporti con i governati?
Nel ricercare le origini della nozione di classe dirigente, ho rinvenuto, nel pensiero di Gaetano Mosca (Palermo 1858 – Roma 1941), non soltanto una completa esposizione sociologica, ma anche una complessa teorizzazione politica. Lo studioso palermitano, per analizzare la politica, ha saputo coniugare tre discipline che sono, secondo me, complementari: la sociologia, la storia e l’economia. Da un lato, ebbe un’intuizione senz’altro acuta e illuminante, nel guardare alle classi dirigenti di un popolo come specchio della nazione stessa, ma anche individuare in esse la causa prima dello sviluppo morale e materiale di uno Stato. Parallelamente però, la capacità di questa teoria di adattarsi, nel tempo e nello spazio, l’ha resa un utile strumento per l’interpretazione della politica del passato, di quella presente, nonché fonte per formulare ipotesi sul futuro.
I principi primi, sui quali l’autore palermitano costruì il suo “Stato ideale” erano una classe dirigente intellettualmente colta e tecnicamente preparata, la libertà come principio inalienabile e discrimine della civiltà, il fondamento etico dell’agire politico. Quest’ultimo concetto ha offerto lo spunto maggiore: «può la scienza costituire un potere, minoritario sì ma eticizzato e tale da eticizzare radicalmente la vita politica?»
Oggi più che mai, questo tema sembra vivo: se infatti è stata dimostrata l’impossibilità pratica di una democrazia diretta su ampia scala, il secolo scorso ha altresì rivelato la pericolosità e la drammaticità degli Stati autoritari e fondati sul culto del capo. La democrazia, come modello politico, ha vinto, ma non per questo ha risolto la contraddittorietà intrinseca che la caratterizza: la ricerca di un equilibrio tra la sovranità popolare e la rappresentazione politica per la gestione del potere. In questo senso l’approccio del siciliano, liberale ma non democratico, elitista ma non autocratico, ha rappresentato, e costituisce ancor’oggi, un’interessante fonte di studio. Partendo dall’assunto che un numero ridotto governi sempre sulla maggioranza, il governo ottimale, nella -teorizzazione moschiana, era quello costituito dagli elementi migliori della società. Tutta l’opera di Mosca ruota quindi intorno alla questione di come selezionare la classe dirigente e di come permettere un continuo afflusso di nuove istanze, di diverse forze sociali e di personalità eccellenti al potere.
La tesi si strutturerà quindi in quattro capitoli che ripercorrano la vicenda biografica moschiana, secondo le cesure rispecchianti quelli che sono, a mio avviso, i tre grandi cambiamenti intervenuti nella sua vita. Innanzitutto l’arrivo a Torino, uno dei maggiori centri economici e intellettuali dell’Italia post-unitaria; quindi l’elezione parlamentare, in cui Mosca ebbe l’occasione di passare dalla teoria ai fatti; infine il definitivo trasferimento a Roma, coincidente con l’instaurazione della dittatura fascista.
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Informazioni tesi
Autore: | Claudio Fumaroli |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2010-11 |
Università: | Università degli Studi di Torino |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze della politica |
Relatore: | Angelo D'Orsi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 247 |
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